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Diritto Penale

MISURE CAUTELARI - CAUSE GIUSTIFICAZIONE - Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 6626 del 20/02/2020

IL CASO

Con ordinanza del 02/07/2019, il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Agrigento non convalidava l’arresto in flagranza operato dalla Guardia di Finanza nei confronti del capitano di una nave appartenente ad una organizzazione non governativa (ONG), ritenuto responsabile dei reati di cui agli articoli 1100 cod. nav. e 337 cod. pen. per aver prestato soccorso in acque libiche ad alcuni naufraghi, che poi conduceva in territorio italiano per l’approdo in un “porto sicuro”. Il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Agrigento proponeva ricorso in cassazione avverso il provvedimento, asserendo che la decisione di non convalida dell’arresto si configurava come una travalicazione dei limiti cognitivi, in quanto con la stessa il Gip non si era limitato a valutare la legittimità dell’operato della Guardia di Finanza ma si era spinto ad una valutazione “nel merito”. Limitando in questa sede l’analisi ai soli aspetti sostanziali della vicenda, va evidenziato che due sono gli elementi sui quali il ricorrente ha fondato la sua richiesta: la qualifica di “nave da guerra” della motovedetta della GdF e l’assenza della causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere, erroneamente ritenuta dal Gip in ragione della valutazione complessiva del comportamento dell’imputata sin dal momento del soccorso avvenuto in acque libiche, laddove diversamente avrebbe dovuto riguardare solo il comportamento tenuto in acque territoriali italiane e ciò perché i naufraghi si trovavano già in un “place of safety”, ovvero la nave ONG, e quindi non più in pericolo di vita.


LA QUESTIONE Il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto ex art. 385 cod. proc. pen. verosimilmente sussistenti, seppur non evidenti, la causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere e quella dello stato di necessità. Sul punto la Corte evidenziava che la sussistenza e la portata della scriminante del dovere di soccorso in mare risultano dalla Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare, SOLAS – Safety of Life at Sea, Londra, 1974, ratificata dall’Italia con legge 313/1980, dalla Convenzione SAR di Amburgo del 1979, resa esecutiva in Italia con legge 147/1989 e attuata con d.p.r. 662/1994, dalla Convenzione UNCLOS delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay nel 1982 e recepita in Italia con legge 689/1994, nonché da una serie di consuetudini internazionali, vincolanti per l’Italia in virtù dell’art. 10, comma 1, Cost. In particolare, la Convenzione SAR, nel chiarire il concetto di “place of safety”, precisa che il dovere di soccorso in mare non si esaurisce nel salvataggio immediato della vita dei naufraghi, ma prosegue con una serie di obblighi accessori, tra cui lo sbarco in un luogo sicuro nel più breve tempo possibile. Le linee guida della Convenzione (parag. 6.12) precisano che una nave è considerata “luogo sicuro” solo in via temporanea e che allo stazionamento di persone sulla stessa devono essere preferite soluzioni alternative, in modo da favorire i naufraghi a inoltrare domanda di protezione internazionale, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, e da garantire il rispetto dei diritti umani, ai sensi della risoluzione 1821/2011 del Consiglio d’Europa (punto 5.2). Ad avviso della Corte il Gip aveva correttamente evidenziato come la situazione in cui si trovava la nave ONG fosse immediatamente conoscibile da parte della GdF già al momento dell’arresto dell’imputata. Quanto al profilo relativo alla violazione dell’art. 1100 cod. nav., la Corte in motivazione ha chiarito che la definizione di nave da guerra cui oggi occorre far riferimento è quella del codice dell’Ordinamento militare, approvato con d.lgs 66/2010, che ha recepito l’art. 29 della Convenzione di Montego Bay, in cui si precisa che è nave “da guerra” l’imbarcazione che appartiene alle Forze Armate di uno Stato, è munita dei segni distintivi delle navi militari, è sotto il comando di un ufficiale di Marina, iscritto nell’apposito ruolo e il suo equipaggio è sottoposto alla disciplina militare. La motovedetta in questione, pur rientrando nella più generica categoria di nave militare, al momento dei fatti era sotto il comando di un maresciallo della GdF, ruolo che, per definizione, non rientra nella categoria degli ufficiali cosicchè, in assenza di uno dei requisiti, non poteva essere considerata “da guerra”. La Corte di cassazione ha evidenziato come il legislatore in più occasioni abbia statuito che le navi della Guardia di Finanza possono solo in alcuni casi essere equiparate alle “navi da guerra”, così escludendo implicitamente che lo siano sempre, richiamando sul punto la sentenza n. 35/2000 della Corte costituzionale in cui si è precisato che le navi della Guardia di Finanza sono navi militari e che l’unico caso in cui sono considerate navi da guerra si ha quando operano fuori dalle acque territoriali o in porti esteri privi di autorità consolare.


LA SOLUZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo immune da censure il provvedimento di non convalida.





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