A cura di Camilla Bignotti
IL CASO Nell’ambito di un procedimento penale a carico di Mevia, accusata di aver coltivato senza la necessaria autorizzazione dieci piantine di canapa con principio tossicologico attivo pari al 0,64%, il Tribunale di Cosenza solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 73 DPR 309/1990 in relazione all’art. 3 Cost. In un analogo procedimento penale, il Tribunale di Camerino solleva la questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo in relazione agli art. 25 e 27 Cost. I due giudizi vengono riuniti per connessione oggettiva delle questioni di costituzionalità.
LA QUESTIONE
Il Tribunale di Cosenza lamenta la violazione del principio di uguaglianza nella misura in cui la disposizione in esame non prevede la coltivazione, oltre che l’acquisto, la detenzione e le importazione, fra le condotte punite con la sola sanzione amministrativa se finalizzate al solo uso personale. Infatti, a seguito del referendum abrogativo del principio del divieto di sostanze stupefacenti per uso personale e del parametro della dose media giornaliera, la finalità dell’uso personale diviene l’unico discrimine fra illecito penale e amministrativo, a prescindere dalla condotta, dalla natura e dalla quantità della sostanza. Dunque il rilievo depenalizzate assunto dall’uso personale della droga nella nuova normativa dovrebbe equiparare la coltivazione alle altre condotte, qualificate come illecito amministrativo. Il Tribunale di Camerino lamenta la violazione del principio della necessaria offensività della fattispecie penale, nell’ipotesi in cui la coltivazione dia luogo ad una quantità o qualità di infiorescenze dalle quali non sia ricavabile il principio attivo in misura sufficiente a produrre l’effetto drogante potenzialmente lesivo nel caso di successiva assunzione. La Corte nell’affrontare al questione ha pregiudizialmente escluso la possibilità di ricondurre, in via di interpretazione adeguatrice, la condotta di coltivazione ad uso personale in quelle depenalizzate dall’art. 75 DPR 309/90. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha optato per un’ interpretazione in senso stretto della disposizione, che limita la rilevanza dell’uso personale alle sole condotte tassativamente indicate all’art.75, fra le quali non figura la condotta di coltivazione. Ciò premesso la Corte ha ritenuto infondate le questione di legittimità proposte. Quanto all’art.3 Cost, la Corte ha rilevato la non comparabilità della condotta in esame con alcuna di quelle allegate come tertia comparationis, quali la detenzione, l’acquisto e l’importazione. Quest’ultime, infatti, rappresentano condotte collegate immediatamente e direttamente all’uso stesso, circostanza che giustifica un’atteggiamento meno rigoroso del legislatore. Diversamente nell’ipotesi della coltivazione difetta tale nesso di immediatezza con l’uso personale. Inoltre, la scelta di non criminalizzare l’uso in se implica la non rilevanza penale di comportamenti immediatamente precedenti al consumo. Secondo la Corte la coltivazione è esterna a quest’area contigua al consumo e ciò costituisce una ragione sufficiente per una disciplina differenziata. Infine le situazioni comparate si presentano ad apprezzamenti differenti: nella detenzione, acquisto e importazione il quantitativo di sostanza è certo e determinato, dunque è possibile una valutazione prognostica circa la destinazione della sostanza. Invece nel caso di coltivazione non è apprezzabile ex ante il quantitativo di sostanza estraibile e la correlata destinazione ad uso personale, piuttosto che di spaccio della stessa. A ciò si aggiunge che l’attività produttiva è destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili e quindi tale condotta ha una maggiore potenzialità diffusiva delle sostanze. Quanto al principio di offensività, la Corte opera una distinzione fra offensività in astratto e offensività in concreto. La prima opera quale limite alla discrezionalità del legislatore nell’introduzione di fattispecie penali. Secondo la Corte, la coltivazione può valutarsi come pericolosa, ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga; tanto più che - come già rilevato - l'attività produttiva è destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili. Si tratta quindi di un tipico reato di pericolo, connotato dalla necessaria offensività proprio perchè non è irragionevole la valutazione prognostica - sottesa alla astratta fattispecie criminosa - di attentato al bene giuridico protetto. Dunque tale fattispecie non è incompatibile con il principio di offensività la configurazione di reati di pericolo presunto; nè nella specie è irragionevole od arbitraria la valutazione, operata dal legislatore nella sua discrezionalità, della pericolosità connessa alla condotta di coltivazione. Diverso è il profilo dell’offensività in concreto della singola condotta. La connotazione di offensività in generale implica che anche in concreto sia ravvisabile un’offensività, anche in grado minimo, nella singola condotta dell’agente; in difetto di ciò la fattispecie rifluisce nella figura del reato impossibile, data l’inidoneità dell’azione a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato. Come nel caso prospettato dal giudice rimettente della coltivazione dalla quale può essere ricavato un principio attivo talmente esiguo da non determinare un apprezzabile stato stupefacente. Tuttavia la mancanza di offensività in concreto della condotta dell’agente non radica alcuna questione di legittimità costituzionale, piuttosto implica un giudizio di merito devoluto al giudice ordinario.
LA SOLUZONE
Tutto ciò premesso, la Corte Costituzionale ha rigettato entrambe le questioni sollevate e ha valutato come legittima la diversa disciplina prevista per la coltivazione di stupefacenti ad uso personale, rispetto alla detenzione, l’importazione e l’acquisto. Invero, le condotte non sono comparabili, bensì la coltivazione costituisce un reato di pericolo, data la sua offensività in astratto. Tuttavia il giudice di merito è tenuto a valutare l’offensività in concreto della singola condotta di coltivazione; in difetto di tale requisito dovrà sussumere il fatto nell’ipotesi di reato impossibile, ex art. 49 c.p.
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