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Diritto Penale

NE BIS IN IDEM - ABUSO INFORMAZIONI PRIVILEGIATE - Cass. Sez. V, 9 gennaio 2020, n. 397

MASSIMA: “In caso di intervenuta sanzione amministrativa irrevocabile, il giudice chiamato a decidere sulla domanda della Consob di riparazione dei danni cagionati dal reato all’integrità del mercato, ai sensi dell’art 187-undecies t.u.f., deve valutare la componente della riparazione costituente espressione della funzione sanzionatorio-punitiva della stessa alla luce del complessivo trattamento sanzionatorio ( penale e “solo formalmente” amministrativo), onde assicurare la proporzionalità del “quantum” liquidato rispetto a detto trattamento, se del caso disapplicando la predetta norma “in parte qua” così da escludere la riparazione nella sua componente sanzionatoria-punitiva.”


IL CASO L’imputato, condannato in primo e secondo grado, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello, rilevando la inosservanza ed erronea applicazione dell’art 649 c.p.p. in relazione all’art. 4 del Protocollo Addizionale n. 7 alla Cedu. La Corte d’appello avrebbe correttamente vagliato i requisiti delineati dalla sentenza della corte Edu, Grande Camera 15 Novembre 2016, A e B contro Norvegia, circa la connessione temporale tra i procedimenti, la interazione tra le diverse autorità competenti in ordine alla raccolta e alla valutazione delle prove e la prevedibilità dell’avvio di due procedimenti, ma si è posta in contrasto con l’art 4 lì dove ha ritenuto la sussistenza della connessione sostanziale tra i procedimenti richiesti dalla sentenza della Corte Edu. Infatti, secondo la tesi attorea, erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che i due procedimenti perseguirebbero uno scopo diverso, in quanto per l’applicazione della sanzione amministrativa è sufficiente la colpa: mentre nell’ambito del procedimento, l’imputato era stato condannato a titolo di dolo e, successivamente, per lo stesso titolo soggettivo è stato condannato in sede penale per gravi sanzioni. Inoltre, le sanzioni applicate dal giudice penale, sommandosi a quelle applicate da Consob, che per la loro afflittività e per il loro cumulo assumono finalità social-preventive e punitive, al pari delle tipiche sanzioni penali, farebbero venire meno la diversità di scopi perseguiti dai due procedimenti sanzionatori, diversità necessaria per escludere la violazione del principio del ne bis in idem art. Secondo il ricorrente, erroneamente la Corte d’appello ha affermato che il giudice di primo grado aveva tenuto conto delle sanzioni disposte nel procedimento amministrativo, posto che aveva applicato le pene accessorie senza considerare le sanzioni amministrative precedentemente disposte: sanzioni tutte dal contenuto sostanzialmente identico e dall’elevato carico afflittivo. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell’art 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. La corte d’appello, sempre secondo la prospettazione attorea, non ha assolto al giudizio di proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all’imputato nei termini richiesti dalle corti sovranazionali, limitandosi ad affermazioni di mero principio.

QUESTIONE La vicenda concerne il rapporto tra il principio del ne bis in idem e il regime del doppio binario sanzionatorio che caratterizza la disciplina degli abusi di mercato. Superando l’indirizzo delineato dalla sentenza della Corte Edu Grande Stevens del 2014, l’arresto A. e B. contro Norvegia ha rimarcato come gli Stati possano scegliere risposte giuridiche complementari di fronte a comportamenti sociali inaccettabili, attraverso procedure diverse che formino un insieme coerente. In forza dell’art. 4 Protocollo 7, la Corte stessa verifica se la doppia incriminazione sia il frutto di un sistema integrato che permette di reprimere un illecito sotto i suoi vari aspetti, in maniera prevedibile e proporzionata e che forma un insieme coerente, in modo tale da non causare alcuna ingiustizia all’interessato. Infatti dall’art.4 non discende il divieto di comminare una sanzione amministrativa, bensì ratio di tale norma è di prevenire l’ingiustizia per la persona che sia perseguita o punita due volte per la stessa condotta criminalizzata, ma ciò non esclude la legittimità di un approccio integrato che involga fasi parallele, condotte da autorità diverse con finalità diverse. La Corte Edu quindi, osserva che nei casi in cui è prevista la repressione in forza sia della legge penale, sia di quella amministrativa, il modo più sicuro per garantire il rispetto dell’art 4 cit. sarebbe quello di prevedere un meccanismo in grado di unificare i due procedimenti: tuttavia, l’art 4 cit. non esclude che si possano conservare procedimenti misti, anche fino alla conclusione degli stessi, purché tra tali procedimenti sussista un nesso materiale e temporale stretto e che le eventuali conseguenze devono essere proporzionate e prevedibili per la persona. Per la Corte Edu, ai fini della valutazione della sussistenza di tali condizioni è necessario valutare: a) se i procedimenti abbiano scopi complementari e investano, anche in concreto aspetti diversi della stessa condotta antisociale; b) se la duplicità dei procedimenti sia, in base alla legge e nella pratica, una conseguenza prevedibile; c) se i procedimenti siano condotti in modo tale da evitare, per quanto possibile, qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella ripetizione nella valutazione e nella raccolta degli elementi di prova, soprattutto grazie ad una interazione adeguata tra diverse autorità competenti, facendo apparire che l’accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti è stato ripreso nell’altro; d) se la sanzione, imposta all’esito del procedimento conclusosi per primo, sia stata tenuta presente nell’ambito del procedimento che si è concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull’interessato un onere eccessivo, rischio quest’ultimo che è meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l’importo globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionato. Tale presa di posizione della Corte Edu è stata confermata dalla Corte costituzionale nella sentenza 48/2018, secondo cui il ne bis in idem non opera quando i procedimenti sono avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto (“sufficiently closey connected in substance and in time”), precisando che legame temporale e materiale sono requisiti congiunti. Il legame temporale non esige la contemporanea pendenza dei procedimenti, ma ne consente la consecutività, a condizione che essa sia tanto più stringente quanto più si protrae la durata dell’accertamento. Il legame materiale dipende dal perseguimento di finalità complementari connesse ad aspetti differenti della condotta, dalla prevedibilità della duplicazione dei procedimenti, dal grado di coordinamento probatorio di essi, e soprattutto dalla circostanza che nel commisurare la seconda sanzione si possa tenere conto della prima, al fine di evitare l’imposizione di un eccessivo fardello per lo stesso fatto illecito. Rileva conclusivamente la sentenza della Corte Costituzionale 48/2018 che si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l’uno dall’altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell’oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati, ad un’unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto riguardo all’entità della pena in senso convenzionale, complessivamente irrogata. Sicché ciò che il divieto di ne bis in idem ha perso in termini di garanzia individuale, a causa dell’attenuazione del suo carattere inderogabile, viene compensato impedendo risposte punitive nel complesso sproporzionate. In altri termini: il ne bis in idem cessa di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d’atto circa la definitività del primo procedimento, ma viene subordinato ad un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al nesso che lega i procedimenti, perché in presenza di una “close connection” è permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della definizione dell’altro. In questo quadro si collocano le tre pronunce rese dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea : Menci, Garlsson Real Estate e Di Puma c. Consob. Viene in rilievo in primo luogo la necessaria base legale della disciplina del cumulo sanzionatorio e, segnatamente, la previsione dello stesso attraverso norme chiare e precise che consentano al soggetto dell’ordinamento di prevedere quali atti ed omissioni possano costituire oggetto di un siffatto cumulo di procedimenti e di sanzioni. Inoltre, si afferma che un cumulo di procedimenti e di sanzioni penali può essere giustificato allorché detti procedimenti e sanzioni riguardino, scopi complementari vertenti su aspetti differenti della medesima condotta di reato interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Infine, viene in rilievo il canone della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, il quale rinviene il proprio trattamento sanzionatorio nell’art 49 comma 3 della Carta, in forza del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato. Proprio in questa prospettiva, la Grande Sezione rileva che al cumulo di sanzioni di natura penale devono accompagnarsi norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità del reato di cui si tratti, considerato che un’esigenza siffatta discende non solo dall’art 52 paragrafo 1 della Carta, ma altresì dal principio di proporzionalità delle pene di cui all’art 49 paragrafo 3 . Sotto tale profilo quindi centrali sono: il ruolo del giudice nazionale e il riferimento alla fattispecie concreta, sia sotto il profilo della gravità dell’illecito, sia sotto quello della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, posto che spetta al giudice del rinvio valutare la proporzionalità dell’applicazione concreta della summenzionata normativa nell’ambito del procedimento principale, ponderando da un lato la gravità del reato e dall’altro l’onere risultante concretamente per l’interessato dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni di cui al procedimento principale. Tali conclusioni sono ribadite dalla Corte Costituzionale, in sentenza n. 222 del 2019, in cui viene rimarcato che l’eccessiva onerosità per l’interessato dei procedimenti amministrativo e penale deve essere esclusa allorché essi risultino avvinti da una stretta connessione sostanziale e temporale, mentre decisiva è la valutazione sulla sproporzionalità dell’irrogazione di una pena detentiva se combinata con la sanzione amministrativa già applicata.


SOLUZIONE Alla luce di tali premesse quindi viene affermato, anche nel caso di specie, che è compito del giudice nazionale verificare la sussistenza o meno del requisito della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio applicato al ricorrente. Nella verifica della compatibilità con il principio del ne bis in idem del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all’autore dell’abuso del mercato, il giudice comune deve valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri sia dell’illecito penale che di quello “formalmente” amministrativo, tenendo conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo compensativo di cui all’art 187 terdecies TUF. Qualora detta valutazione dovesse condurre a ritenere il complessivo trattamento sanzionatorio lesivo della garanzia del ne bis in idem, il giudice nazionale dovrà dare diretta applicazione al principio di cui all’art. 50 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, disapplicando, se necessario, solo in mitius, le norme che definiscono il trattamento sanzionatorio. Pertanto, la valutazione circa la proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato apre la strada a due ipotesi alternative, accomunate dall’applicazione diretta del principio di cui all’art 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, disapplicando le norme interne che definiscono il trattamento sanzionatorio, ma divergenti quanto alla portata di tale applicazione diretta della norma di diritto dell’Unione europea. La prima ipotesi è quella che implica la disapplicazione in toto della norma relativa al trattamento sanzionatorio non ancora irrevocabile, ipotesi che è dato rinvenire solo quando la prima sanzione sia, da sola, proporzionata al disvalore del fatto, avuto anche riguardo agli aspetti propri della seconda sanzione e agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato. Invero, solo in presenza di una sanzione irrevocabile, idonea da sola ad assorbire, il complessivo disvalore del fatto, dunque il giudice comune dovrà disapplicare in toto la norma che commina la sanzione non ancora irrevocabile, così escludendone l’applicazione. Tale ipotesi viene in rilievo nel caso in cui la valutazione circa la violazione del ne bis in idem riguardi la sanzione amministrativa, essendo già divenuta irrevocabile quella penale, ovvero, nel caso opposto, qualora la sanzione amministrativa (attestata sui massimi edittali in rapporto ad un fatto di gravità , sotto il profilo penale, affatto contenuta), risponda da sola al canone di proporzionalità nelle diverse componenti riconducibili ai due illeciti. Fuori dell’ipotesi eccezionale in cui la sanzione amministrativa, sia da sola, proporzionata al disvalore del fatto, valutato alla luce degli aspetti propri di entrambi gli illeciti, qualora la sanzione irrogata da Consob sia già divenuta irrevocabile, la verifica del giudice penale, circa la legittimità rispetto al principio del ne bis in idem, del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all’autore degli illeciti, può comportare esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina, dette sanzioni solo nel minimo edittale, con esclusione della multa, in virtù del meccanismo “compensativo” di cui all’art 187-terdecies TUF, e, con riguardo alla reclusione, fermo restando il limite minimo insuperabile dettato dall’art 23 cod.pen. In conclusione, afferma la Corte di Cassazione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed al risarcimento del danno con rinvio per nuovo esame.


Segnalazione a cura di Isotta Fermani.


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