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Diritto Penale

Natura e funzione della confisca per equivalente di prevenzione.

Svolgimento a cura di Tiziana Magistà


L’ordinamento prevede una pluralità di forme di confisca, eterogenee per struttura e per finalità e accomunate solo sul piano dell’effetto prodotto: l’ablazione delle res oggetto di confisca.

Per queste ragioni si suole affermare che la confisca costituisca un istituto neutro e camaleontico, tale da discostarsi, talora, dall’archetipo codicistico della misura patrimoniale di sicurezza di cui all’art. 240 c.p. e assumere natura e funzione di autentica pena.

Tra le diverse forme di confisca, particolare rilevanza assume la confisca per equivalente di prevenzione di cui all’art. 25, d.lgs. 159/2011, stante la questione relativa alla sua qualificazione giuridica, in forza della cd. concezione autonomista degli illeciti e delle pene forgiata dalla Corte EDU.

La giurisprudenza di Strasburgo ritaglia infatti, attraverso un approccio sostanziale, la veste giuridica più adatta a ciascuna ipotesi di confisca sui motivi e sulle finalità di politica criminale di ciascuna di essa. Tale disamina conduce alla tripartizione tra funzione riparatoria, punitiva e preventiva, ulteriormente distinguendo quest’ultima funzione tra finalità special-preventive di contrasto alla pericolosità e finalità anch'esse lato sensu preventive ma riconducibili comunque al concetto di punizione, che ove presenti impongono il rispetto delle garanzie previste per ogni misura rientrante nel perimetro aformalistico della “matière pénale”.

Come è facilmente intuibile, il dibattito in merito alla natura giuridica e quindi alla funzione della misura in esame non costituisce una disputa soltanto teorica.

Riconoscere alla confisca natura sostanziale di pena significa, al tempo stesso, affermare che la sua previsione normativa e la sua applicazione nel caso concreto debbano sottostare alle garanzie che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e prima ancora la stessa Costituzione stabiliscono nella materia penale: principio di legalità penale in tutti i suoi corollari (dalla sufficiente precisione della norma che stabilisce i presupposti della misura sino al divieto di applicazione retroattiva); garanzia del giusto processo in materia penale stabilita dagli artt. 111 Cost. e 6 CEDU; divieto di doppio procedimento per il medesimo fatto ai sensi dell'art. 4 prot. 7 CEDU.

Diversamente il relativo carattere di misura di prevenzione ne modificherebbe decisamente le coordinate costituzionali di riferimento e non porrebbe alcun problema di compatibilità con i principi in materia di pena sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea.

Tanto premesso in termini di inquadramento generale, prima di analizzare le problematiche concernenti la natura e la funzione della confisca per equivalente in sede di prevenzione antimafia ex art. 25, d.lgs. 159/2011, è opportuno procedere preliminarmente ad un breve esame dei due generali prototipi di equivalente, rappresentati dalla confisca dell’art. 322 ter c.p., in sede penale, e dalla confisca dell’art. 19, comma 2 d.lgs. n. 231/2001, in sede extra penale. Come si avrà modo di approfondire, tale scelta metodologica si giustifica alla luce della circostanza secondo la quale la confisca per equivalente in sede di prevenzione costituisce un’ipotesi del tutto peculiare di ablazione per equivalente, in quanto si colloca in una posizione intermedia rispetto al modello dell’art. 322 ter c.p. e dell’art. 19, comma 2 d.lgs. n. 231/2001.

La confisca per equivalente, sia nel suo modello penale che extra penale, si sostanzia contenutisticamente nell’ablazione di valori equivalenti ad altri beni che non siano direttamente confiscabili. Orbene, la confisca per equivalente, nonostante la funzione ablatoria, a differenza della tradizionale confisca di cui all’art. 240 c.p., può ricadere su beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del soggetto, non hanno neppure alcun collegamento diretto con il singolo reato. I presupposti di siffatta misura sono, quindi, la non pericolosità della res e la mancanza del nesso di pertinenzialità fra cosa e reato, nonchè l’impossibilità di eseguire la confisca diretta, cioè di rinvenire all’interno del patrimonio del reo i proventi del reato. Ne deriva il carattere sussidiario della confisca del tantundem rispetto a quella diretta, essendo la prima possibile solamente dopo che sia stato esperito inutilmente il tentativo di rinvenire nella sfera giuridico – patrimoniale del soggetto responsabile il prezzo o il profitto originario del reato, perché distratto, occultato, consumato, distrutto, oppure perché consistente in un risparmio di spesa o in un’utilità immateriale.

Proprio in ragione dei predetti requisiti strutturali siffatta confisca non è volta a sottrarre al reo la disponibilità di cose che rendono viva l’idea del reato in un’ottica di prevenzione di nuovi reati, così come avviene con riferimento alla figura di cui all’art. 240 c.p., così rispondendo, secondo l’opinione prevalente, ad una logica di tipo afflittivo al pari di ogni sanzione penale. Pertanto, alla luce dell’oggetto su cui incide, del regime giuridico cui è sottoposta, l’intento che il legislatore vuole perseguire con tale ipotesi ablativa è quello di reprimere la criminalità da profitto, ovverosia di privare il reo di un qualunque beneficio sul versante economico, non già quello di neutralizzare la pericolosità del soggetto cui tali misure devono applicarsi.


Invero, secondo la costante e uniforme giurisprudenza nazionale e sovranazionale, a conferma della natura proteiforme e della multifunzionalità che caratterizzano l’istituto della confisca nel nostro ordinamento, al di là della sua veste formale, la confisca per equivalente o altrimenti detta di valore assolve sempre una funzione afflittiva e repressiva, sì da acquisire la natura giuridica di strumento sanzionatorio , con conseguente assoggettamento al regime giuridico della pena, in particolare, al canone dell’irretroattività della legge successiva sfavorevole (artt. 25, comma 2 cost., 2 c.p. e 7 CEDU).


Deve rilevarsi che la figura descritta dallo stesso art. 322 ter c.p. pur assolvendo una funzione punitiva, si pone in continuità rispetto al modello di cui all’art. 240 c.p., in ragione dei due presupposti applicativi fondamentali che lo caratterizzano. Trattasi della sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, quale presupposto imprescindibile per l’ablazione e della non appartenenza del bene da confiscare ad un soggetto terzo, diverso dal colpevole dovendo, in altri termini, i beni da confiscare per equivalente essere beni nella disponibilità del reo; la confisca di cui all’art. 19, comma 2 d.lgs. n. 231/2001 segna una rottura ancora più marcata con la tradizionale fattispecie di confisca – misura di sicurezza penale, di cui all’art. 240c.p.

Infatti, la fattispecie di confisca di cui all’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 231/2001, pur continuando ad assolvere, come l’equivalente penale, una funzione sanzionatoria-punitiva e sostanziandosi nell’ablazione di valori equivalenti al prezzo e profitto del reato (non anche al prodotto), applicabile anch’essa in via succedanea, si discosta dal modello tradizionale di cui all’art. 240 c.p. per tre ordini di ragioni. Innanzitutto, sul versante soggettivo, poiché il destinatario dell’ablazione non è lo stesso colpevole, ovverosia l’autore del reato presupposto cui sono collegati i beni pericolosi il cui valore deve essere confiscato per equivalente, ma un soggetto diverso, ovvero l’ente, che secondo l’antico brocardo latino “societas delinquere non potest” , riconducibile al principio di personalità della responsabilità penale ex 27 comma 1 Cost., non è punibile. Inoltre, ai fini dell’applicazione dell’ablazione in esame si prescinde da una sentenza penale di condanna o di patteggiamento che accerti la responsabilità del soggetto agente persona fisica per il reato presupposto cui sono legati i beni da confiscare. In questo senso l’art. 8 d.lgs. 231/2001 dispone l’autonomia della responsabilità amministrativa dell’ente: per la disposizione della confisca, diretta o per equivalente, dell’art. 19 d.lgs. n. 231/2001, non occorre una sentenza penale di condanna del singolo agente persona fisica, bensì è sufficiente, accertata la sussistenza materiale del fatto tipico di reato, una sentenza penale di assoluzione, cui si aggiunge una sentenza di condanna autonoma dell’ente, nei cui confronti viene disposta la confisca dei beni legati al reato. Da ultimo, altro elemento discretivo è rappresentato dalla mancata previsione, per la confisca extra penale in parola, del limite applicativo della non appartenenza dell’equivalente da confiscare a soggetti terzi. Infatti, accertato il fatto tipico penale, nonché la sussistenza dell’illecito amministrativo dell’ente, a quest’ultimo sarà applicabile la confisca anche qualora il bene il cui equivalente viene confiscato appartenga ad un soggetto estraneo al reato. Solo qualora sul bene da confiscare in via diretta risultino essere stati acquistati diritti da parte di terzi in buona fede, l’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 231/2001 prevede una preclusione alla disposizione della confisca in forma specifica verso l’ente. Tuttavia, si tratta di un limite applicativo che non è riprodotto nella previsione dell’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 231/2001, ovvero nella fattispecie dell’equivalente applicata in via succedanea, sicchè è legittimo interrogarsi sul se tale limite debba ritenersi o meno estensibile in via di interpretazione analogica per la confisca di valore in questione.

Tanto premesso, la confisca di cui all’art. 25 d.lgs. n. 159/2011 rappresenta una figura di ablazione di valore che è stata introdotta, in continuità con la confisca diretta del precedente art. 24 d.lgs. n. 159/2011, in ragione della rilevata esigenza di contrastare il crimine organizzato, in particolare i delitti di stampo mafioso, anche a seguito delle stragi di mafia degli anni 90’. Il meccanismo di base in cui la confisca dell’art. 25 d.lgs. n. 159/2011 si sostanzia e che ne condiziona la natura, al pari di quello dei due modelli di confisca per equivalente innanzi descritti, è sempre dato dall’ablazione non di beni pericolosi e legati al reato, ma del rispettivo valore equivalente, il quale viene sottratto, in via sussidiaria, in ragione dell’impossibilità dell’ablazione diretta dei primi, ai sensi dell’art. 24 d.lgs. n. 159/2001. In particolare, la formulazione dell’art. 25 d.lgs. n. 159/2011, come modificata dalla L. n. 161/2017, individua l’oggetto della confisca di valore in altri beni di valore equivalente e di legittima provenienza rispetto ai beni sproporzionati e di presunta provenienza illecita, confiscabili in via diretta. Dunque, la confisca in esame, per espressa previsione di legge incide su beni leciti, o meglio sul valore equivalente dei beni pericolosi, onde la conseguente, palese, natura punitiva e non preventiva della relativa ablazione. La natura sanzionatoria della confisca ex art. 25 d.lgs. n. 159/2011 è stata confermata dalla recente evoluzione della giurisprudenza di legittimità. Infatti, da un lato, la nota sentenza Spinelli, pronunciata dalla Sezioni Unite sulla natura della confisca nell’ambito del procedimento di prevenzione, ha sostenuto la funzione preventiva della sola confisca diretta di cui all’art. 24 d.lgs. n. 159/2011 con argomentazioni che in quanto incompatibili con la relativa struttura, non sono estensibili alla successiva confisca per equivalente. Inoltre, l’essenza afflittiva dell’equivalente in sede di prevenzione è stata confermata altresì dalla recente sentenza Lucci delle Sezioni Unite. Nella pronuncia in questione, infatti, la Suprema Corte ha ribadito l’indirizzo generale e costante, consolidato dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale, secondo cui la confisca per equivalente è sempre connotata dal carattere afflittivo, esulando dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione.

Sulla base delle predette premesse può affermarsi che la confisca di cui all’art. 25 d.lgs. n. 159/2011 ha natura giuridica di pena, con conseguente applicazione dei principi cardine di ogni sanzione con funzione punitiva.

Senonchè da un’analisi più approfondita della struttura e della disciplina della confisca in discussione, con precipuo riferimento sia ai presupposti applicativi che al procedimento di applicazione, vengono in evidenza fattori incompatibili con il sistema nazionale e sovranazionale delle pene sintetizzabile con il riferimento agli artt. 3, 25, 27, 111 e 117 Cost, nonché art. 6 Cedu. Tali elementi di anomalia rispetto ai principi ordinari della pena emergono dall’analisi comparativa della struttura e della disciplina della confisca in discussione, con i due modelli di equivalente degli artt. 322 ter c.p. e 19, comma 2, d.lgs. n. 231/2001, rispetto ai quali, come osservato, la confisca in questione configura un modello intermedio.

In particolare, rispetto al modello penale, l’art. 25 d.lgs. n. 159/2011 si pone in continuità, in ragione della natura penale e non amministrativa della sanzione, nonchè della circostanza, sotto un profilo soggettivo, che di regola il destinatario della confisca per equivalente sia lo stesso soggetto persona fisica presunto autore del reato per cui potrebbe avviarsi un procedimento penale. Non già, come avviene nell’ipotesi dell’art. 19, comma 2 d.lgs. n. 231/2001, ove destinatario della misura ablativa è un soggetto diverso, ovverosia l’ente. Comunque, questa tendenziale continuità tra la figura di equivalente dell’art. 25 d.lgs. n. 159/2011 e la fattispecie di cui all’art. 322 ter c.p. non si traduce in una piena sovrapposizione tra le due ipotesi di confisca, posto che la struttura dell’equivalente in sede di prevenzione si distingue dal modello dell’art. 322 ter c.p. In specie, l’equivalente in sede di prevenzione parrebbe maggiormente affine alla struttura di confisca extrapenale prevista nei confronti degli enti. Essa, infatti, da un lato, può essere applicata indipendentemente da una sentenza penale di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti o anche solo di proscioglimento. Infatti, in stretta continuità con la disciplina della confisca diretta di prevenzione di cui al precedente art. 24 d.lgs. n. 159/2011 il presupposto applicativo richiesto per la confisca in esame è dato da un provvedimento di sequestro e confisca del valore dei beni sproporzionati e di presunta provenienza illecita, che non è possibile confiscare direttamente. In altri termini, in ragione della regola dell’autonomia dell’azione penale rispetto all’azione preventiva, di cui all’art. 29 d.lgs. 159/2011, non è necessario che venga avviato un processo penale con tutte le garanzie che ne conseguono, ma il predetto provvedimento può essere adottato dal Tribunale competente, anche d’ufficio, ovvero inaudita altera parte. Altro elemento di affinità con la struttura della confisca extrapenale prevista nei confronti degli enti è rappresentato dalla previsione di cui al comma 2 all’art. 25 d.lgs. 159/2011, il quale consente, eccezionalmente, di attenuare, derogandolo, il requisito dell’ordinaria identità soggettiva tra destinatario dell’ablazione e autore del reato, ovvero di superare il limite applicativo della non appartenenza del bene da confiscare a soggetti terzi, di cui agli artt. 240 e 322 ter c.p.

In altri termini, in alcuni casi eccezionali, in ragione della particolare tipologia di beni confiscabili per equivalente, la confisca in parola può essere disposta anche nei confronti di soggetti diversi dal presunto autore di uno dei reati indicati dall’art. 4 d.lgs. n. 159/2011, proposto per la misura preventiva, ovvero nei confronti dei suoi eredi o terzi aventi causa.

Ciononostante anche il modello extrapenale di cui all’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 231/2001 e quello di cui all’art. 25 cit. non sono pienamente sovrapponibili.

La fattispecie di confisca di valore nei confronti dell’ente, infatti, sebbene si connoti per la mancata previsione di una necessaria condanna penale nei confronti dell’agente che abbia commesso il reato presupposto, comunque non prescinde del tutto da una pronuncia penale e da un accertamento materiale del fatto di reato. In assenza di una sentenza di condanna dell’autore del reato presupposto, ai fini della confisca nei confronti dell’ente, si richiede comunque una sentenza penale di assoluzione del medesimo autore, adottata all’esito di un giusto processo, che accerti tuttavia sul piano materiale il fatto di reato e a cui accede l’ulteriore sentenza di condanna dell’ente. Senza trascurare che si può prescindere dalla condanna penale solo nei casi tassativi di cui all’art. 8 d.lgs. n. 231/2001 ovvero casi in cui l’assoluzione non dipenda dall’accertamento della insussistenza materiale del fatto di reato.

Diversamente l’equivalente in sede di prevenzione essendo applicabile a prescindere da una qualsivoglia sentenza, neppure di assoluzione a seguito di un giusto processo, darebbe vita ad una un’inaccettabile ultra efficacia del reato. Nel senso che le conseguenze negative del reato continuano a venire in rilievo, per essere neutralizzate, anche qualora penalmente manchi un colpevole. Alla luce di siffatte considerazioni, vien da sè che riconoscere la natura sostanzialmente penale della confisca ex art. 25 cit., significherebbe necessariamente ammettere la sua radicale incompatibilità con le garanzie che la Costituzione e il diritto sovranazionale sanciscono per la materia penale.

In specie, il problema non concerne soltanto le garanzie sostanziali e dunque la possibilità di applicare retroattivamente la confisca in parola, così come l’operatività del principio di colpevolezza e di personalità della responsabilità penale (art. 27, primo comma, Cost.), messo evidentemente in discussione dalla possibilità di applicare la confisca agli eredi o comunque a terzi, nonchè il principio di ragionevolezza della pena, legato alla sua funzione rieducativa, di cui agli artt. 3 e 27, comma 3 cost. Ma il problema più significativo attiene alle garanzie procedurali che dovrebbero presidiare l'accertamento dei fatti e dei presupposti della misura ablativa, i quali così come descritti nel codice antimafia sono lontanissimi rispetto a quelli previsti in un vero e proprio processo penale ex artt. 24 e 111 Cost., 6 CEDU. In altri termini, la natura sanzionatoria che connota la confisca in parola imporrebbe, come accade in presenza di ogni altra pena prevista nell’ordinamento, sia essa formale o sostanziale, l’imprescindibilità di una sentenza penale quale suo presupposto applicativo. Ma non solo, tale sentenza deve essere stata emessa all’esito di un procedimento giurisdizionale che assicuri pienamente le garanzie difensive tipiche del giusto processo e non, invece, un procedimento meno garantista come quello di prevenzione.

Inoltre, da un’analisi sistematica della disciplina in materia di confisca, emerge come lo stesso legislatore e gli interpreti quando hanno ammesso, eccezionalmente, la possibilità di applicare una confisca, punitiva o non, in assenza di una sentenza di condanna penale, non hanno comunque optato per una deroga assoluta alle regole ordinarie in materia di sanzioni penali. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alla confisca punitiva in tema di reati edilizi, di cui all’art. 44, comma 2, DPR. n. 380/2001, che, alla luce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale prevalente, è applicabile a prescindere da una condanna penale. Nondimeno è sempre necessario che sussista il presupposto di una sentenza definitiva che accerti, all’esito di un giusto processo, la sussistenza del fatto materiale di reato e adeguatamente motivi la sua rimproverabilità all’agente. Sul piano interpretativo, merita ulteriore menzione la sentenza delle Sezioni Unite Lucci, la quale ha riconosciuto innovativamente rispetto all’orientamento tradizionale l’ammissibilità di una confisca in assenza di una sentenza penale di condanna, limitando tuttavia tale previsione alle sole ipotesi di confisca con funzione di misura di sicurezza (in particolare, alle ipotesi di cui all’art. 240, comma 2, n. 1 c.p. e dell’art. 322ter, comma 1, c.p.), con conseguente esclusione delle figure di confisca per equivalente.

Ebbene, secondo taluni autori onde evitare che la misura ablativa in discussione, qualificata come sanzione penale, vada incontro all’incostituzionalità, sarebbe più opportuno concepirla come strumento ripristinatorio, cioè funzionale alla mera sterilizzazione del beneficio economico generatosi illecitamente. Secondo questa tendenza interpretativa alternativa, peraltro cautamente avvallata da una recente pronuncia della Corte Costituzionale, la confisca, non solo quella per equivalente, non ha lo scopo di punire il soggetto, bensì quello di far venire meno il rapporto di fatto del soggetto con il bene, dal momento che tale rapporto si è costituito in maniera non conforme all’ordinamento giuridico. Più precisamente, muovendo dall’assunto secondo il quale il reato non può essere considerato un modo legittimo di acquisto della proprietà, conseguentemente ben potrà l’ordinamento intervenire affinché venga neutralizzato quell’arricchimento di cui il soggetto, se non fosse stata compiuta l’attività criminosa presupposta, non avrebbe potuto godere. In questo senso la confisca in parola assolverebbe una funzione ripristinatoria in quanto non infliggerebbe un male, sub specie di perdita di un diritto, al pari di ogni sanzione punitiva, ma mirerebbe a far venir meno uno status di possesso dei beni o del denaro da chi ne abbia attualmente la disponibilità.

Alla luce di queste coordinate, la misura in esame potrà essere adottata in seno ad un procedimento non penale, come tale non necessariamente assistito dalle garanzie che la Costituzione e il diritto sovranazionale riservano alla materia penale. Dovranno essere osservate, però, le garanzie discendenti dal principio di legalità che presidia anche il diritto di proprietà (artt. 42 Cost. e 1 prot. add. Cedu), nonché il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il diritto al giusto processo (art. 111, commi 1-2 e 6, art. 6 Cedu).

Nonostante queste aperture che consentirebbero di salvare la confisca per equivalente di prevenzione dalla scure della Corte Costituzionale, va dato atto che negli ultimi dieci anni, alla confisca di valore è sempre stata riconosciuta natura sanzionatoria e quindi funzione punitiva, peraltro in senso differenziale rispetto alla confisca diretta.


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