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Diritto Penale

OLD BUT GOLD - CONDOTTA COLPOSA OMISSIVA Cass., Sez. Un, sentenza 10 luglio 2002, n.30328 (Franzese)

IL CASO La vicenda trae origine dal ricorso proposto dai difensori dell’imputato, dott. Franzese, chiamato a rispondere del reato di omicidio colposo in qualità di responsabile della XVI divisione di chirurgia dell’ospedale Cardarelli per aver determinato l’insorgere di una sepsi addominale da “clostridium septicum” che aveva cagionato la morte del paziente. In particolare, lo stesso veniva condannato in primo e secondo grado per non aver compiuto durante il periodo di ricovero una corretta diagnosi e quindi consentito un’appropriata terapia ed anzi aveva autorizzato la dimissione del paziente giudicato in via di guarigione chirurgica rilevando che se le cause della patologia insorta fossero state correttamente diagnosticate e le cure necessarie doverosamente realizzate -in quanto idonee ad evitare la progressiva evoluzione della patologia infettiva letale- si sarebbe pervenuti ad un esito favorevole “con alto grado di probabilità logica o credibilità razionale”. La Quarta sezione della Corte di Cassazione, rimetteva, con ordinanza del 7.2-16.4.2002, il ricorso alle Sezioni Unite rilevando l’esistenza di un radicale contrasto interpretativo, formatosi all’interno della stessa Sezione, in ordine alla ricostruzione del nesso causale tra condotta omissiva (addebitata all’imputato) ed evento (morte del paziente), rilevando altresì la necessità di vagliare la correttezza logico-giuridica della soluzione ad esso data dai giudici di merito.


LA QUESTIONE Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute dando risposta alla controversa questione se “in tema di reato colposo omissivo improprio, la sussistenza del nesso di causalità fra condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale del medico-chirurgo, debba essere ricondotta all’accertamento che con il comportamento dovuto ed omesso l’evento sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità “vicino alla certezza” e cioè in una percentuale di casi “quasi prossima a cento” (orientamento più recente), ovvero siano sufficienti, a tal fine, soltanto “serie ed apprezzabili probabilità di successo” della condotta che avrebbe potuto impedire l’evento (indirizzo tradizionale e maggioritario)”. In altre parole, ci si interrogava su quale fosse il grado di probabilità richiesto attinente all’efficacia impeditiva e salvifica del comportamento alternativo -omesso ma supposto come realizzato- rispetto al singolo evento lesivo. Prima di fornire una risposta al quesito, il Collegio ha ritenuto necessario e prioritario riordinare la materia. In prima battuta, facendo leva sulla teoria condizionalistica desumibile dall’art.40 c.p. e temperata dalla teoria della causalità umana contenuta nell’art.41 co. 2 c.p., procedeva ad una ricognizione dello statuto della causalità penalmente rilevante -con particolare riguardo alla categoria dei reati omissivi impropri ed allo specifico settore dell’attività medico-chirurgica- definendo come causa penalmente rilevante quella condotta umana, attiva o omissiva, che si pone come conditio sine qua non nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe realizzato, per la cui verifica postula il ricorso al “giudizio controfattuale” e al modello generalizzante della sussunzione del singolo evento sotto “leggi scientifiche” esplicative dei fenomeni. Nel prosieguo espositivo, le Sezioni Unite forniscono una definizione di “reato omissivo improprio” o “commissivo mediante omissione” sottolineando come a causa dell’autonomia dogmatica dello stesso, fautrice di problemi di legalità e determinatezza della fattispecie incriminatrice, si fa strada la teoria della “imputazione oggettiva dell’evento” che, a parere del Collegio, fornisce una lettura riduttiva della causalità omissiva in quanto subordina l’efficacia esplicativa del fenomeno e quindi l’accertamento della sussistenza del nesso causale a inadeguati coefficienti di probabilità salvifica del comportamento doveroso in spregio ad un accertamento rigoroso dello stesso. L’opposta e più recente giurisprudenza di legittimità ha segnato una netta evoluzione interpretativa, condivisa dalle Sezioni Unite, secondo la quale anche per i reati omissivi impropri resta valido il paradigma unitario di imputazione dell’evento ridimensionando la tesi su citata per la quale la verifica giudiziale della condizionalità necessaria dell’omissione pretenderebbe un grado di “certezza” meno rigoroso rispetto ai comuni canoni richiesti per la condotta propria dei reati commissivi. Una volta confermato il superamento della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento e il conseguente affermarsi dello statuto condizionalistico della causalità, il Collegio pone l’accento su ciò che viene messo in crisi ovvero la concreta verificabilità processuale della causalità di talché mediante l’esposizione dei due opposti indirizzi interpretativi approda ad una svolta epocale incentrata sul superamento del probabilismo statistico su cui si fondava la giurisprudenza antecedente. Ed infatti, il tradizionale e ventennale orientamento della Sezione Quarta giustificava e legittimava l’affievolimento dell’obbligo del giudice di pervenire ad un accertamento rigoroso della causalità mediante il richiamo alle accentuate difficoltà probatorie e al valore meramente probabilistico della spiegazione riconoscendo valenza persuasiva a “serie ed apprezzabili probabilità di successo” dell’ipotetico comportamento doveroso, omesso ma supposto mentalmente come realizzato, da parte del medico. Le Sezioni Unite, in linea con l’opposto e più recente indirizzo interpretativo, non condividono questa soluzione, sottolineando come mediante la formula su richiamata si finisce per esprimere coefficienti di “probabilità” indeterminati, mutevoli e manipolabili dall’interprete ritenendo altresì che le difficoltà probatorie non possono mai legittimare un’attenuazione del rigore nell’accertamento del nesso causale determinando, mediante la teoria dell’“aumento del rischio” di lesione del bene protetto, un’abnorme espansione della responsabilità per omesso impedimento dell’evento, in violazione dei principi di legalità e tassatività della fattispecie e della garanzia di responsabilità per fatto proprio. Il Collegio poi rimarca l’importanza del momento di accertamento processuale ritenendolo decisivo per la spiegazione dei decorsi causali rispetto al singolo evento concreto riprendendo la definizione del concetto di causalità normativa ovvero “il giudice, pur dovendo accertare ex post, inferendo da generalizzazioni causali -non potendo conoscere tutti gli antecedenti sinergicamente inseriti nella catena causale e tutte le leggi pertinenti- e sulla base dell’intera evidenza probatoria disponibile, che la condotta dell’agente “è” (non “può essere”) condizione necessaria del singolo evento lesivo, è impegnato nell’operazione ermeneutica alla stregua dei comuni canoni di “certezza processuale”, conducenti, conclusivamente, all’esito del ragionamento probatorio di tipo largamente induttivo, ad un giudizio di responsabilità caratterizzato da “alto grado di credibilità razionale” o “conferma” dell’ipotesi formulata sullo specifico fatto da provare: giudizio enunciato dalla giurisprudenza anche in termini di “elevata probabilità logica” o “probabilità prossima alla-confinante con la-certezza”. In altri termini, viene ritenuto inadeguato l’impiego di cristallizzati coefficienti numerici propri delle scienze naturali nelle quali la spiegazione statistica presenta spesso un carattere quantitativo per privilegiare le scienze sociali, come il diritto, che esprimono il grado di corroborazione dell’explanandum e il risultato della stima probabilistica in termini qualitativi. Il Collegio, inoltre, nell’esprimere la necessità di pervenire ad una certezza processuale, non esclude l’ammissibilità dell’impiego, nel riconoscimento giudiziale del nesso causale, di frequenze probabilistiche anche medio-basse ma a condizione che le stesse siano corroborate dal positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa.


LA SOLUZIONE In definitiva, le Sezioni Unite, in ordine al problema dell’accertamento del rapporto di causalità, con particolare riguardo alla categoria dei reati omissivi impropri ed allo specifico settore dell’attività medico-chirurgica, enunciano i seguenti principi di diritto: “Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica –, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma dell’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa, oltre ogni ragionevole dubbio, la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio”.

A cura di Ludovica Catena




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