A cura di Mattia Di Florio
COORDINATE NORMATIVE
Testo originario ex art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990
5. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 2.582 (lire cinque milioni) a euro 25.822 (lire cinquanta milioni) se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall'articolo 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 (lire due milioni) a euro 10.329 (lire venti milioni) se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV.
Testo successivo alle modifiche apportate dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49.
5. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
Testo successivo alle modifiche apportate con la legge 15 marzo 2010, n. 38 e con il d.lgs. 24 marzo 2011, n. 50
5. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
Testo successivo alle modifiche introdotte con il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014,n.10
5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
Testo vigente dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge n. 272 del 2005
5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
Testo successivo alle modifiche apportate dal d.lgs. 36del 2014 (legge 79 del 2014)
5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.
BREVE ESEGESI
La disposizione in esame è stata introdotta dal legislatore per consentire al giudice di riequilibrare la severità delle scelte sanzionatorie operate con la riforma del 1990, comportanti l’applicabilità delle gravi pene previste dall’art. 73 alle fattispecie prima riconducibili al reato di spaccio di modiche quantità di stupefacenti ed alla detenzione per uso personale di quantitativi superiori al limite della d.m.g., limite solo successivamente eliminato a seguito del referendum abrogativo del 1993.
Con il d.l. 272/2005 conv. nella legge 49/2006 è stata modificata all’entità della diminuzione che ora è unica, mentre nel regime previgente, stante la differenza tra droghe pesanti e droghe leggere, era distinta a seconda che il fatto riguardasse le une ovvero le altre. Era opinione prevalente indottrina anche il comma 5 delinearsi una circostanza attenuante e non già un titolo autonomo di reato. Da ciò conseguiva l’assoggettabilità dell’attenuante il giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 c.p. qualora concorressero circostanze di segno posto. Si trattava, senza dubbio, di una circostanza ad effetto speciale. Tramite l'attenuante si prevede un trattamento di minor rigore nell'ipotesi di cui fatti delittuosi previsti nello stesso art. 73 siano di lieve entità, e ciò per i mezzi, per le modalità o di circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze.
Il comma 5 inizialmente sostituito dall'art. 4-bis d.l. 272/2005 è stato successivamente modificato dalla legge 10/2014. Successivamente la Corte costituzionale con sentenza 32/2014 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato articolo 4-bis che aveva introdotto la prima modifica comma 5.
Inoltre il comma 5 è stato sostituito dall'art. 1 co. 24 lettera a) del d.l. 36/2014 che rispetto all'ultima versione presenta un più mite regime sanzionatorio. È opportuno precisare che con il d.l. 36/2014 il legislatore è intervenuto per colmare il vuoto normativo creato dopo la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale numero 32/2014 così rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime gli articoli 73, 13, 14 del d.P.R. 309/90 con ulteriore caducazione consequenziale delle tabelle allegate a tali disposizioni dei successivi decreti ministeriali di aggiornamento delle medesime.
La Suprema Corte, fin dalle sue prime pronunce all’indomani della novella, riguardo l’art. 73 co. 5 si è orientata nel senso di riconoscere alla nuova fattispecie normativa natura e di figura autonoma di reato e non più di circostanza attenuante.
Considerare il fatto di lieve entità quale autonoma figura di reato comporta altri effetti oltre alla inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 69 co. 4 c.p. Un'altra conseguenza riguarda il computo dei termini prescrizionali: attualmente, infatti, deve tenersi conto della pena edittale prevista per il reato autonomo attenuato; in precedenza, per la determinazione del tempo necessario per la prescrizione occorreva avere riguardo della pena edittale prevista per l'ipotesi base di cui all’articolo 73 co. 1, senza che assumessero rilievo le eventuali circostanze attenuanti.
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI
Corte cost., sent. 25 febbraio 2014, n. 32, Pres. Silvestri, Est. Cartabia
Con tale sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49.
In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto che le norme impugnate, introdotte in sede di conversione del decreto legge, difettino manifestamente di ogni connessione logico-funzionale con le originarie disposizioni del decreto legge, e debbano per tale assorbente ragione ritenersi adottate in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi dell'art. 77, secondo comma, Cost.
L'integrale caducazione delle due norme impugnate comporta la conseguenza che “tornino a ricevere applicazione l'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate”.
Dovrà dunque tornare a trovare applicazione l'art. 73 nella versione antecedente al 2005, salve le modifiche apportate dal legislatore in epoca successiva che non sono interessate dalla sentenza odierna (ed in particolare le modifiche di cui al d.l. 146/2013, rispetto alle quali la Corte esplicitamente afferma che "gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto-legge n. 146 del 2013 in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest'ultima").
Nell'ultimo inciso dei "considerato in diritto" n. 6, la Corte invero afferma che "rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, oggetto della presente decisione". Alla luce di quanto affermato nel “considerato in diritto" n. 3, pare peraltro di poter escludere che la Corte intendesse riferirsi qui alle norme introdotte dal decreto-legge n. 146/2013, che la Corte afferma esplicitamente essere "indipendenti” dalle disposizioni oggi dichiarate illegittime: con conseguente salvezza dell'attuale comma 5 dell'art. 73 t.u. stup., così come modificato appunto dal d.l. 146.
Corte cost., sent. 13 gennaio 2016 (dep. 11 febbraio 2016), n. 23, Pres. Criscuolo, Rel. Cartabia
Con tale pronuncia, la Consulta ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309/1990 diretta a rilevare l'illegittimità della disposizione nella parte in cui non distingue il trattamento sanzionatorio previsto per i fatti di lieve entità aventi ad oggetto droghe “leggere” rispetto a quello relativo ai fatti di lieve entità aventi ad oggetto droghe “pesanti”.
La sentenza fa calare il sipario sul dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 73 co. 5 t.u. stup. Prospettato sin dalle prime riflessioni successive alla nota sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014.
Una questione di legittimità del tutto analoga era già stata proposta dal Tribunale di Nola, con ordinanza dell'8 maggio 2014. Tuttavia, in tale occasione la Consulta si era limitata a disporre la restituzione degli atti al giudice a quo affinché procedesse ad una nuova valutazione della questione alla luce del sopravvenuto intervento legislativo ad opera del d.l. n. 36/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 79/2014.
Senonché, il legislatore, con tale riforma, si era limitato a stabilire pene più miti per i fatti di lieve entità rispetto a quelle previste con il precedente d.l. n. 146/2013 (come convertito dalla l. n. 10 del 2014), senza però introdurre alcuna distinzione sanzionatoria tra fatti concernenti droghe "pesanti" e fatti concernenti droghe "leggere".
Nella nuova questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria - si invocavano quali parametri l'art. 3 (sotto il duplice profilo dell'"irragionevolezza estrinseca" di una disciplina che preveda una distinzione sanzionatoria tra droghe “pesanti” e “leggere” solo per i fatti di non lieve entità e non anche per quelli di entità lieve, e della “disomogeneità intrinseca” di tale parificazione sanzionatoria a fronte di un “diverso spessore dell'interesse tutelato”), l'art. 27, terzo comma e l'art. 117, primo comma, in relazione ai parametri edittali fissati dalla decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea n. 2004/757/GAI e all'art. 49, paragrafo 3, CDFUE.
La Corte dichiara inammissibile la questione sollevata, in quanto il sollecitato intervento additivo in materia penale, in assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate, interferirebbe nella sfera di politica sanzionatoria riservata al legislatore e, pertanto, violerebbe il principio di separazione dei poteri.
Tale rilievo, di per sé, basterebbe a giustificare la dichiarazione di inammissibilità: per costante giurisprudenza, infatti, la Consulta non decide sul merito quando il “petitum formulato si connoti per un cospicuo tasso di manipolatività, derivante anche dalla 'natura creativa' e 'non costituzionalmente obbligata' della soluzione evocata”.
Tuttavia, la Corte motiva qui anche in ordine alla non irragionevolezza della disposizione di cui al comma 5 dell'articolo 73 t.u. stup.
Invero, quanto al profilo della "irragionevolezza estrinseca", il fatto che l'attuale art. 73 co. 5 t.u. stup. costituisca una fattispecie autonoma di reato (e non più una circostanza attenuante delle fattispecie base di cui ai commi precedenti, come si riteneva nel vigore del testo precedente al d.l. 146/2013), farebbe venir meno “l'esigenza di mantenere una simmetria sanzionatoria tra fatti di lieve entità e quelli non lievi”.
D'altro canto, secondo i giudici delle leggi, lo stesso dubbio di “ragionevolezza intrinseca” appare superato “a fronte di disposizioni che - come quella in giudizio - lasciano al giudice un margine di valutazione sufficientemente ampio da permettergli di graduare proporzionalmente la pena anche in ragione della natura della sostanza”.
Cass., Sez. un., sent. 27 settembre 2018 (dep. 9 novembre 2018), n. 51063, Pres. Carcano, Rel. Pistorelli, ric. Murolo
Con la sentenza in esame le Sezioni Unite affrontano una duplice questione in materia di “produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope” per i fatti di “lieve entità” (art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, c.d. T.u. stupefacenti). Con l’ordinanza di rimessione, infatti, da un lato, la Terza Sezione della Cassazione chiedeva se la diversa natura delle sostanze stupefacenti ostasse alla qualificazione del fatto come di lieve entità; dall’altro lato, ed in subordine, qualora la risposta al primo quesito fosse stata negativa, se fosse o meno configurabile un concorso tra le fattispecie “base” (commi 1 e 4 dell’art. 73) e il fatto “di lieve entità” (comma 5 della medesima disposizione).
Già con l’informazione provvisoria le Sezioni Unite avevano anticipato il contenuto dei tre principi di diritto, che sono enunciati in forma più ampia all’interno della motivazione:
1) La diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto è necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto.
2) L’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, così come riformulato dal decreto-legge 20 marzo 2014 (convertito con modificazioni dalla legge 16 marzo 2014, n. 79), prevede un’unica figura di reato, alternativamente integrata dalla consumazione di una delle condotte tipizzate, quale che sia la qualificazione tabellare dello stupefacente che ne costituisce l'oggetto.
3) La detenzione nel medesimo contesto di sostanze tabellarmente eterogenee, qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro.
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