LA MASSIMA
“L'inadempimento agli obblighi tributari (ove penalmente rilevanti) può essere ricondotto all'art. 45 c.p. solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore, il quale non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause imprevedibili, non dipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico”.
IL CASO
Il giudice di primo grado riconosceva colpevole l’imputato del reato di omesso versamento di ritenute certificate ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis e, per l’effetto, lo condannava alla pena ritenuta di giustizia, disponendo altresì la confisca del profitto del reato.
Il giudice di secondo grado confermava la sentenza appellata, riducendo tuttavia la misura ablativa in funzione di alcune rate già versate dall’imputato all’Erario.
Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva per Cassazione, chiedendone l’annullamento.
LA QUESTIONE
La Suprema Corte, nella sentenza in esame, ha analizzato il tema dei rapporti tra forza maggiore e crisi di liquidità.
Da tempo, difatti, di dibatte circa la possibilità di ricondurre all’art. 45 c.p. il caso dell’inadempimento degli obblighi tributari penalmente rilevanti. In particolare, si discute se l’inadempimento dell’obbligazione tributaria, quale conseguenza di una crisi di liquidità dipendente da una situazione di crisi economica, possa essere addotta a sostegno della forza maggiore. Ovvero, se il concetto di forza maggiore di cui all’articolo 45 c.p. sia ontologicamente inconciliabile con il margine di scelta che possiede l’imprenditore nel fronteggiare tali situazioni di difficoltà.
La giurisprudenza ha da tempo ormai affermato che l'imputato potrà invocare la situazione di crisi economica come causa dell'impossibilità di adempimento dell'obbligazione fiscale, al fine di escludere la responsabilità penale, purché assolva agli oneri di allegazione riguardanti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica, sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto. Dovrà, in altri termini, essere dimostrato che non sia stato in alcun modo possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte, nel dichiarare l’infondatezza del gravame, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale consolidato in tema di rapporti tra forza maggiore e crisi di liquidità.
Nello specifico, secondo la costante giurisprudenza di legittimità la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell'evento, non invece quale causa concorrente di esso, sussistendo solo in quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso, ovvero la consumazione della condotta antigiuridica, è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando giuridico. Mentre, non applicabile è invece l'art. 45 c.p. ove l'agente si trovi già in condizioni di illegittimità.
La forza maggiore, infatti, postula la verificazione di un fatto imprevisto ed imprevedibile, tale da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, il quale non possa essere ricollegato in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente.
In particolare, in materia di reati tributari, è possibile affermare che:
- il margine di scelta è inconciliabile con il concetto di forza maggiore, non essendo esclusa la suitas della condotta;
- la mancanza della liquidità necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore ove sia comunque il frutto di una scelta del reo volta a fronteggiare una crisi economica;
- l'inadempimento agli obblighi tributari (ove penalmente rilevanti) può essere ricondotto all'art. 45 c.p. solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore, il quale non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause imprevedibili, non dipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.
Dunque, correttamente la Corte di appello ha affermato che la crisi di liquidità della società non può ritenersi un fatto imprevedibile, costituente forza maggiore, essendo piuttosto il frutto di scelte di politica imprenditoriale in presenza di una situazione pregressa di illegittimità (mancato accantonamento delle somme necessarie all'adempimento dei debiti tributari ed omesso, conseguente, versamento delle ritenute già operate alle singole scadenze mensili).
Segnalazione a cura di Giuseppina Morgese.
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