DISPOSITIVO:
"LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Pisa, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36, recante «Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 76 e 77, primo comma, Cost., dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Treviso e dal Tribunale ordinario di Milano, sezione quinta penale, con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis cod. pen., sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Pisa, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2020".
BREVI ANNOTAZIONI REDAZIONALI
Con sentenza n. 248 del 4 novembre 2020, depositata in data 25 novembre, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis c.p., sollevata dal Tribunale di Pisa in riferimento all’art. 3 Cost.
In particolare, il giudice a quo ha lamentato la “mancata previsione della procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590 bis c.p.”, introdotto con legge 23 marzo 2016, n. 41, con abrogazione della previgente fattispecie di lesioni personali colpose aggravate, di cui all’art. 590 c.p., procedibile invece a querela di parte.
Nell’ordinanza di rimessione, il Tribunale ritiene irragionevole la previsione indiscriminata della procedibilità d’ufficio per tutte le ipotesi di lesioni stradali gravi o gravissime, a prescindere dalla sussistenza o meno dell’aggravante relativa all’ebbrezza alcolica o all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, atteso il diverso grado di disvalore di tale fattispecie.
La Corte ha condiviso sul punto che le ipotesi base del delitto di lesioni stradali colpose, previste dal primo comma dell’art. 590 bis c.p., appaiono normalmente connotate da un minor disvalore sul piano della condotta e del grado della colpa, evidenziando inoltre che le fattispecie ivi disciplinate hanno come possibile soggetto attivo non solo il conducente di un veicolo a motore ma anche, ad esempio, chi circoli sulla strada a bordo di una bicicletta.
Nella sentenza si sottolinea inoltre che, pur concernendo condotte produttive di gravi danni all’integrità fisica delle persone offese, tali fattispecie hanno per presupposto la violazione di qualsiasi norma relativa alla circolazione stradale diversa da quelle previste specificamente nei commi successivi e nelle quali possono incorrere anche gli utenti della strada più esperti.
Viene pertanto riconosciuto che, sul piano dell’offensività, tali violazioni sono connotate da un disvalore inferiore a quello proprio delle assai più gravi ipotesi di colpa cui si riferiscono i successivi commi dell’art. 590 bis c.p., le quali sono caratterizzate in gran parte dalla consapevole (o addirittura temeraria) assunzione di rischi irragionevoli: ad esempio da parte di chi si ponga alla guida di un veicolo avendo assunto sostanze stupefacenti o significative quantità di alcool, ovvero superi del doppio la velocità massima consentita, circoli contromano o, ancora, inverta il senso di marcia in prossimità di una curva o di un dosso.
Ne consegue, secondo la Consulta, che a fronte di condotte consistenti in occasionali disattenzioni, pur se produttive di danni significativi a terzi, potrebbe discutersi dell’opportunità dell’indefettibile celebrazione del processo penale a prescindere dalla volontà della persona offesa, specie laddove a quest’ultima sia stato assicurato l’integrale risarcimento del danno subito; e ciò anche a fronte dell’esigenza – di grande rilievo per la complessiva efficienza della giustizia penale – di non sovraccaricare quest’ultima dell’onere di celebrare processi penali non funzionali alle istanze di tutela della vittima.
Pur condividendo le premesse da cui muove il giudice a quo, la Corte ha dichiarato tuttavia infondata la questione (laddove le annesse questioni sono state dichiarate inammissibili o manifestamente infondate), richiamando il proprio tradizionale orientamento secondo cui le scelte sanzionatorie del legislatore possono essere sindacate soltanto entro i limiti della manifesta irragionevolezza (sentenze n. 190 del 2020, n. 155 e n. 40 del 2019, n. 222 del 2018 e n. 236 del 2016), applicabile anche in relazione al regime di procedibilità dei singoli reati (ordinanza n. 178 del 2003).
Tale presupposto indefettibile non è stato ravvisato in relazione al regime di procedibilità delle lesioni stradali ex art. 590 bis c.p. e nel contempo, la Corte ha evidenziato che l’ordinanza di rimessione chiedeva l’estensione a tutte le condotte punite dal comma primo dell’art. 590 bis c.p. del regime di procedibilità a querela, ivi comprese fattispecie caratterizzate da violazioni delle norme sulla circolazione stradale commesse con piena consapevolezza e necessariamente foriere di rischi significativi per l’incolumità altrui, rispetto alle quali il legislatore ha – non irragionevolmente – avvertito il bisogno di un’energica reazione sanzionatoria, finalizzata a rafforzare l’efficacia deterrente della norma indipendentemente dalla richiesta di punizione della persona offesa.
Un ultimo profilo affrontato in sentenza riguarda infine la disparità di trattamento denunciata dal giudice a quo in relazione al differente regime di procedibilità previsto per le lesioni stradali e le lesioni provocate nell’ambito dell’attività sanitaria, che la Corte ha ritenuto insussistente, dal momento che quest’ultima è stata recentemente oggetto di ripetuti interventi da parte del legislatore miranti proprio a delimitare l’ambito della responsabilità degli operatori sanitari rispetto ai criteri applicabili alla generalità dei reati colposi, onde contenere i rischi necessariamente connessi all’esercizio di una professione essenziale per la tutela della vita e della salute dei pazienti ed evitare, così, il ben noto fenomeno della cosiddetta “medicina difensiva”, produttivo di inutili sprechi di risorse pubbliche e scarsamente funzionale rispetto agli stessi scopi di tutela della salute.
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