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Diritto Penale

OMICIDIO PRETERINTENZIONALE - CONDOTTA TIPICA - Cass. Pen., Sez. V, 11 marzo 2021, n. 9789


LA MASSIMA

“L’omicidio preterintenzionale richiede che l'autore della aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere e ledere e che esista un rapporto di causa ad effetto tra gli atti predetti e l'evento letale, senza la necessità che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto dall'agente.”


IL CASO

L’imputato ricorre per cassazione avverso la declaratoria di penale responsabilità della Corte di assise di appello di Roma, per il delitto di omicidio preterintenzionale: l’imputato avrebbe cagionato la morte della vittima ponendo in essere atti volti a procurargli lesioni (sferrandogli un colpo al volto, poi lanciandogli contro un bastone senza toccarlo, infine attingendolo con uno schiaffo tra il collo e la nuca).

La vittima, già affetta da "cardiopatia ischemica con coronariosclerosi occludente", come accertato da un consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero, era deceduta durante il trasporto in ospedale, a seguito di una crisi cardiorespiratoria verificatasi nell'immediatezza dei fatti.

La sentenza impugnata ha confermato le statuizioni del giudice di prime cure, secondo il quale doveva ritenersi appurata la condotta aggressiva che l'imputato, avventore di un bar, aveva realizzato nei confronti di chi aveva cercato di contenerne le intemperanze (in primis, la vittima) e, sebbene il quadro patologico da cui era affetta la vittima potesse autonomamente predisporre a morte improvvisa a causa del verificarsi di un evento ischemico con scompenso cardiaco acuto, tuttavia le risultanze emerse dall'esame autoptico e dalle successive indagini istologiche consentono di ritenere verosimile che il decesso sia stato determinato da un evento ischemico secondario ad una occlusione coronarica acuta, non essendovi evidenze scientifiche che in quella circostanza, in assenza di detto fattore stressante, sussistessero condizioni tali da far insorgere spontaneamente la patologia acuta che ha condotto al decesso.

La difesa ha lamentato l’inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 584 cod. pen. e che le conclusioni del giudice di appello non appaiono rispettose del canone dell'al di là di ogni ragionevole dubbio.

Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto il rigettarsi del ricorso, rilevando che l'analisi della motivazione della sentenza di primo grado consente di superare alcune lacune della decisione impugnata: ciò in quanto il giudice di prime cure aveva esposto più chiaramente la dimostrazione della dipendenza dello stress emotivo dalla lite intercorsa e la conseguente dipendenza mediata dell'evento miocardico acuto dalle "percosse" ricevute dalla vittima, da cui la riconducibilità concausale tra la lite intercorsa nel bar, il gesto dell'imputato (schiaffo e successivo lancio di un bastone che non attinge nessuno dei presenti) ed il successivo e/o quasi concomitante episodio cardiaco acuto, che - in soggetto già affetto da grave patologia cardiaca, con rischio di episodio analogo in qualsiasi momento secondo lo stesso c.t. del P.M. - ha portato alla morte. E ciò consente di superare il ragionevole dubbio sul nesso causale espresso in ricorso, pur dovendosi concordare che lo stato di agitazione non è di per sé lesione, ma lo erano le percosse subite, che quello stato hanno provocato.


LA QUESTIONE

La sentenza in esame affronta la questione dell’inquadramento della condotta tipica dell’omicidio preterintenzionale ed, in particolare, del rapporto di causa-effetto fra atti diretti a percuotere e ledere e l'evento morte.


LA SOLUZIONE

La Suprema Corte osserva che i rilievi della difesa sembrano muovere dal presupposto che l’imputato avrebbe partecipato al diverbio solo con un isolato gesto connotato da violenza fisica, come se il prodursi e lo sviluppo della lite fossero stati del tutto indipendenti dalle modalità della condotta dello stesso.

Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, stando alla convergente lettura della dinamica dei fatti offerta da entrambe le pronunce di merito, di atti diretti a ledere o percuotere la vittima, nel caso in esame, se ne registrarono ben tre: un pugno od uno schiaffo, subito dopo che la vittima lo aveva invitato - su sollecitazione della barista - a non creare disturbo; il gesto di scagliargli contro un bastone, dopo che la vittima lo aveva condotto fuori dal locale – condotta non andata a segno - ; un'ultima manata che, indirizzata verso il nipote della persona offesa sopraggiunto in loco, aveva nuovamente colpito sul collo la vittima, sia pure di striscio.

Alla luce delle considerazioni svolte sulla dinamica dei fatti, la Suprema Corte ha rilevato che un conto è l'agitazione che si produca in chi si trovi protagonista di un alterco verbale, cagionato dalle intemperanze verbali di un altro e con quest'ultimo limitatosi ad allungare le mani una sola volta; altra cosa è subire, in quel contesto, ripetute aggressioni fisiche, certamente idonee a cagionare ed amplificare lo stato di stress.

Si osserva, inoltre, che è certamente vero e può darsi per assodato che la vittima ben avrebbe potuto trovare una morte improvvisa, date le sue precarie condizioni di salute, quale conseguenza di ulteriori e del tutto diversi fattori stressogeni: ma non è in discussione che, nella fattispecie concreta, non ve ne sia traccia, ed è parimenti stata sottolineata dai giudici di merito la contestualità o quasi immediatezza del malore lamentato dalla vittima rispetto al comportamento violento dell’imputato, non arrestatosi neppure al cospetto delle forze dell'ordine.

L'imputato, in definitiva, cercò a più riprese di attentare all'incolumità fisica della vittima.

La Corte ha concluso che l'omicidio preterintenzionale richiede che l'autore della aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere e ledere e che esista un rapporto di causa ad effetto tra gli atti predetti e l'evento letale, senza la necessità che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto dall'agente: per queste ragioni, ha quindi rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Segnalazione a cura di Anna Laura Rum


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