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Diritto Penale

PECULATO - Cass. VI Sez., 17 dicembre 2020, n. 36317

LA MASSIMA


“Va escluso che la modifica del quadro di riferimento normativo di natura extrapenale che regola il versamento dell'imposta di soggiorno abbia comportato un fenomeno di abolitio criminis delle condotte di peculato commesse in precedenza.”


IL CASO

Nel caso in esame la Corte di Appello aveva confermato quanto stabilito dal Giudice per le indagini preliminari che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato, per il reato di cui all'art. 314 cod. pen. in quanto, in veste di legale di un albergo, si era appropriato della somma di euro 5.472 ricevuta dai clienti a titolo di imposta di soggiorno (fatto commesso dal 2012 al 2016). Avverso la suddetta decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione denunciando che il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 180, comma 3, ultimo periodo, d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, che sanziona la condotta di omesso versamento della imposta di soggiorno con la sola sanzione amministrativa, prevista dall'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.


LA QUESTIONE.

Il tema affrontato dalla Corte nella sentenza in commento riguarda la definizione dei confini del reato di peculato con riguardo alle dinamiche relative all’imposta di soggiorno, e l’eventuale abolitio criminis del reato ad opera dell’art. 180, comma 3, ultimo periodo, d.l. 19 maggio 2020, n. 34 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, che sanziona la condotta di omesso versamento della imposta di soggiorno con la sola sanzione amministrativa, prevista dall'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

La novella normativa ha riguardato in particolare l’art. 4 d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 ove al comma 1 è stabilito che i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni e i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte possono istituire, previa deliberazione del consiglio, un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive del territorio, il cui gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali. I criteri attuativi dell’imposta dovevano essere dettati "con regolamento da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”, “d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali" e, in conformità con quanto stabilito nel suddetto regolamento, i comuni, con “proprio regolamento da adottare ai sensi dell'art. 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive" avevano facoltà di disporre ulteriori modalità applicative del tributo. Ciò nonostante, il regolamento generale non è stato mai emanato e gli enti locali hanno regolato le modalità attuative dello stesso con proprio regolamento.

Sulla base della normativa contenuta nell'art. 4 cit., la giurisprudenza maggioritaria riteneva integrato il reato di peculato nel caso in cui il gestore di una struttura ricettiva si impossessava delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, omettendo di riversarle al Comune, poiché lo svolgimento di attività ausiliaria e strumentale all’esecuzione dell'obbligazione tributaria esistente tra l'ente impositore e il cliente della struttura, determinava l'attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al privato cui era demandata la materiale riscossione dell'imposta (per tutte, Sez. 6, n. 27707 del 26/03/2019;Norsa).

Tuttavia, il legislatore all’art. 180, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020 ha disposto l'introduzione all'interno di suddetto articolo, del comma 1 - ter, ove, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 77 del 2020, è stabilito che: “Il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno di cui all'articolo 14, comma 16, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Per l'omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma dal 100 al 200 per cento dell'importo dovuto. Per l'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica la sanzione amministrativa di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”.

La norma in oggetto ha sostanzialmente modificato la natura del rapporto tra gestore della struttura ricettiva ed ente impositore, dapprima, inteso come rapporto di servizio, e ora qualificato come un vero e proprio rapporto tributario in cui il gestore riveste il ruolo di “responsabile d’imposta”.

Tale alterazione dello status dell’albergatore ha comportato problemi interpretativi circa la configurabilità di una vera e propria abolitio criminis con conseguente applicazione, ai sensi del dettame di cui all’art. 2 co. 4 c.p., della sanzione più mite in capo all’imputato giudicato per un fatto commesso prima dell’entrata in vigore della novella legislativa.


LA SOLUZIONE.

La Suprema Corte risponde pienamente ai problemi sollevati dal ricorrente.

In primo luogo stabilisce che, nonostante la modifica operata dal decreto rilancio, il principale soggetto obbligato al pagamento dell’imposta rimane colui che alloggia nella struttura, e ciò è desumibile pacificamente dal fatto che la novella del 2020 non ha modificato il primo comma del citato art. 4, anzi, ha previsto a favore del gestore responsabile il diritto di rivalsa per l'intero del tributo pagato nei confronti dei soggetti passivi inadempienti. Tale aspetto è intervenuto a rafforzare la garanzia di raggiungimento dello scopo di difendere l’integrità dei flussi d’imposta derivanti dall’esercizio alberghiero e dell’introito del tributo onerandone i soggetti che, avendo un rapporto diretto con l’obbligato principale, si trovano nella condizione di garantirne l’effettivo pagamento.

La questione si presenta più complessa nei casi in cui i fatti sottoposti a giudizio siano stati commessi al tempo in cui il quadro giuridico extrapenale era diverso e l’esercente era punibile ai sensi dell’art. 314 c.p.; qui rileva, dunque, il fenomeno della successione di norme extrapenali integratrici della fattispecie penale.

Nella ricca argomentazione i giudici della Sesta Sezione della Corte di Cassazione segnalano il quadro normativo pre-riforma nel quale l’ospite della struttura era il solo obbligato al pagamento del tributo poiché il rapporto di imposta intercorreva esclusivamente tra costui e il comune (soggetto attivo); l’albergatore aveva con l’ente in parola un rapporto di pubblico servizio e i suoi compiti erano puramente contabili in quanto comportavano il maneggio di pubblico denaro e, in particolare, la riscossione e il successivo versamento della somma corrisposta dal cliente a titolo di imposta di soggiorno. La giurisprudenza maggioritaria riteneva configurato il reato di peculato ogni qualvolta il gestore della struttura ricettiva si appropriava di dette somme omettendo di versarle all’ente locale, poiché l’incarico di eseguire compiti strumentali all’obbligazione tributaria gli “determinava la qualifica di incaricato di pubblico servizio ” (in termini, Cass. Pen., Sez. VI, 26 marzo 2019, n. 27707 e Cass. Pen., Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 32058).

Tuttavia, nonostante il decreto-rilancio abbia segnato la conversione della qualifica dell’albergatore, oggi divenuto responsabile d’imposta, la Corte ha ritenuto di non poter applicare la nuova e più mite sanzione amministrativa alle condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore di suddetto decreto.

Difatti, nella pronuncia in commento la Suprema Corte abbraccia l’orientamento già dedotto dalla stessa Sezione VI nella sentenza del 30 ottobre 2020 n. 30227, laddove è spiegato che “si è al cospetto di una successione nel tempo di norme extrapenali in cui, per i fatti anteriori alla novella legislativa, è rimasto inalterato non solo il precetto (art. 314 cod. pen.), ma anche la qualifica soggettiva (art. 358 cod. pen.) la cui sussistenza è richiesta ai fini della punibilità a titolo di peculato”; ne consegue che è da escludere che la modifica normativa abbia provocato un fenomeno di abolitio criminis, in quanto questo si ravvisa esclusivamente laddove la riforma di riferimento abbia interessato disposizioni integratrici della legge penale, come quelle di riempimento delle norme penali in bianco, e “non anche le norme richiamate da elementi normativi della fattispecie penale”.

Orbene, la Corte, adottando un’analisi di carattere strutturale tra le norme in oggetto e, dunque, comparandone la fisionomia, risolve il dogma interpretativo e ravvisa un’ ipotesi di successione di norme extrapenali (apparentemente) integratrici della legge penale. La retroattività della legge più favorevole al reo sancita dall’art. 2 comma 4 c.p., quale effetto del fenomeno di diritto intertemporale, consegue alla corrispondente modifica normativa della fattispecie legale astratta. Il citato art. 180 non ha alterato la fisionomia del reato di peculato poiché, con ogni evidenza, il legislatore non ha inciso su un elemento strutturale del delitto ma, come anticipato, ha mutato la qualifica del gestore della struttura ricettizia, per tale ragione, appare giustificata la diversa risposta punitiva al fatto.

Ciò considerato, escludendo la natura di norma interpretativa all’art. 180 cit. e, dato atto del carattere pubblicistico della figura dell’albergatore, è rilevante a titolo di peculato la condotta posta in essere in epoca antecedente alla riforma del 2020; pertanto, l’attuale illecito amministrativo opera “in relazione al nuovo regime dell’imposta – e alla qualifica privatistica dell’albergatore (e del denaro incassato).”


A cura di Francesca Depino





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