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Diritto Penale

Linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente – Caso Thyssenkrupp


Sezioni Unite, 18 settembre 2014 n. 38343

A cura di Maria Isotta Fermani

LA MASSIMA

“In ossequio al principio di colpevolezza la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente va individuata considerando e valorizzando la diversa natura dei rimproveri giuridici che fondano l’attribuzione soggettiva del fatto di reato nelle due fattispecie.

Nella colpa si è in presenza del malgoverno di un rischio, della mancata adozione di cautele doverose idonee a evitare le conseguenze pregiudizievoli che caratterizzano l’illecito. Il rimprovero è di inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale anche quando la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza, spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile. In tale figura manca la direzione della volontà verso l’evento, anche quando è prevista la possibilità che esso si compia (colpa cosciente).

Nel dolo si è in presenza di organizzazione della condotta che coinvolge, non solo sul piano rappresentativo, ma anche volitivo la verificazione del fatto di reato”.


IL CASO

In seguito ad un incendio scoppiato nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 nell’acciaieria torinese di proprietà della multinazionale tedesca ThyssenKrupp, avevano trovato una morte orribile sette operai addetti alla linea di ricottura e decapaggio, e a fronte di ciò erano stati chiamati a rispondere in sede penale l’amministratore delegato e cinque dirigenti della società proprietaria dello stabilimento per i delitti di omicidio volontario (art. 575 c.p.) e incendio doloso (art. 423 c.p.). Successivamente, in data 28 febbraio 2013, parzialmente persuasi dagli argomenti delle difese degli imputati, i giudici della prima sezione della Corte di Assise di Appello di Torino riqualificavano i fatti contestati all’A.D. nei delitti di omicidio colposo e incendio colposo, entrambi aggravati dalla previsione dell’evento, ritenendo assorbito, per tutti gli imputati, il delitto di incendio colposo nel delitto di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, aggravato dalla verificazione dell’evento di disastro e infortuni (art. 437 comma 2 c.p.), per l’operare del «principio di specialità».

In data 24 aprile 2014, infine, la sentenza d’appello veniva a sua volta parzialmente annullata dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite, con sentenza dalla motivazione assai articolata e discussa.

LA QUESTIONE

Criterio distintivo tra dolo eventuale e colpa cosciente, nonché l’elaborazione del c.d. decalogo per la prova del dolo eventuale

LA SOLUZIONE

La pronuncia in esame, dal punto di vista teorico, può essere a ben vedere considerata una sorta di “statuto” sui principi fondamentali del diritto penale ed infatti affronta plurime questioni di rilievo generale.

In primo luogo la problematica della selettiva individuazione dei garanti in strutture complesse con il problema della delega.

A tal riguardo viene in rilievo il d.lgs. 81/2008, il quale ha positivizzato decenni di arresti pretori sul punto, e nel quale vengono elencate le varie posizioni di garanzia (datore di lavoro, dirigente, preposto). Si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo cui concretamente dispongono in relazione alla sfera di rischio cui sono chiamati a governare e a tal riguardo di grande interesse è l'art. 299: l'acquisizione della veste di garante può aver luogo per effetto di una formale investitura, ma anche a seguito dell'esercizio in concreto e di fatto di poteri giuridici riferiti alle diverse figure.

Tale tendenza di ricercare responsabilità effettiva e non capri espiatori, in ossequio ad una concezione sostanziale e non meramente formale del diritto penale, si evince anche da altre norme. Nella legge fallimentare l’articolo 147 afferma che se si viene a conoscenza dell’esistenza di un socio occulto, del quale i creditori ignoravano l’esistenza, il fallimento si estende anche a quest’ultimo.

L’art 5 lettera a) della 231/2001sulla responsabilità amministrativa degli enti, contempla tra i soggetti responsabili anche gli amministratori “di fatto” come l’imprenditore occulto o la holding se il soggetto ha esercitato in modo continuativo e significativo i poteri tipici della qualifica. In materia di reati societari l’art 2639 cc estende l’incriminazione a soggetti ulteriori rispetto ai titolari formali di qualifiche soggettive.

Per quanto concerne l’istituto della “delega” si conferma la tesi che essa opera una traslazione del rischio purché sia effettiva ed in forma scritta ad substantiam, ad eccezione del cd “residuo non delegabile” inteso come obbligo di alta vigilanza sul soggetto delegato.

Viene poi richiamato il tema dell’interruzione del nesso causale nell’ambito di processi inerenti ad infortuni sul lavoro. Ciò perché il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralità dell'idea di rischio: tutto il sistema è conformato per governare l'immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l'uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. Il rischio è categorialmente unico ma si declina concretamente in diverse guise in relazione alla differenti situazioni lavorative. Questa esigenza di delimitazione delle sfere di responsabilità è attuata anche attraverso lo strumento normativo costituito dall'art. 41 cpv. cod. pen. Infatti, la diversità dei rischi interrompe, per meglio dire separa le sfere di responsabilità. Così, ad esempio, nel caso di abusiva introduzione notturna da parte del lavoratore nel cantiere irregolare, si è distinto implicitamente tra rischio lavorativo e rischio da ingresso abusivo ed è stata annullata la pronunzia di condanna anche se il datore di lavoro aveva violato le prescrizioni antinfortunistiche (Sez. 4, n. 44206, del 25/09/2001, Intrevado, Rv. 221149). La vittima è occasionalmente un lavoratore, ma la situazione pericolosità nella quale si è verificato l'incidente non è riferibile al contesto della prestazione lavorativa, sicché non entrano in questione la violazione della normativa antinfortunistica e la responsabilità del gestore del cantiere.

Fino a qui la Cassazione si è limitata a dare conferma a principi già pacifici nel nostro ordinamento, mentre le novità riguardano la nuova lettura della cooperazione colposa art 113 cp, ed infine il discrimen tra dolo eventuale o colpa cosciente.

Per quanto riguarda la cooperazione colposa da tempi storici si discute se l’art 113 cp abbia una funzione sostanzialmente ricognitiva di fatti che sarebbero autonomamente punibili in base ad altre norme, limitandosi a prevedere per questi ultimi un’apposita disciplina oppure, se tale norma rivesta anche una funzione incriminatrice così estendendo la responsabilità penale a condotte che se autonomamente considerate non potrebbero integrare gli estremi del reato.

La tesi di coloro che affermano che l’art 113 cp ha solo una funzione di disciplina ritengono che tutte le fattispecie monosoggettive colpose siano causalmente orientate e a forma libera e per tal motivo ogni causazione dell’evento sia tipica e punibile già dal reato monosoggettivo colposo ed l’art 113 cp avrebbe solo la funzione di applicare a tali ipotesi la disciplina concorsuale.

A questa impostazione si obietta che in realtà esistono fattispecie monosoggettive di parte speciale colpose ma a forma vincolata e in relazione a queste, l’art 113 cp conserva una funzione incriminatrice di tutte le condotte che, non essendo di per sé tipiche alla stregua della fattispecie monosoggettiva colposa, non potrebbero essere altrimenti punite in assenza di un’espressa clausola di estensione della punibilità.

Tale tesi reputa che la disciplina della cooperazione colposa eserciti una funzione estensiva dell'incriminazione rispetto all'ambito segnato dal concorso di cause colpose indipendenti, coinvolgendo anche condotte atipiche, agevolatrici, incomplete, di semplice partecipazione, che per assumere concludente significato hanno bisogno di coniugarsi con altre condotte. Tale ultimo indirizzo è implicitamente accolto nella giurisprudenza di legittimità. Esso è senz'altro aderente alle finalità perseguite dal codificatore che, introducendo la disciplina di cui si discute, volle troncare le dispute esistenti in quell'epoca, esplicitando la possibilità di configurare fattispecie di concorso anche nell'ambito dei reati colposi.

La Cassazione ha ribadito che l’art 113 cp svolge una funzione estensiva dell’incriminazione generale e non solo con riferimento alle fattispecie monosoggettive colpose a forma vincolata.ma anche con riguardo ai reati a forma libera e causalmente orientati: il cooperante risponde anche senza aver violato alcuna regola cautelare ma inserendosi in un generale contesto di rischio comune e agevolandone l’esecuzione.

Tuttavia tale approdo ermeneutico, come si può ben evincere, reca con se il rischio di un’incontrollata estensione della responsabilità penale, nonché si è anche messo in guardia sul rischio di violazione

dell’art. 27 cost, poiché se l’agente può essere chiamato a rispondere del delitto colposo altrui anche se non ha violato alcuna regola cautelare, questa responsabilità finisce per essere attribuita a titolo oggettivo in dispregio del canone di personalità ex art 27 cost.

Proprio al fine di contenere il rischio di un estensione incontrollata della punibilità, un orientamento dottrinale ha affermato che nella colpa concorsuale il legame psicologico che deve connotare ciascun partecipante, è la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta, ossia si pretende che il soggetto sia consapevole che altri stiano violando regole cautelari.

Ma postulando in tal modo si è finito per circoscrivere la portata dell’art 113 cp solo alle ipotesi in cui il soggetto cooperante versi in colpa cosciente richiedendosi la previsione che altri abbiano violato regole cautelari, ovvero in taluni casi addirittura il dolo eventuale poiché se il compartecipe si rendesse conto del carattere imprudente dell’altrui condotta violativa di regole cautelari e fosse consapevole di cooperare con una condotta così caratterizzata, si rappresenterebbe la possibilità di realizzazione dell’evento e verserebbe quindi in una situazione di dolo eventuale.

Proprio per tali obiezioni, la Cassazione ha cercato di rendere più elastiche le maglie applicative dell’art 113 cp affermando che il legame psicologico richiesto dalla norma, che connota la colpa di concorso, è rappresentato dalla mera consapevolezza della convergenza della propria condotta con quella altrui.

Tale consapevolezza di cooperare con altri al medesimo reato, vale anche a distinguere tale ipotesi ex art 113 cp, dal concorso di cause indipendenti disciplinato all’art 41 cp comma 3 in cui si ha solo una pluralità di reati monosoggettivi con unicità di evento determinato da una fortuita coincidenza di più condotte (esempio di scuola:

incidente cagionato da due automobilisti provenienti da direzioni opposte e operanti l’uno all’insaputa dell’altro).

Tuttavia la cassazione in questo caso, spinta da ratio di legalità e tipicità, ha ridimensionato l’importanza del nesso psicologico quale proprium della cooperazione colposa, per dar rilievo ad elementi antecedenti al profilo soggettivo caratterizzanti la tipicità normativa stessa.

Si afferma cioè che l’art 113 cp trova applicazione nei casi in cui il coinvolgimento di più soggetti è previsto dalla legge o da esigenze organizzative connesse alla gestione di un rischio comune.

In questi casi il legame psichico tra condotte di più concorrenti crea una fattispecie diversa dal fatto colposo monosoggettivo, contraddistinta da un’interazione consapevole di comportamenti che diventano collettivamente colposi in virtù dell’innalzamento della soglia del pericolo innescato da azioni sinergiche.

È tale intreccio cooperativo, che riflettendosi dal piano materiale a quello soggettivo, fa sì che l’intero fatto di reato sia proprio al tempo stesso dell’autore e del partecipe e dunque ciò legittima la pretesa di interazione prudente da ciascun agente con deviazione rispetto al principio generale di affidamento e di autoresponsabilità.


Infine la tematica cruciale scandagliata funtidus dalla sentenza in esame riguarda l’actio finium regundorum tra dolo eventuale e colpa cosciente che è da sempre stata oggetto di dibattito nel quale sono emerse quattro grandi impostazioni: le teorie soggettive intellettualistiche, le teorie soggettive volontaristiche, le miste ed infine le oggettivistiche.

Le tesi oggettivistiche del tutto superate, pretendono di riscontrare la sussistenza del dolo eventuale già a livello di fattispecie obiettiva muovendo dall’idea che sarebbe già la natura del rischio assunto a far sì che si versi nell’ambito di una fattispecie dolosa o colposa, senza che sia necessario indagare sull’effettivo atteggiamento interiore dell’agente. In particolare le ipotesi di rischio cd schermato ossia controllabile rilevano ai fini della colpa cosciente, mentre nel rischio non schermato in cui l’agente non è in grado in alcun modo di controllare il decorso causale da lui avviato depone per il dolo eventuale. L’impostazione tuttavia si è prestata alle obiezioni critiche di chi ha sottolineato la difficile compatibilità con la regolamentazione positiva del dolo di tesi volte a scorgere l’ubi consistam di tale criterio di imputazione soggettiva prescindendo totalmente dall’effettivo atteggiamento interiore.

L’indagine quindi non può non vertere sull’effettivo atteggiarsi della previsione e della volontà dell’agente.

Nell’ambito invece delle teorie soggettive si distinguono quelle intellettualistiche che fondano il discrimen tra dolo eventuale e colpa con previsione solo sull’elemento rappresentativo e viceversa quelle volontaristiche che invece danno esclusivamente rilievo al profilo volontaristico.

Tra quelle intellettualistiche classiche si rammentano: la teoria cd della probabilità, della possibilità, e le cd teoria emotiva dell’indifferenza o dell’approvazione.

Per la teoria della probabilità il dolo eventuale sussiste per il solo fatto che l’agente si rappresenta l’evento come conseguenza probabile della propria condotta senza che sia necessario il riscontro di alcun coefficiente volontaristico e all’opposto si versa nell’ambito di colpa cosciente allorché il soggetto attivo consideri l’evento soltanto possibile.

Tale tesi affidando ad un fattore meramente “quantitativo” il proprium della distinzione tra dolo e colpa con previsione ha obliterato l'importanza dell’elemento volitivo.

Sempre nell’ambito della teoria intellettualistica vi è quella della cd “possibilità” in cui la punibilità a titolo di dolo eventuale presuppone la sola rappresentazione della possibile verificazione dell’evento, tenendo presente però il tipo di conoscenza posseduta dal soggetto attivo.

Tuttavia tale approccio che ravvisa una responsabilità a titolo di dolo anche laddove l’agente si sia prospettato l evento in un’ottica di mera possibilità, comporta un vistoso contrarsi dell’area della preterintenzione.

Infine nell’ambito delle teorie soggettivistiche di matrice intellettualistica va ricordata quella che pone l’accento sull’atteggiamento interiore dell’autore rispetto all’evento (cd emotive): verserà in dolo eventuale chi si sia posto in una posizione di indifferenza rispetto all’evento e in colpa con previsione chi, pur prevedendo l’evento, non ne desideri la verificazione e speri ed auspichi che non si verifichi. Tuttavia tale tesi è superata poiché fa dipendere la distinzione da entità psichiche quali la fiducia, speranza auspicio ecc..non coincidenti con la nozione di volontà.

Queste tesi cd intellettualistiche che pretendono di individuare il discrimen tra dolo eventuale e colpa cosciente sul profilo meramente rappresentativo, trascurando il coefficiente psicologico di adesione all’evento previsto, sono state fatte proprie dai giudici nella sentenza di primo grado sul caso Thyssen i quali, ricostruendo il comportamento dell’amministratore delegato, hanno dedotto che egli versasse in dolo eventuale, inteso quest’ultimo come rappresentazione della concreta possibilità del verificarsi dell’evento e accettazione del rischio; si verserebbe invece nell’ambito della colpa cosciente quando l’agente abbia posto in essere la condotta nell’assoluta certezza della non verificazione dell’evento.

Diverse le teorie volontaristiche le quali si connotano per la valorizzazione del solo profilo volitivo nel differenziare tra dolo eventuale e colpa cosciente.

Tra queste va menzionata la cd Formula di Frank, la quale è stata adottata dalla corte d’assise di Torino, che attribuisce al giudice il compito di verificare quale sarebbe stato il comportamento del soggetto agente ove fosse stata certa la verificazione dell’evento da lui non desiderato, reputando sussistente il dolo eventuale allorchè si constati che questi avrebbe agito comunque.

In altri termini si ha dolo eventuale quando il soggetto avrebbe agito “costi quel che costi” dando incondizionata prevalenza al fine prefissato, mentre si ha colpa con previsione se tale certezza avrebbe trattenuto l’agente.

Questa tesi non risulta accolta oggi e rappresenta soltanto “un indizio” rietranti tra quelli che la cassazione ha individuato nel decalogo sul dolo eventuale.

Prevalgono pertanto le tesi cd “miste” in cui rappresentazione e volontà del reo vengono valorizzate congiuntamente, tra le quali per molto tempo è prevalsa quella cd dell’accettazione del rischio seguita a lungo dalla giurisprudenza.

Tale tesi della cd accettazione del rischio beninteso non va confusa con la Teoria di Frank: mentre nella teoria di Frank il giudice deve chiedersi che cosa il soggetto avrebbe fatto se avesse avuto la certezza del verificarsi dell’evento; viceversa secondo la teoria mista il limite del dolo eventuale è rappresentato dalla certezza del non verificarsi dell’evento.

In ogni caso proprio nella sentenza in esame sul caso Thyssen la Cassazione ha elaborato la tesi più evoluta rispetto a quella della mera accettazione del rischio, ossia la tesi del “bilanciamento”.

Si afferma che dolo eventuale e colpa cosciente mentre hanno in comune sia l’elemento della rappresentazione dell’evento non direttamente perseguito, che l’elemento consistente dell’accettazione del rischio, si distinguono perché nel dolo eventuale il rischio dev’essere accettato a seguito della deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene a un altro.

Il che reca con sé che la prova processuale della riconducibilità alla categoria del dolo eventuale dell’atteggiamento soggettivo dell’agente, lungi dal poter essere raggiunto con la sola dimostrazione che il soggetto attivo ha “accettato il rischio” di cagionare un determinato evento, passa viceversa, per la ben più stringente e complessa dimostrazione che tale accettazione sia il frutto di un consapevole “bilanciamento” tra l’interesse perseguito e il bene eventualmente leso, conclusosi con la scelta di sacrificare quest’ultimo sull’altare degli interessi dell’agente.

Il giudice al fine di concludere per la sussistenza del dolo eventuale deve comprendere se l’agente, dopo aver tutto soppesato, dopo avere considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia consapevolmente determinato ad agire comunque, ad accettare l’eventualità della causazione dell’offesa, esprimendo così una scelta razionale il più possibile assimilabile alla volontà.

La Cassazione in tale sentenza fa un “decalogo” di indizi o indicatori che dovrebbero guidare l’organo giudicante nell’accertamento del dolo eventuale:

-negli illeciti di sangue deve aversi riguardo a caratteristiche dell'arma, la ripetizione dei colpi, le parti prese di mira e quelle colpite

-negli ambiti governati da discipline cautelari, la lontananza della condotta standard (quanto più grave ed estrema è la colpa tanto più si apre la strada ad una cauta considerazione della prospettiva dolosa).

-la personalità, la storia e le precedenti esperienze talvolta indiziano la piena, vissuta consapevolezza delle conseguenze lesive che possono derivare dalla condotta; e la conseguente accettazione dell'evento (nel caso della donna che aveva trasmesso il virus HIV al partner, vi era l'esperienza di un evento analogo che aveva colpito il precedente compagno, conducendolo alla morte ed il peso di una così drammatica circostanza è con tutta evidenza capace di orientare la lettura in chiave dolosa dei ripetuti, successivi contatti sessuali).

-la durata e la ripetizione della condotta (un comportamento repentino, impulsivo, accredita l'ipotesi di un'insufficiente ponderazione di certe conseguenze illecite)

-la condotta successiva al fatto (la fattiva e spontanea opera soccorritrice può aver peso nell'accreditare un atteggiamento riconducibile alla colpa e non al dolo eventuale e per contro, l'estremo tentativo di fuga del ladro, pur dopo il disastroso urto mortale, mostra appieno la estrema determinazione del tentativo di sottrarsi a qualunque costo all'intervento di polizia; e dunque l'adesione alla drammatica prospettiva poi realizzatasi.

-la probabilità di verificazione dell’evento (tanto più alta la percezione dell’agente della probabilità di verificazione dell’evento, quanto più il giudice può scorgere i segni di un atteggiamento riconducibile alla sfera del volere).

-il contesto lecito o illecito in cui si è svolto il fatto (una situazione illecita di base indizia più gravemente il dolo)

-il fine della condotta e la motivazione di fondo relativa alla congruenza del prezzo da pagare connesso all’evento e le conseguenze lesive negative che derivano anche per l’agente stesso in caso di verificazione.

-Infine la prima formula di Frank, ogni volta in cui il giudice sia in possesso di informazioni che consentano di esperire il controfattuale e di rispondere con sicurezza alla domanda su ciò che l’agente avrebbe fatto se avesse conseguito la sicura verificazione dell’evento collaterale.


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