LA MASSIMA
“Quando emergano circostanze di fatto che giustifichino la ragionevole persuasione di una situazione di pericolo e sorreggano l'erroneo convincimento di versare nella necessità di difesa, tali circostanze, anche se considerate non del tutto certe, portano ugualmente a ritenere sussistente la legittima difesa putativa”.
IL CASO
La Corte di appello confermava la sentenza con cui il Giudice dell'udienza preliminare, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava l’imputato responsabile di rissa aggravata, tentato omicidio e porto ingiustificato di un coltello, condannandolo, ritenuta la continuazione e in concorso dell'attenuante di cui all'art. 89 c.p. equivalente alla recidiva, alla pena di 5 anni e 10 giorni di reclusione.
Secondo la contestazione, nel corso di una rissa, l’imputato aveva sferrato una coltellata all’addome della vittima, cagionandogli lesioni personali.
Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva per Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza, lamentando il mancato riconoscimento della legittima difesa, anche putativa.
LA QUESTIONE
La Suprema Corte, nella sentenza in esame, ha esaminato l’esimente della legittima difesa con particolare riferimento alla sua applicabilità al reato di rissa.
I giudici, difatti, rammentano che, per pacifico arresto, la legittima difesa è inapplicabile al reato di rissa e a quelli commessi nel corso di essa, potendo essere eccezionalmente riconosciuta solo nell'ipotesi in cui, nella sussistenza degli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata un'azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un'offesa diversa e più grave di quella accettata, quindi, nuova, autonoma e in tal senso ingiusta.
Invero, l'art. 588 c.p. delinea una fattispecie di reato plurisoggettivo che necessita per la sua esistenza una violenta contesa tra gruppi contrapposti che si fronteggino, scambiandosi, in maniera reciproca e contestuale, atti di violenza fisica con vicendevole intenzione offensiva dell'altrui incolumità personale, solo in siffatto contesto essendo irrilevante individuare chi per primo sia passato a vie di fatto.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte, sottolinea che l'esimente della legittima difesa non è applicabile a chi abbia agito nella ragionevole previsione di determinare una risposta aggressiva e che una mera discussione, poco importa da chi originata, non è motivo sufficiente a giustificare un'aggressione fisica, né vale a configurare l'innesco di una sfida o la volontaria provocazione di una situazione di pericolo.
Inoltre, aggiunge che quando vi sia il dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione, in presenza di un principio di prova o di una prova incompleta, esso non può che giovare all'imputato.
Lo stesso vale con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo, quando emergano circostanze di fatto che giustifichino la ragionevole persuasione di una situazione di pericolo e sorreggano l'erroneo convincimento di versare nella necessità di difesa, poiché tali circostanze, anche se considerate non del tutto certe, portano ugualmente a ritenere sussistente la legittima difesa putativa.
Dunque, ogni volta che sia ipotizzabile (anche come conseguenza dell'applicazione del canone in dubio pro reo) la difesa legittima, non basta una oggettiva sproporzione del mezzo usato e delle conseguenze prodotte a fare ritenere comunque sussistente la responsabilità di chi reagisce a titolo di colpa. L'adeguatezza della reazione va verificata con riferimento alle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non astratto, in relazione a tutti gli elementi di fatto - oggettivi e soggettivi - che connotano l'aggressione, sicché quando l'aggredito, fisicamente e psicologicamente più debole, abbia realmente un solo mezzo a disposizione per difendersi e l'aggressione subita non sia altrimenti arrestabile, l'uso di tale strumento, può risultare non eccessivo, se, usato con modalità diverse, poteva ritenersi adeguato.
Segnalazione a cura di Giuseppina Morgese.
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