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Diritto Penale

OMICIDIO COLPOSO - RESPONSABILITÀ COMMITTENTE - Cass. IV Sez., 11 marzo 2021, n. 9745

LA MASSIMA

“In tema di responsabilità del committente per la morte del dipendente dell’appaltatore nell’esecuzione dei lavori, è necessario indagare la concreta incidenza della stessa nella determinazione dell’evento. A tal fine non è quindi sufficiente la mera attribuzione della qualifica, dovendosi avere riguardo anche alle capacità organizzative della ditta esecutrice dei lavori, alla specificità degli stessi e all’effettivo dominio del committente su di essi, ai criteri seguiti da quest’ultimo nell’individuazione dell’appaltatore nonché all’agevole e immediata percepibilità, da parte del committente stesso, di situazioni di pericolo riscontrabili anche in assenza di specifiche competenze tecniche”.


IL CASO

La vicenda trae origine dal crollo di un cornicione in cemento armato posto lungo il perimetro di un fabbricato. Il cordolo, realizzato in difformità rispetto al progetto originario e malamente ancorato allo stabile, rovinava su un ponteggio travolgendo diversi operai ancora impegnati nell’esecuzione dei lavori e causandone la morte. Con sentenza resa dai Giudici di prime cure e confermata in appello, veniva riconosciuta la penale responsabilità del titolare della ditta edile nonché datore di lavoro degli operai, del committente e del direttore dei lavori per i reati di cui agli artt. 449 c.p. e 589 commi 1, 2 e 3 c.p. Tra gli altri, proponeva ricorso per cassazione il committente asserendo di avere adeguatamente dimostrato – con prova fornita nei precedenti gradi di giudizio ma ciò nonostante disattesa - l’adempimento degli obblighi di legge su di lui gravanti, ivi inclusa l’individuazione di un Direttore dei Lavori e di Collaudatori iscritti presso i rispettivi ordini nonché di una impresa esecutrice iscritta presso la Camera di Commercio e munita di tutte le autorizzazioni e certificazioni necessarie per l’esercizio dell’attività. A parere del ricorrente, l’assolvimento dei predetti obblighi unitamente all’elevato grado di specificità della materia dovevano considerarsi elementi idonei a comportare il trasferimento della posizione di garanzia - originariamente gravante in capo al committente stesso - sui tecnici e professionisti incaricati, le cui competenze dovevano considerarsi sufficienti non solo a garantire un’adeguata progettazione ed esecuzione dei lavori ma anche la sicurezza di tutti i soggetti in essa coinvolti. Parimenti, a suo dire nessun rimprovero poteva essergli mosso circa le concrete modalità di realizzazione del cordolo: inizialmente previsto quale mero ornamento in cartongesso, lo stesso era stato poi realizzato in cemento armato. Nella decisione resa dalla Corte territoriale non vi sarebbe però alcuna menzione circa la riferibilità di tale scelta al committente né la predetta circostanza può ritenersi immediatamente percepibile da un soggetto privo di specifiche competenze tecniche, con conseguente mancata percezione del pericolo.

LA QUESTIONE

La questione devoluta all’attenzione della Suprema Corte afferisce l’esatta delimitazione dei confini della responsabilità del committente per eventuali eventi lesivi occorsi ai dipendenti dell’appaltatore nell’esecuzione dei lavori. Più nel dettaglio, il profilo di criticità involge la sussistenza di una autonoma posizione di garanzia in capo alla figura sopra richiamata nella tutela della salute e della vita dei lavoratori. Nell’affrontare la problematica, la Cassazione esordisce evocando un risalente orientamento contrario all’imputazione di profili di responsabilità per eventuali inadempienze nell’osservanza delle norme antinfortunistiche, fatta salva l’ipotesi di una espressa previsione contrattuale o di una ingerenza del committente nell’esecuzione dei lavori tale da compendiare nella predetta qualifica anche quella di datore di lavoro. Ciò posto, la Suprema Corte dà atto della successiva entrata in vigore del d.lgs. 494/1996, il quale ha positivizzato la figura in esame nonché gli obblighi su di essa gravanti. A seguito del predetto intervento normativo, infatti, il committente è tenuto a valutare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e deve attenersi – nella fase di progettazione esecutiva dell’opera e in particolare al momento delle scelte tecniche, nell’esecuzione del progetto e nell’organizzazione delle operazioni di cantiere - ai principi e alle misure generali di cui al d.lgs 626/1994. Tale impostazione ha indotto la giurisprudenza di legittimità a ravvisare profili di responsabilità a fronte della violazione di alcuni obblighi specifici, quali ad esempio quello della cooperazione nella predisposizione delle misure di protezione e prevenzione. Tutto ciò premesso, il nocciolo della questione pare agevolmente individuabile: come osservato dallo stesso ricorrente, in un campo così altamente specialistico quale quello dell’edilizia non è ragionevole pretendere dal cittadino comune il possesso di conoscenze tecniche e giuridiche tali da garantire non solo la corretta progettazione ed esecuzione dei lavori, ma anche la sicurezza di coloro che concorrono alla loro realizzazione. Diversamente argomentando, si andrebbe a prospettare una vera e propria responsabilità da posizione destituita di qualsivoglia fondamento logico e giuridico.


LA SOLUZIONE

Nell’accogliere il motivo di ricorso in questione, la Suprema Corte – aderendo ad un orientamento teso a mitigare il rigore della normativa di riferimento ed impedire di relegare quella in esame ad una inammissibile forma di responsabilità oggettiva - ha stigmatizzato l’esigibilità di un controllo continuo e capillare sull’organizzazione dei lavori e sul loro andamento da parte del committente. Tale considerazione assume peculiare valenza a fronte di una condotta diligente dello stesso: la scelta di tecnici, professionisti e imprese muniti dei requisiti di legge; l’assenza di macroscopiche omissioni o inadeguatezze delle misure precauzionali adottate a tutela della vita e della salute dei lavoratori nonché la carenza di un effettivo dominio sull’esecuzione dei lavori ben possono considerarsi elementi idonei ad escludere un giudizio di rimproverabilità in capo al committente.

Ciò posto, la sezione IV della Corte di Cassazione ha effettivamente riscontrato un vulnus motivazionale tanto in merito alla paventata culpa in eligendo - avendo la Corte territoriale disatteso le allegazioni dell’imputato in merito all’assolvimento dei propri obblighi – quanto in ordine alla sussistenza, nel caso di specie, di un pericolo ictu oculi percepibile anche in assenza di specifiche competenze tecniche. Pertanto, ha annullato la sentenza impugnata nei confronti del solo committente e rinviato per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello territorialmente competente, la quale sarà chiamata a valutare la effettiva sussistenza di profili di responsabilità penale in capo all’imputato alla luce delle linee guida dettate dai Giudici di legittimità.


Segnalazione a cura di Antonella Venturi




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