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Diritto Penale

NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ - 337 cp - Corte Cost., sentenza 5 marzo 2021, n. 30

IL DISPOSITIVO

“La Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, secondo comma, del codice penale, come modificato dall’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53 (Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2019, n. 77, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritto fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, secondo comma, del codice penale, come modificato dall’art. 16, comma 1, lettera b) del d.l. n. 53 del 2019, come convertito, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.; dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 53 del 2019, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, e 77, secondo comma, Cost.


IL CASO

Due diversi Tribunali italiani, trovandosi entrambi a dover giudicare sull’imputazione di una resistenza a pubblico ufficiale per fatti la cui concreta offensività risulta di particolare tenuità, ritengono che la preclusione dell’esimente in questione per il reato di cui all’art. 337 c.p., essendo collegata unicamente al titolo del reato e non alle concrete modalità del fatto, sia irragionevole e inidonea a determinare l’inflizione di una pena proporzionata, oltre a comportare una disparità di trattamento per titoli di reato omogenei.

In particolare, il primo giudice rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, comma 2, c.p., come modificato dall’art. 16, comma 1, lett b), d.l. 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modificazioni, nella legge 8 agosto 2019, n. 77, in relazione agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali europea, nella parte in cui stabilisce che l’offesa non può essere considerata di particolare tenuità nei casi di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.

Il secondo giudice a quo evoca, invece, come parametri di legittimità, gli artt. 3, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, e 77, secondo comma, della Costituzione, in quanto la norma oggetto del giudizio viene considerata contraria ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e finalismo rieducativo della pena, oltre ad apparire non omogenea, quanto a finalità e ad oggetto, al contenuto del decreto legge in cui è stata inserita.


LA QUESTIONE

Secondo i giudici a quibus, la decisione del legislatore sarebbe irragionevole perché la preclusione della causa di non punibilità in questione viene collegata al titolo di reato e non alle connotazioni del fatto, come, invece, dovrebbe accadere. In questo modo, si determina un automatismo sanzionatorio per presunzione assoluta di non particolare tenuità del fatto, che non permette di infliggere una pena giusta e proporzionata. Peraltro, i giudici rimettenti sottolineano che la norma in questione risulta contenutisticamente estranea al decreto legge in cui è inserita.

Si evidenzia, inoltre, una distonia nel sistema, da cui si deduce una disparità di trattamento ingiustificata: vi sono altre fattispecie delittuose, aventi ad oggetto i medesimi beni giuridici, a cui è permesso applicare l’esimente di cui all’art. 131-bis. Tale scelta, d’altra parte, non risponderebbe ad alcuna ratio e si porrebbe esclusivamente come riflesso di una visione sacrale dei rapporti tra cittadino ed autorità.

L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che le questioni siano da considerare inammissibili, per mancanza di motivazione, o, comunque, infondate, in quanto, esclusa ogni valenza comparativa dei tertia individuati dal rimettente, appartiene alla discrezionalità del legislatore la scelta relativa ai limiti di applicazione della causa di non punibilità. La difesa dello Stato evidenzia altresì che l’art. 131-bis risulta perfettamente coerente con l’oggetto del d.l. n. 53 del 2019, vertente sulla materia dell’ordine e della sicurezza pubblica. L’interveniente aggiunge anche che si deve considerare superata la censura relativa alla diversa regolazione a cui sono sottoposte altre norme, aventi ad oggetto i medesimi beni giuridici protetti dall’art. 337: l’art. 7, comma 1, d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 173, ha circoscritto il campo di applicazione della parte dell’art. 131-bis, comma 2, c.p., sottoposta al vaglio di legittimità. Si è, infatti, stabilito che non si può escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto nel caso in cui il reato sia commesso nei confronti dell’ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni; per altro verso, il medesimo decreto legge ha proceduto ad estendere l’ambito di applicazione della deroga in questione ai casi di cui all’art. 343 c.p.


LA SOLUZIONE

La Corte riunisce i giudizi sollevati dai due diversi Tribunali monocratici non solo per l’ampia coincidenza delle questioni e dei parametri, ma anche perché la denunciata violazione dell’art. 77, comma 2, Cost, se effettivamente sussistente, sarebbe in grado di assorbire le questioni ulteriori.

Si precisa preliminarmente che l’art. 7, comma 1, d.l. n. 130 del 2020, quale ius superveniens rispetto alla norma impugnata, non ha mutato i termini delle questioni sollevate e, pertanto, non è necessaria la restituzione degli atti.

La Corte rigetta l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato, in quanto il difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza rileva qualora manchi un’adeguata e autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la norma censurata integrerebbe una violazione dei parametri invocati. Tale carenza non è ravvisabile nel caso di specie, avendo i rimettenti diffusamente motivato la loro tesi. Il giudice costituzionale ritiene altresì inammissibile la questione sollevata in riferimento all’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, quale parametro interposto rispetto all’art. 117, comma primo, Cost., in quanto la fattispecie in questione non è disciplinata dal diritto europeo: il reato di resistenza a pubblico ufficiale, sul quale il Tribunale rimettente è chiamato a pronunciarsi, non è ambito di attuazione del diritto europeo e, pertanto, non si può invocare la CDFUE.

In riferimento alla supposta violazione dell’art. 77, comma 2, Cost., la Corte Costituzionale sostiene che essa si può rinvenire solo quando la disposizione aggiunta in sede di conversione sia totalmente estranea o addirittura intrusa, ossia sia in grado di interrompere qualsiasi nesso di relazione tra il decreto legge e la legge di conversione. La rubrica del d.l. n. 53 del 2019 “Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica” evidenzia un oggetto eterogeneo, la cui ratio dominante è da individuare nella volontà di garantire più efficaci livelli di tutela della sicurezza pubblica. È evidente, allora, che la disposizione aggiunta, relativa ai pubblici ufficiali, non può essere considerata incoerente con la materia e con la finalità del decreto legge.

Vengono dichiarate infondate anche le questioni volte ad addurre un contrasto del 131-bis, comma 2, c.p. con gli artt. 3 e 27, comma 3, Cost (prima ordinanza) e con gli artt. 3, 25, comma 2, e 27, commi 1 e 3, Cost. Si rileva, infatti, che le cause di non punibilità rappresentano delle deroghe a norme penali generali e, per questo, costituiscono il risultato di un giudizio di ponderazione che compete al legislatore. Ne deriva che le scelte del Parlamento potranno essere sindacate solo qualora rilevino come manifestamente irragionevoli, circostanza che non sussiste nel caso oggetto del giudizio di costituzionalità in questione. Il legislatore ha, infatti, ritenuto meritevole di particolare tutela il bene giuridico, particolarmente complesso, protetto dalla norma di cui all’art. 337 c.p. e ha voluto limitare l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis c.p. D’altra parte, anche le Sezioni Unite hanno osservato che il normale funzionamento della pubblica amministrazione, tutelato dall’art. 337 c.p., deve essere inteso in senso ampio, in quanto in grado di comprendere anche la sicurezza e la libertà di determinazione delle persone fisiche che esercitano le pubbliche funzioni.

Si esclude, allora, la violazione del principio di proporzionalità e di finalismo rieducativo della pena, poiché l’art. 133 c.p. enuclea sempre i criteri a cui il giudice deve fare riferimenti nell’irrogazione della pena, a prescindere dall’applicazione del 131-bis c.p.

Infine, la Corte riferisce che i tertia individuati dal giudice a quo, al fine di evidenziare la violazione dell’art. 3 Cost., risultano sprovvisti dell’omogeneità necessaria per impostare il giudizio comparativo.


Segnalazione a cura di Irene Pisanello




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