MASSIMA “È costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge n. 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli artt. 176 e 177 del codice penale e del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale; È costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso ai condannati che, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, abbiano già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio stesso; È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Taranto con l'ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 157 del 2019)”
IL CASO Con la sentenza annotata, il Giudice delle leggi ha deciso – riunendole – numerose ordinanze di rimessione che hanno sollevato altrettante questioni di legittimità costituzionale rispetto all'art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3, c.d. legge Spazzacorrotti (ovverosia: «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici»). Per effetto della citata normativa, i delitti contro la Pubblica Amministrazione sono stati inclusi nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354 (da qui in poi: O.P.), con la conseguenza che, in relazione agli stessi, la concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione è ora subordinata alla peculiare disciplina ivi prevista. La norma “processuale” – che instilla un regime indiscutibilmente più severo di quello pregresso – viene censurata per la sua portata retroattiva, o meglio: per la mancanza di un regime transitorio che la dichiari applicabile ai soli fatti commessi dopo la sua entrata in vigore.
LA QUESTIONE Tanto doverosamente premesso, il punctum dolens della questione è se al condannato in via definitiva per un delitto contro la Pubblica Amministrazione, commesso prima dell'entrata in vigore della l. 3/2019, possa applicarsi la – più benevola – legislazione previgente ovvero se, aprendosi la fase processuale, sia operativa la nuova disciplina medio tempore sopravvenuta. In altri termini, ci si chiede quale sia la natura delle norme che regolano la fase dell'esecuzione: sostanziale o processuale; interrogativo giustificato anche dal fatto che la legge Spazzacorrotti non gode – come anticipato – di alcuna disciplina transitoria. A riguardo si sono avvicendati numerosi e contrastanti indirizzi, alcuni dei quali “sfociati” in altrettante ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale. Il Giudice delle leggi, con la sentenza che qui brevemente si annota, ha sciolto i quesiti che le erano stati avanzati e che avevano ad oggetto tre rilevanti aspetti, peraltro comuni a tutte le ordinanze di rimessione. Due di questi possono essere trattati congiuntamente, date le reciproche “affinità”: riguardano la compatibilità dell'art. 1, comma 6, lettera b), l. cit. con gli artt. 25, comma 2, e 24 Cost., che sanciscono – rispettivamente – il divieto di irretroattività della legge penale più sfavorevole e il fondamentale diritto alla difesa giudiziaria. Con riguardo all'art. 25, comma 2, Cost., esso non è applicabile alle norme riguardanti l'esecuzione della pena, che hanno natura processuale e sono, pertanto, soggette al più “ferreo” principio del tempus regit actum. Tuttavia, l'art. 1, comma 6, lettera b), l. 3/2019 incide – comprimendola – sulla libertà personale del condannato, ragion per cui ci si chiede se non vada piuttosto classificata come norma di diritto penale sostanziale. Con particolare riguardo alla lesione del diritto di difesa, invece, l'applicazione retroattiva della legge Spazzacorrotti frustrerebbe – impedendole – le strategie difensive che si fondano sulla scelta di un rito alternativo (si pensi, ad esempio, all'istituto del c.d. patteggiamento, che consente l'accesso a misure alternative alla detenzione, come l'affidamento in prova al servizio sociale). In pratica laddove, al momento del fatto, fosse prevista una pena suscettibile di essere espiata in regime extramurario la quale, a sua volta, per effetto di una successiva modifica normativa, si trasformasse in una pena più dura perché non più eseguibile in regime extramurario, verrebbe a crearsi un aliud rispetto alla punizione originaria (con conseguente violazione “di ritorno” dell'art. 25, comma 2, Cost.). Il terzo aspetto inerisce all'art. 656, comma 9, c.p.p., norma che vieta la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena in una serie di ipotesi, tra cui quella relativa alla condanna per un reato di cui all'art. 4-bis O.P. e, invero, non oggetto di modifiche da parte della legge Spazzacorrotti. In più ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale ci si chiedeva, tuttavia, se una norma peculiare come questa, collocata nel codice di rito, avesse o meno natura sostanziale, e fosse dunque coperta dalle garanzie dell'art. 25, comma 2, Cost. Gli altri profili affrontati nelle ordinanze – tutti connessi l'uno all'altro e di cui è doveroso dare rapidissimo conto – attengono, segnatamente: – agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., che riguardano i principi di ragionevolezza e della funzione rieducativa della pena, attesa l'automatica incidenza che la legge Spazzacorrotti ha sul percorso di “recupero” dei condannati, in virtù delle sopravvenute preclusioni all'accesso a benefici penitenziari e a misure alternative alla detenzione (con conseguente impossibilità, per l'Autorità giudiziaria, di operare valutazioni individualizzate in sede di esame delle istanze di concessione di detti benefici e misure); – all'art. 3 Cost., sotto un duplice profilo. Da un lato, per l'irragionevole disparità di trattamento creatasi tra condannati per i medesimi delitti, commessi anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 6, lettera b), della legge 3/2019, i quali sarebbero sottoposti a un regime differenziato quanto all'accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, a seconda del momento – anteriore o successivo alla vigenza di detta disposizione – in cui la magistratura di sorveglianza esamini la relativa istanza di concessione. Dall'altro, per l'irragionevole disparità di trattamento fra autori dei medesimi delitti, commessi rispettivamente prima o dopo l'entrata in vigore della disposizione censurata, poiché solo i primi, ma non anche i secondi, potrebbero espiare la pena in regime extramurario.
LA SOLUZIONE La sentenza della Corte è dirompente perché suggerisce una soluzione innovativa circa i due primi profili (compatibilità costituzionale della legge Spazzacorrotti con gli artt. 25, comma 2, e 24 Cost.) e l'ultimo (“tenuta” costituzionale della medesima legge con riguardo all'art. 656, comma 9, c.p.p.). Al proposito, la Consulta ribadisce che le pene detentive devono essere eseguite in base alla legge in vigore al tempo della loro esecuzione (il principio del tempus regit actum già richiamato), tranne quando essa comporti una loro trasformazione in peius (in termini di natura e incidenza sulla libertà personale) rispetto al quadro normativo vigente al momento della commissione del fatto. In ipotesi del genere, allora, l'applicazione ex tunc della legge peggiorativa è incompatibile sia con l'art. 25, comma 2, Cost. che, a fortiori, con l'art. 24 Cost., specie se si tiene conto della fisiologica “diacronicità” del fenomeno esecutivo delle vicende penali e della necessità di non creare plurimi – e ingiustamente differenziati – regimi esecutivi paralleli. È indubbio che la legge Spazzacorrotti abbia determinato i fenomeni di cui sopra in relazione a certi delitti contro la P.A., ragion per cui la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b), tanto più considerata l'assenza di discipline transitorie. Inoltre la Consulta, consapevole della portata “eversiva” del principio di diritto così sdoganato, cita numerosi, e affini, precedenti costituzionali, di legittimità e internazionali, tra i quali si ricorda Corte EDU, Grande Camera, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna. Qui si è stabilito che, in linea di principio, le modifiche alle norme sull'esecuzione della pena non sono soggette al divieto di applicazione retroattiva ex art. 7 CEDU, tranne quelle che determinino una «ridefinizione o modificazione in peius della portata applicativa della “pena” imposta dal giudice». Con riguardo al terzo e ultimo profilo, l'art. 656, comma 9, c.p.p. produce l'effetto di determinare l'inizio dell'esecuzione della pena stessa in regime detentivo, in attesa della decisione, da parte del tribunale di sorveglianza, sull'eventuale istanza di ammissione a una misura alternativa. Ciò comporta, dunque, che una parte della pena sia effettivamente scontata in carcere, anziché con le modalità extramurarie che erano consentite – per l'intera durata della pena inflitta – sulla base della legge vigente al momento della commissione del fatto. Di conseguenza la Consulta riconosce, anche alla disposizione di cui sopra, un effetto di trasformazione della pena inflitta (e della sua concreta incidenza sulla libertà personale) rispetto al quadro normativo vigente al momento del fatto. Da qui, la sua inapplicabilità, ai sensi dell'art. 25, comma 2, Cost., alle condanne per reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge Spazzacorrotti, che ne ha indirettamente modificato l'ambito applicativo, tramite l'inserimento di numerosi delitti contro la Pubblica Amministrazione nell'elenco di quelli “ostativi” di cui all'art. 4-bis, O.P.
Si ricorda Corte EDU, Grande Camera, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna. Qui si è stabilito che, in linea di principio, le modifiche alle norme sull'esecuzione della pena non sono soggette al divieto di applicazione retroattiva ex art. 7 CEDU, tranne quelle che determinino una «ridefinizione o modificazione in peius della portata applicativa della “pena” imposta dal giudice». Con riguardo al terzo e ultimo profilo, l'art. 656, comma 9, c.p.p. produce l'effetto di determinare l'inizio dell'esecuzione della pena stessa in regime detentivo, in attesa della decisione, da parte del tribunale di sorveglianza, sull'eventuale istanza di ammissione a una misura alternativa. Ciò comporta, dunque, che una parte della pena sia effettivamente scontata in carcere, anziché con le modalità extramurarie che erano consentite – per l'intera durata della pena inflitta – sulla base della legge vigente al momento della commissione del fatto. Di conseguenza la Consulta riconosce, anche alla disposizione di cui sopra, un effetto di trasformazione della pena inflitta (e della sua concreta incidenza sulla libertà personale) rispetto al quadro normativo vigente al momento del fatto. Da qui, la sua inapplicabilità, ai sensi dell'art. 25, comma 2, Cost., alle condanne per reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge Spazzacorrotti, che ne ha indirettamente modificato l'ambito applicativo, tramite l'inserimento di numerosi delitti contro la Pubblica Amministrazione nell'elenco di quelli “ostativi” di cui all'art. 4-bis, O.P.
Segnalazione a cura di Simona Metrangolo
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