MASSIMA “In base all'interpretazione fornita dalla Corte U.E., la nozione di «stessi fatti» ricomprende un insieme di fatti "inscindibilmente collegati tra loro", indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei fatti medesimi o dall'interesse giuridico tutelato, mentre non assume rilievo l'eventuale esistenza tra gli stessi di un nesso meramente soggettivo costituito dall'unitarietà del disegno criminoso, in quanto esso non esclude che i fatti materiali oggetto dei due processi possano essere diversi dal punto di vista temporale e spaziale, nonché per la loro natura”.
IL CASO Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza presentata dall’interessato volta ad ottenere l'applicazione del principio del “ne bis in idem” tra i fatti di ricettazione organizzata, falso in atto pubblico e banda, giudicati con sentenza del Tribunale tedesco, e quello di riciclaggio per il quale lo stesso istante è stato condannato in Italia con sentenza passata in giudicato. In particolare, il Giudice dell’esecuzione ha rilevato come nella sentenza tedesca sia stata attribuita all’interessato la condotta di aver guidato un’autovettura consapevole del fatto che essa fosse provento di furto; invece, in quella italiana è stata contestata allo stesso l’attività materiale di riciclaggio, consistente nella sostituzione della targa dell’autovettura per ostacolarne l’identificazione della provenienza da delitto. Inoltre, dalla motivazione del giudice tedesco è emerso che la contestazione del reato di ricettazione organizzata si inseriva nell’ambito di un contesto non occasionale, qual è quello del racket della ricettazione di autoveicoli. Pertanto, a parere del Tribunale i fatti oggetto delle due sentenze, tedesca e italiana, sono ben distinti, non coincidenti né per le condotte, né per i momenti di commissione. Avverso la decisione del Giudice dell’esecuzione, l’interessato, per tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, adducendo due motivi di doglianza. Con il primo motivo, egli ha lamentato la violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione alla mancata applicazione della disciplina di cui agli artt. 649, 669 c.p.p. e dell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea. Con il secondo motivo, invece, l’interessato ha lamentato la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito all’individuazione del medesimo fatto tra la sentenza italiana e quella tedesca. Infatti, secondo la ricostruzione della difesa, entrambe le sentenze avrebbero ad oggetto gli stessi fatti materiali. Invero, in Germania, la condanna per i reati di ricettazione organizzata e di banda si baserebbe sull’avere l’imputato condotto in quel Paese un veicolo provento di furto; parimenti, in Italia, la condanna per il delitto di riciclaggio avrebbe ad oggetto la medesima condotta. Inoltre, l’istante ha lamentato l’illogicità della motivazione del provvedimento del Tribunale italiano nella parte in cui esso ha sostenuto che il giudice tedesco non avesse in alcun modo valutato il reato di falso in atto pubblico (inerente ai documenti di circolazione del veicolo e al numero di telaio) nell’ottica di una condotta di riciclaggio. Infine, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
LA QUESTIONE La Corte di Cassazione, nell’esaminare la questione sottopostale, ha preliminarmente richiamato il principio del “ne bis in idem” europeo. Esso è sancito dall’art. 54 della Convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, ratificata e posta in esecuzione dall'Italia con la legge 30 settembre 1993, n. 388. In particolare, tale articolo, in coerenza con l’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, prevede che "una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un'altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita". Dunque, il principio del “ne bis in idem” europeo, per consolidata giurisprudenza sovranazionale e nazionale, opera nel diritto interno quando più fatti hanno determinato in due Stati contraenti procedimenti penali definiti con provvedimenti irrevocabili, fatti che, però, siano inscindibilmente collegati sotto il profilo materiale ed indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica. Per quanto concerne la nozione di «stessi fatti», la Corte ha, poi, precisato che essa trova un’autonoma definizione nel diritto dell’Unione Europea. L’interpretazione di tale nozione è stata, infatti, sottratta alla discrezionalità delle autorità giudiziarie dei singoli Stati membri, a garanzia di un’uniforme applicazione del diritto dell’Unione Europea. Ebbene, la Suprema Corte ha chiarito che, secondo l’interpretazione della Corte U.E., il concetto di «stessi fatti» ricomprende un insieme di fatti inscindibilmente collegati tra loro, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei fatti medesimi o dall'interesse giuridico tutelato. Inoltre, nessun rilievo assume la circostanza che tra gli stessi fatti vi sia un nesso meramente soggettivo costituito dall'unitarietà del disegno criminoso: esso, infatti, non esclude che i fatti materiali oggetto dei due processi possano essere diversi per le circostanze di tempo e di spazio, nonché per la loro natura.
LA SOLUZIONE Orbene, la Suprema Corte ha dichiarato infondati entrambi i motivi di ricorso. Innanzitutto, il primo motivo dedotto dal ricorrente, a prescindere dalla sua fondatezza in astratto o meno, è da considerarsi superato e assorbito dall’esame nel merito dell’istanza effettuato dal Giudice dell’esecuzione. Per quanto attiene al secondo motivo, anch’esso è infondato. La Corte di Cassazione ha, infatti, ritenuto che il Giudice dell’esecuzione abbia correttamente applicato il principio di “ne bis in idem” europeo, così come interpretato dalla Corte U.E. Innanzitutto, la Corte ha ribadito che il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione sia per l’elemento materiale, che si connota per l'idoneità ad ostacolare l'identificazione della provenienza del bene; sia per l’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l'identificazione. Ebbene, nel giudizio di esecuzione, la condotta di ricettazione della vettura – sanzionata in Germania – è stata correttamente distinta, da un punto di vista oggettivo e soggettivo, da quella di riciclaggio ex art. 648-bis c.p. – sanzionata in Italia – consistita nell’aver compiuto operazioni dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza da delitto della medesima vettura. Inoltre, dalla sentenza tedesca emerge chiaramente, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, come la condotta di falso sull’autovettura non sia stata valutata dal giudice tedesco ai fini del delitto di riciclaggio; infatti, l'imputazione di falso in atto pubblico atteneva al certificato di proprietà, al libretto di circolazione e alla carta verde dell'assicurazione della vettura e non, invece, alle targhe false francesi oggetto della condotta riciclatoria punita in Italia. Infine, neppure la identità soggettiva può determinare un’inscindibilità dei fatti, ciò in quanto le condotte perpetrate dal ricorrente sono distinte. Il Giudice dell’esecuzione ha, invero, ben evidenziato le diversità delle circostanze di tempo e di luogo dei fatti oggetto dei due procedimenti, le quali, peraltro, non sono state specificamente contestate nel ricorso. La Cassazione ha, pertanto, rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Segnalazione a cura di Lia Sini
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