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Diritto Penale

La responsabilità medica dal 1973 alle Sezioni Unite del 2018

a cura di Annarita Sirignano

Coordinate normative: Costituzione, artt. 3, 25 comma 2, 27 comma 1, 32 Codice civile, art. 2236 Codice penale, artt. 43, 589, 590, 590 sexies c.p. Decreto Legge n. 158/2012, art.3, primo comma Legge n. 24/2017: art. 5

Premesse generali: Nel corso degli anni, il legislatore - chiamato a delineare lo statuto giuridico della responsabilità civile e penale del professionista sanitario - ha dovuto far fronte alla difficoltà di contemperare due esigenze tra loro eterogenee, entrambe fondamentali. Si è prospettata, in primo luogo, la necessità di apprestare adeguata protezione al diritto alla salute, sancito ex art. 32 Cost. Un atteggiamento di eccessiva indulgenza, volto a ravvisare la colpa medica solo a fronte di errori macroscopici, oltre a recare un grave vulnus alla tutela del paziente, si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della nostra Carta fondamentale: comportamenti analoghi sarebbero trattati in maniera sensibilmente diversa in virtù esclusivamente del lavoro svolto dall’agente. Particolare rilievo ha altresì assunto l’esigenza di salvaguardare la libertà di iniziativa del sanitario, nonché di contrastare la cd. medicina difensiva. Il fenomeno in esame ricorre allorquando il professionista, nell’individuare e attuare il percorso terapeutico più confacente alle peculiarità di uno specifico caso clinico, sia motivato non tanto dalla prospettiva di rinvenire la soluzione ottimale per la cura del paziente, quanto piuttosto dall’intento di evitare conseguenze pregiudizievoli per se stesso sul piano sanzionatorio e risarcitorio e di salvaguardare un margine di difendibilità del proprio operato in sede processuale.

Fase antecedente all’entrata in vigore del D.L. n. 158/2012: l’attività medico-chirurgica non era oggetto di disciplina specifica.

Ci si chiedeva se, nel valutare la colpa penale del sanitario, potessero trovare applicazione le disposizioni civilistiche in materia di inadempimento. Era richiamato, in particolare, l’art. 2236 c.c.: detta norma, a fronte di problemi tecnici di speciale complessità, limita la responsabilità ex art. 1218 c.c. del prestatore d’opera intellettuale ai soli casi di dolo o colpa grave. Una prima tesi, muovendo dall’asserita esigenza di valutare in maniera unitaria la colpa professionale, riteneva l’art. 2236 c.c. applicabile in materia penale. Si richiamava, a sostegno di tale conclusione, la visione della sanzione penale quale extrema ratio cui potesse farsi ricorso nei soli casi di comprovata inefficacia dei rimedi apprestati da altri rami dell’ordinamento: un fatto civilmente lecito non avrebbe potuto costituire reato. Un secondo orientamento, più garantista, sottolineava come la colpa penale fosse regolata da uno statuto proprio ed autonomo. Le disposizioni civilistiche in materia di inadempimento, in quanto poste a presidio di interessi economico-patrimoniali, non avrebbero potuto operare a fronte di fattispecie criminose lesive dell’integrità fisica o, addirittura, della vita. In sede penale, il grado della colpa era considerato rilevante ai soli fini del quantum - e non dell’an - della risposta sanzionatoria. Una terza tesi, mediana, proponeva una soluzione di compromesso tra le prime due. La norma dettata dall’art. 2236 c.c., pur non direttamente applicabile a fronte di fattispecie criminose, era tuttavia espressiva di una massima di esperienza cui attenersi nel valutare la responsabilità da imperizia del sanitario.

Vigenza del D.L. Balduzzi: per la prima volta, l’attività medico chirurgica è stata sottoposta a una disciplina specifica, con conseguente frantumazione dell’unitarietà della colpa professionale.

L’art 3 D.L. n. 158/2012, oggi testualmente abrogato, stabiliva che non rispondesse penalmente per colpa lieve l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si fosse attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. La disposizione richiamata aveva un notevole impatto sistematico. Era espressamente introdotto, in ambito penale, un riferimento al grado della colpa: ad esso si attribuiva rilevanza al fine di verificare la sussistenza del coefficiente psicologico e non più soltanto della relativa intensità. Ricevevano, inoltre, consacrazione a livello normativo le linee guida. Quest’ultime si sostanziano in raccomandazioni di comportamento clinico elaborate, per ragioni di certezza operativa e di uniformità, da enti, istituti di cura (pubblici o privati) o associazioni professionali; costituiscono il frutto di una revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche. Gli strumenti in esame assolvono, pertanto, una duplice funzione. In primis rappresentano un valido supporto per il medico, fornendo allo stesso le indicazioni di massima cui attenersi a fronte di determinate patologie e facilitando l’individuazione, in sinergia con il paziente, del trattamento terapeutico più adeguato alle specificità di ciascun caso clinico. Le direttive enunciate costituiscono altresì un aiuto per il giudice, chiamato a verificare la sussistenza della colpa del sanitario e, in particolare, la conformità della relativa condotta rispetto alle leges artis che informano l’esercizio della professione. All’indomani dell’intervento normativo, tuttavia, erano sorti dubbi in ordine all’ambito di operatività della scusante delineata. Secondo un primo orientamento, le linee guida, in quanto indicazioni a carattere tecnico, recavano esclusivamente regole di perizia. L’esclusione della colpevolezza era, dunque, circoscritta ai soli eventi infausti cagionati dal malgoverno delle cognizioni specialistiche richieste ai fini dell’esercizio dell’attività medica. La scusante in parola non operava, invece, a fronte di condotte negligenti o imprudenti, connotate di contro da mera avventatezza o scarsa attenzione. Una seconda tesi, più recente, sottolineava invece come non potesse escludersi a priori che le linee guida contenessero regole di diligenza o prudenza. Nel silenzio del legislatore, l’ambito di operatività della disposizione citata doveva ritenersi esteso ad ogni forma, ancorché lieve, di colpa.

Legge n. 24/2017 (cd. Gelli-Bianco) e introduzione dell’art. 590 sexies c.p.: l’intervento normativo ha sancito l’abrogazione del decreto Balduzzi e introdotto una scusante applicabile laddove il sanitario, pur osservante delle indicazioni recate nelle linee guida, ponga in essere per imperizia le fattispecie di cui agli artt. 589 e 590 c.p. (omicidio e lesioni personali colpose).

La riforma in commento ha determinato importanti innovazioni in punto di rilevanza giuridica delle linee guida. Il D.L. Balduzzi, nel delineare i presupposti della scusante di cui all’art.3, primo comma, si limitava infatti a richiedere che i protocolli comportamentali astratti seguiti dall’agente fossero accreditati presso la comunità scientifica. Nulla era, tuttavia, detto in ordine ai requisiti di validità e di efficacia delle linee guida. Nel silenzio del legislatore, si riteneva competesse al professionista e - in sede processuale - al giudice la selezione, tra le molteplici direttive adottate da ciascun ente o associazione, di quelle ritenute più affidabili, sempre che ovviamente si trattasse di indicazioni dal contenuto terapeutico, volte alla salvaguardia della salute del paziente. Ciò, come osservato in dottrina, aveva comportato negli anni un deficit di tassatività della fattispecie. A tale rilievo critico ha ovviato il legislatore del 2017, disciplinando compiutamente ex art.5 l. 24/2017 la procedura di riconoscimento e pubblicazione delle linee guida. Risulta palese la finalità garantistica sottesa a tale scelta: il novum normativo ha inteso creare un sistema istituzionale e pubblicistico di regolazione dell’attività sanitaria allo scopo di soddisfare esigenze di certezza operativa. L’art. 590 sexies c.p. attribuisce rilevanza, al fine di valutare la responsabilità penale del medico e (a certe condizioni) di escluderne la colpevolezza, alle sole linee guida che siano definite e pubblicate ai sensi di legge. Un ruolo marginale e sussidiario è, per converso, riconosciuto alle buone pratiche clinico-assistenziali. Ancora, la scusante di cui alla legge Gelli-Bianco ha un ambito di operatività più ristretto rispetto al previgente decreto Balduzzi. Essa reca espresso riferimento alla sola colpa per imperizia, sancendo di contro la rilevanza penale di ogni errore - anche non macroscopico - cagionato per imprudenza o negligenza. L’art 590 sexies postula che le raccomandazioni contenute nelle linee guida siano adeguate alle peculiarità dello specifico caso clinico. Non rientra, pertanto, nell’ambito di operatività della nuova disposizione l’errore di strategia, che attenga alla fase diagnostica e di individuazione del percorso terapeutico. Può, di contro, ritenersi scusata la sola condotta imperita posta in essere nella successiva fase di attuazione del trattamento sanitario. Il novum normativo non reca indicazioni in ordine al grado della colpa. Ci si è, quindi, chiesti se possano ritenersi compresi nel perimetro dell’art. 590 sexies c.p. e, pertanto, andare esenti da pena errori gravi dovuti ad imperizia e intercorsi nella concreta esecuzione del percorso terapeutico. All’indomani dell’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, la disposizione richiamata è stata oggetto di interpretazioni giurisprudenziali contrastanti. Ciò ha reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Ad avviso dei giudici di legittimità, il riferimento al grado della colpa, ancorché non previsto a livello normativo, si renderebbe necessario al fine di assicurare un’esegesi costituzionalmente orientata della disposizione. La non punibilità anche dell’imperizia grave sarebbe incompatibile con la tutela della salute e pregiudicherebbe la parità di trattamento rispetto ad altre categorie di professionisti.

Tappe dell’evoluzione giurisprudenziale:

- Corte Costituzionale, sentenza n. 166/1973 La Corte, con una sentenza interpretativa di rigetto, è intervenuta per fugare i dubbi di legittimità costituzionale di chi temeva che l’indiscriminata applicazione della limitazione di responsabilità del sanitario alla sola colpa grave avrebbe pregiudicato la tutela della salute del paziente e dato luogo a considerevoli disparità di trattamento a seconda della veste (professionale o meno) dell’autore del reato. La pronuncia in commento chiarisce come l’art. 2236 c.c. si applichi alla sola imperizia. Il rispetto delle regole generali di diligenza e prudenza non tollera, invece, alcuna forma di indulgenza: la particolare complessità tecnica della prestazione impone, anzi, al riguardo una maggiore severità di giudizio.

- Corte di Cassazione 2012, n. 4391 La Corte, disattendendo l’indirizzo ermeneutico sino ad allora prevalente, esclude che possano operare in ambito penale le disposizioni civilistiche in materia di inadempimento del prestatore d’opera intellettuale. La norma dettata dall’art. 2236 c.c., pur non essendo direttamente applicabile a fronte di fattispecie criminose, è tuttavia espressiva di una massima di esperienza cui attenersi nel valutare la responsabilità da imperizia del sanitario.

- Corte di Cassazione 2013, n. 16237 I giudici di legittimità, all’indomani dell’entrata in vigore del decreto Balduzzi, si interrogano in ordine alla natura giuridica delle linee guida. Quest’ultime non integrano, ad avviso della Corte, regole cautelari scritte cui affidarsi in maniera incondizionata. L’applicabilità dei protocolli di comportamento delineati è subordinata all’adeguatezza alle specifiche esigenze che emergano nel percorso diagnostico e terapeutico.

- Corte di Cassazione 2012 n. 35922 e 2013 n. 11493 Le due sentenze attengono alla delimitazione del perimetro applicativo della scusante di cui al D.L. n. 158/2012. La Corte afferma che le linee guida, in quanto indicazioni a carattere tecnico, recano esclusivamente regole di perizia. L’ambito di operatività dell’art.3, primo comma, D.L. Balduzzi è, pertanto, circoscritto ai soli eventi infausti cagionati dal malgoverno delle cognizioni specialistiche richieste ai fini dell’esercizio dell’attività medica.

- Corte di Cassazione, 2016 n. 23283 La citata pronuncia sancisce il superamento dell’indirizzo ermeneutico sin ad allora prevalente in punto di operatività dell’art. 3 D.L. n 158/2012. Ad avviso della Corte, i protocolli comportamentali contenuti nelle linee guida non attengono necessariamente al piano dell’adeguatezza professionale dell’operato del medico, potendo viceversa riguardare anche la sfera dell’accuratezza nell’esecuzione di compiti generici e non particolarmente qualificanti. L’ambito applicativo della causa di esclusione della colpevolezza deve, nel silenzio del legislatore, ritenersi esteso ad ogni forma, ancorché lieve, di colpa.

- Corte di Cassazione, 2017, n 28187 (cd. Tarabori) La IV sezione penale della Corte di Cassazione, eccessivamente critica con il legislatore del 2017, è pervenuta ad una sorta di interpretatio abrogans della scusante introdotta dalla Gelli-Bianco. Si è posto in luce come i requisiti previsti dall’art. 590 sexies siano tra loro incompatibili. Sul piano concettuale, non potrebbe esserci imperizia qualora le raccomandazioni di cui alle linee guida siano adeguate al caso concreto e applicate in modo pertinente ed appropriato. La nuova disposizione, quindi, lungi dal contemplare una vera e propria causa di esclusione della colpevolezza, introdurrebbe soltanto una regola applicativa cui attenersi qualora, in giudizio, il sanitario sia o possa essere chiamato a rispondere per difetto di preparazione tecnica. Secondo l’indirizzo ermeneutico in parola, dunque, il legislatore del 2017 avrebbe adoperato un lessico improprio nel richiedere la verificazione dell’evento a causa d’imperizia.

- Corte di Cassazione, 2017, n. 50078 (cd. Cavazza) I giudici di legittimità, nel tentativo di valorizzare la portata innovatrice della legge Gelli-Bianco nonché la ratio di contrasto della medicina difensiva, sono pervenuti a conclusioni opposte rispetto alla precedente pronuncia. La Corte di Cassazione ha rimarcato come l’art. 590 sexies c.p. abbia inteso, in realtà, escludere tout court la rilevanza penale della colpa medica da imperizia. L’errore sanitario che derivi dal malgoverno del sapere specialistico di riferimento del professionista è sempre scusato, anche se macroscopico, purché attenga alla fase attuativa del percorso terapeutico e non alla precedente opera di selezione delle linee guida pertinenti.

- Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 2017, n. 8770 (cd. Mariotti)

Il contrasto delineato ha reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a perimetrare l’esatto ambito applicativo della previsione di cui all’art. 590 sexies c.p. I giudici di legittimità hanno, in tale occasione, preso le distanze da entrambe le ricostruzioni sopra prospettate. È stato sostenuto che la scusante in esame troverebbe applicazione nel solo caso in cui l’evento offensivo sia cagionato per imperizia lieve nell’esecuzione delle linee guida. Il riferimento al grado della colpa, ancorché non previsto a livello normativo, si renderebbe necessario al fine di assicurare un’esegesi costituzionalmente orientata della disposizione in commento. La non punibilità anche dell’imperizia grave sarebbe incompatibile con la tutela della salute e pregiudicherebbe la parità di trattamento rispetto ad altre categorie di professionisti. Vengono quindi in considerazione gli artt. 3 e 32 Cost. Le Sezioni Unite, nel dare rilevanza alla distinzione tra imperizia lieve e imperizia grave, hanno fatto leva su tre ulteriori argomenti. Si è richiamato, in primis, l’art. 2236 c.c., volto a disciplinare l’ipotesi di inadempimento del contratto d’opera intellettuale. Tale disposizione stabilisce che, a fronte di problemi tecnici di particolare complessità, si ha responsabilità civile del professionista solo in caso di dolo o colpa grave. Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale - avallato dalla Corte Costituzionale - l’art. 2236 c.c., sebbene non direttamente applicabile in materia penale, costituirebbe una massima di esperienza cui attenersi in sede di valutazione della condotta imperita del sanitario. Ancora, il riferimento alla colpa lieve deriverebbe dall’asserita continuità rispetto alla previgente disciplina di cui ex art. 3, primo comma, D.L. 158/2012, nonché dai lavori preparatori. Sotto tale aspetto, si è posto in luce come l’originaria formulazione dell’art. 590 sexies c.p., approvata dalla Camera, differenziasse l’imperizia grave da quella lieve. Secondo le Sezioni Unite, la scomparsa di tale classificazione non potrebbe essere intesa quale ripudio legislativo della stessa, non risultando esplicitata in alcun passo dei lavori preparatori una volontà in tal senso. Da ultimo, i giudici di legittimità hanno chiarito che, in punto di disciplina intertemporale, la previsione di cui all’art.3 D.L. Balduzzi è da considerarsi più favorevole rispetto a quanto stabilito dall’art. 590 sexies c.p. qualora si abbia riguardo a condotte caratterizzate da imprudenza o negligenza. Massima: “L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio dell’attività medico chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “ lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee–guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “ lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee guida o di buone pratiche clinico – assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee – guida o buone pratiche clinico – assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico”.





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