LA MASSIMA
“Solo la determinazione extra o contra legem della pena da applicare invalida la base negoziale sulla quale è maturato l’accordo e inficia la sentenza che lo ha recepito, con conseguente nullità della pronuncia, non anche, perché non rientra nella nozione di pena illegale delineata dalla giurisprudenza consolidata, la individuazione del reato più grave che, in caso di applicazione della pena tra fatti già giudicati e da fatti da giudicare, si sviluppa secondo le regole che coinvolgono l’apprezzamento in concreto della gravità del reato”.
IL CASO
Con sentenza di primo grado, il Tribunale applica ad un soggetto la pena di cinque mesi di reclusione, ai sensi dell’art. 81, comma 2, c.p., in aumento sulla pena base a cui lo stesso era stato condannato in via definitiva per i reati di cui agli artt. 337 e 56 c.p., 635, comma 2, n. 1, c.p. e 340 c.p. Il Procuratore generale propone ricorso per l’annullamento della sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con la quale è stato disposto l’aumento della pena nella suddetta misura per il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. e altri reati satellite di cui agli artt. 612, comma 2, c.p., 610 c.p. in comb. disp. con art. 56 c.p., 674 c.p. e 341 c.p., sulla pena recata da precedente sentenza passata in giudicato relativa ad altro reato e parimenti emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. Il ricorrente deduce, in particolare, che la determinazione dell’aumento di pena nella misura di cinque mesi di reclusione è illegale perché inferiore al minimo edittale previsto per il reato di cui all’art. 572 c.p. e, quindi, determinata in violazione delle regole che disciplinano la continuazione tra i reati.
LA QUESTIONE
La sentenza esamina la questione della legalità della pena.
Il ricorrente, in particolare, richiama il precedente della Corte di Cassazione, secondo cui, in tema di patteggiamento, deve essere annullata senza rinvio ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., in quanto dà luogo a pena illegale, la sentenza che recepisce un accordo tra le parti relativamente a un reato continuato per il quale la pena base risulti quantificata, a causa dell’errata individuazione del reato più grave, in misura inferiore al minimo edittale di altro reato considerato satellite.
Sulla questione della pena illegale, la giurisprudenza si è pronunciata a più riprese e, da ultimo, la relativa nozione è stata precisata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 33040 del 26 febbraio 2015 (Jazouli). In questa occasione i giudici di legittimità hanno chiarito che, in applicazione del principio di legalità del trattamento sanzionatorio, la pena è illegale quando non corrisponde, per specie o per quantità, sia in difetto che in eccesso, a quella astrattamente prevista dalla fattispecie incriminatrice, ponendosi dunque in contrasto con il sistema sanzionatorio legislativamente predeterminato. La pena inflitta extra o contra legem deve sempre essere rimossa, non solo tramite i rimedi previsti nell’ambito del giudizio di cognizione, ma anche in sede esecutiva, dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
Con particolare riferimento al rapporto tra illegalità della pena e validità dell’accordo di patteggiamento sottostante, la sentenza Jazouli ha specificato che l’illegalità della pena applicata all’esito del patteggiamento rende invalido l’accordo concluso dalle parti e ratificato dal giudice, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza che lo ha recepito.
LA SOLUZIONE
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, dopo aver richiamato i principi espressi dalle Sezioni Unite Jazouli, esclude che vengano in rilievo violazioni attinenti alla determinazione in concreto di una pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per il reato, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali, ma la individuazione in concreto del reato più grave sulla base del quale le parti si sono determinate all’accordo poi ratificato dal giudice.
Ad avviso dei giudici di legittimità, dunque, nella fattispecie in esame non risultano violate le regole che disciplinano l’individuazione dei limiti edittale della pena ma, al più, le regole che riguardano l’individuazione del reato più grave. Quest’ultimo vizio, tuttavia, non rende la pena illegale, alla luce dei principi giurisprudenziali consolidati, in quanto l’illegalità ricorre quando l’errore di determinazione della pena consista nell’aver indicato come pena base una pena inferiore a quella prevista come minimo edittale per i reati legati dal vincolo della continuazione contemporaneamente giudicati dallo stesso giudice.
Quando, invece, vi è continuazione tra reati in parte decisi con sentenza definitiva e in parte “sub iudice”, come nell’ipotesi in discussione, il presupposto per la determinazione della pena è rappresentato dalla maggior gravità delle violazioni che deve essere compiuta confrontando la pena irrogata per i fatti già giudicati con quella che deve essere irrogata per i nuovi reati.
In definitiva, i principi enunciati dalla giurisprudenza consolidata valgono solo in caso di reati che devono essere contemporaneamente giudicati dallo stesso giudice, mentre nell’ipotesi in esame è al più configurabile un errore concernete l’individuazione del reato più grave, che si traduce in una erronea applicazione della legge penale, non deducibile con il ricorso per cassazione in ipotesi di definizione del procedimento con applicazione della pena e non integrante pena illegale.
Segnalazione a cura di Veronica Proietti
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