LA MASSIMA
"Nel caso in cui sia contestato un reato per il quale non è consentita l'oblazione, l'imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l'oblazione, ha l'onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione."
IL CASO
Il Tribunale di Teramo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 141, comma 4-bis, disp. att. c.p.p., in relazione all’art. 162-bis c.p., “nella parte in cui non prevede che l’imputato è rimesso in termini per proporre domanda di oblazione qualora nel corso del dibattimento, su iniziativa del giudice e in mancanza di una modifica formale dell’imputazione da parte del pubblico ministero, emerga la prospettiva concreta di una definizione giuridica del fatto diversa da quella contestata nell’originaria imputazione e per la quale l’oblazione non era ammissibile”.
Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata violerebbe l’art. 24, comma 2, Cost., poiché la preclusione dell’accesso all’oblazione nel caso considerato sarebbe foriera di una lesione del diritto di difesa dell’imputato, non essendo il superamento dell’ordinario limite temporale per la proposizione della relativa richiesta addebitabile a un’inerzia dell’imputato stesso, le cui scelte, in punto di accesso ai meccanismi alternativi di definizione del processo, restano necessariamente condizionate dalla concreta configurazione dell’imputazione, anche per quanto attiene alla definizione giuridica del fatto.
Più specificamente, nel caso in esame un soggetto (inizialmente imputato per il delitto di atti persecutori- reato non oblabile) ha richiesto l’oblazione non entro il termine stabilito, ma solo dopo che, a istruzione dibattimentale conclusa, il giudice procedente ha ritenuto di ricondurre la fattispecie in oggetto nell’alveo della fattispecie contravvenzionale di molestie (reato suscettibile di oblazione cosiddetta discrezionale, ai sensi dell’art. 162-bis c.p.).
LA QUESTIONE
Nell’esaminare la questione in punto di diritto, la Corte Costituzionale richiama la differente disciplina prevista dal codice di procedura in tema di modifiche in facto dell’imputazione (contestazione del fatto diverso, del reato concorrente o di una circostanza aggravante, del fatto nuovo: artt. 516, 517 e 518 c.p.p.) e modifiche in iure (diversa qualificazione giuridica del fatto: art. 521, comma 1, c.p.p.). A tal riguardo ribadisce che mentre le prime sono appannaggio del pubblico ministero, quale titolare dell’esercizio dell’azione penale, e implicano il riconoscimento all’imputato di specifici diritti difensivi; le seconde possono essere operate direttamente dal giudice, in applicazione del principio iura novit curia, senza che siano previste analoghe garanzie difensive.
La Corte, pur evidenziando che tale impostazione di asimmetria è stata censurata dalla Corte Edu, (la quale, nel caso Drassich, ha equiparato sul piano delle garanzie difensive le modifiche in facto e quelle in iure), si premura di precisare che - essendo l’opera di adeguamento dell’ordinamento nazionale alle indicazioni della Corte di Strasburgo demandata all’attività interpretativa della giurisprudenza ordinaria (difettando un intervento legislativo) - la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’adeguamento dell’imputazione sub specie iuris, effettuato direttamente con la sentenza di merito, non violi i diritti convenzionali e costituzionali in quanto l’imputato può difendersi impugnando la decisione.
Infine, la Corte pone l’accento sullo specifico aspetto che caratterizza la vicenda in esame, che attiene al recupero della facoltà di accesso ai riti alternativi a carattere “premiale”, quando però il termine per la relativa richiesta risulti già spirato nel momento in cui il mutamento interviene. A tal proposito, con riferimento all’oblazione, la ridetta Corte, dopo aver richiamato una precedente pronuncia nella quale dichiarò illegittimi gli artt. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell’imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162-bis c.p., relativamente al fatto diverso e al reato concorrente contestati nel corso del dibattimento, rileva l’impossibilità di una lettura conforme del caso di specie a quest’ultima pronuncia. Ciò in considerazione del fatto che nel caso di specie l’imputato ha richiesto l’oblazione non entro il termine stabilito, ma solo dopo che, conclusa l’istruttoria dibattimentale, la prospettiva della riqualificazione giuridica del fatto era stata effettuata dal giudice rimettente.
A suffragio di ciò richiama altresì l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, circa la configurabilità di un onere dell’imputato, il quale si sia visto contestare in forma chiara e precisa il fatto addebitatogli, con l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, secondo quanto prescritto dall’art. 429, comma 1, lettera c), c.p.p., di esercitare prontamente e tempestivamente il suo diritto di difesa riguardo all’inquadramento giuridico della vicenda.
LA SOLUZIONE
La Corte Costituzionale ritiene non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in virtù del fatto che la rimessione in termini non può trovare applicazione a fronte di una riqualificazione giuridica del fatto disposta dal giudice, poiché l’imputato ha l’onere di rilevare preventivamente l’errore di diritto con contestuale proposizione di domanda di oblazione. Se così non fosse, ciò consentirebbe all’imputato di “regolare” la strategia difensiva a seconda degli esiti a lui più o meno favorevoli dell’istruttoria dibattimentale.
Segnalazione a cura di Anna Santomasi.
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