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Diritto Penale

DOSSIER “La tassatività dei reati in materia di prevenzione speciale”

Coordinate normative: Art 2, prot. 4, Cedu, art 6 Cedu D.lgs n. 159 del 2011

Premesse generali: L’interpretazione che la Corte Edu dà all’art 7 CEDU determina un rafforzamento “quantitativo” e “qualitativo” del principio di legalità. Dal primo punto di vista, infatti, si assiste ad un’estensione dell’ambito applicativo dei principi di diritto penale, a causa della concezione autonomistica degli illeciti e delle pene ruotante attorno ai cc.dd. criteri Engel. Il rafforzamento di tipo qualitativo è invece determinato dal fatto che la legalità convenzionale ricomprende i corollari della accessibilità e della prevedibilità sia delle fonti legali, che della relativa giurisprudenza. Infatti per un ormai costante indirizzo della Corte Edu il principio di legalità comporta la necessità che la base legale degli illeciti sia accessibile per i consociati e tale da consentire a tutti di prevedere “ragionevolmente” le conseguenze penale della propria condotta.

Principio di prevedibilità in generale: impone che sia consentito ai consociati di prevedere, al momento della condotta, se la stessa sarà considerata illecita, ed in specie penalmente rilevante, nonché con quale pena potrà conseguentemente essere sanzionato.

Prevedibilità nel diritto interno: si integra con altri principi nazionali che esprimono la medesima esigenza garantista di calcolabilità delle conseguenze penali del proprio agire. Il principio di prevedibilità quindi esprime un’esigenza a cui soddisfacimento sono orientati, nell’ordinamento nazionale, plurimi principi: Il principio di tassatività, nell’imporre un certo tasso di puntualità descrittiva nella formulazione della disposizione penale, è volto non solo ad arginare i rischi di arbitri del giudice in sede applicativa, ma anche, a consentire, per l’appunto, ai consociati di prevedere le conseguenze possibili delle loro condotte. Quello di irretroattività sfavorevole che, nel vietare l’applicazione retroattiva di disposizioni di nuova incriminazione sopravvenute rispetto al momento di commissione del fatto, è diretto ad assicurare la calcolabilità delle conseguenze penali al momento della condotta sulla base della disciplina in quel momento vigente. Infine il principio di personalità della responsabilità penale che, implicando la necessità di un rimprovero personale a carico dell’autore per avere compiuto un fatto tipico e antigiuridico, reca con sé la necessaria conoscibilità della norma penale e l’esclusione, quindi, di responsabilità in caso di ignoranza inevitabile sul contenuto della legge stessa e, più in generale, di non prevedibilità delle conseguenze penali della propria condotta. Pertanto la prevedibilità è parte integrante del nostro sistema giuridico nazionale ma ha assunto un particolare rilievo nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, attenta a ribadire che le norme incriminatrici, per essere convenzionalmente coerenti, devono avere tre requisiti: accessibilità, precisione e capacità di assicurare la previsione delle conseguenze di un determinato atto. Il suo rafforzamento, tuttavia, si deve, agli approcci che la Corte Edu sta seguendo nel definirne effettiva cogenza quale corollario del principio di legalità convenzionale.

Prevedibilità nella Cedu Si distinguono due sotto-principi in seno al generale concetto di prevedibilità: il primo relativo al momento formativo della disposizione (caso De Tomaso) e il secondo al momento interpretativo della stessa (caso Contrada). Per quel che attiene la tecnica di elaborazione della norma penale, la prevedibilità presuppone la determinatezza della disposizione incriminatrice, come è noto già corollario applicativo del principio di legalità ex art 25 comma 2 Cost. La giurisprudenza Cedu richiede che l’illecito penale sia “chiaramente definito dalla legge”, precisando che il termine legge va inteso in senso generico, come tale destinato a ricomprendere anche la consuetudine e se ne è dedotto che anche la definizione meramente giurisprudenziale può e deve rispondere positivamente agli stessi criteri di determinatezza eventualmente garantiti da una fonte scritta. Quanto al tasso di determinatezza richiesto alla norma, la Corte Edu ha affermato che si può considerare “Legge” solo una norma enunciata con una precisione tale da permettere al cittadino di regolare la propria condotta e di prevederne le conseguenze. La rafforzata cogenza che il principio di prevedibilità elaborato dalla corte Edu è emersa con nettezza a far data da Corte Edu 23 febbraio 2017 De Tommaso c. Italia, ridisegnando il sistema italiano della prevenzione personale e patrimoniale. Misure di prevenzione Le misure di prevenzione (D.lgs n. 159 del 2011 cd “codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”) non hanno natura di pene, né per il diritto interno, né per quello Cedu come da costante giurisprudenza interna e convenzionale. Si tratta, piuttosto, di strumenti apprestati dall’ordinamento al fine di contrastare la pericolosità di determinati soggetti, i quali, a cagione dei propri precedenti comportamenti, non necessariamente sfociati nella commissione di illeciti penali, manifestano una spiccata attitudine a commettere reati. Da ciò la terminologia invalsa di misure ante o praeter delictum: esse, al pari delle misure di sicurezza, infatti non guardano al passato per sanzionare un reato ma al futuro, per prevenirne la commissione. Le misure di prevenzione sono di due tipi: personali (rimpatrio con foglio di via obbligatorio, avviso orale, sorveglianza di pubblica sicurezza) e patrimoniali (sequestro preventivo e confisca).

Tappe dell’evoluzione giurisprudenziale :

A) Corte Edu, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia

Tale sentenza ha inciso sia sui presupposti applicativi delle misure di prevenzione, sia sul contenuto degli obblighi che il giudice della prevenzione può imporre nell’applicare la misura personale della sorveglianza speciale. Quanto ai presupposti applicativi la corte Edu ha ritenuto in contrasto con il principio di legalità desunto dall’art 2 prot. 4 Cedu per violazione del canone di determinatezza, l’art. 1 comma 4 lett a) e b) del d.lgs. n. 159 ( coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;). In dettaglio la corte Edu precisa che non risulta chiaro sufficientemente quali debbano essere gli elementi di fatto o i comportamenti specifici da prendere in considerazione per la valutazione della pericolosità sociale dell’individuo e per dar luogo all’applicazione di tali misure, stigmatizzando le citate previsioni legislative. La disciplina italiana in questione non è formulata con la determinatezza necessaria ad offrire una protezione contro interpretazioni arbitrarie così da permettere al richiedente di orientare i propri comportamenti e di prevedere con un grado sufficiente di certezza l’applicazione di misure di prevenzione.

B) Corte costituzionale n. 24 del 2019

La Consulta giunge a conclusioni analoghe alla corte Edu ma con riguardo alla sola lettera lett. a), d.lgs. 159/2011, espungendo tale categoria di soggetti dalla platea dei destinatari delle suddette misure di prevenzione. Infatti tale norma viene ritenuta come affetta da radicale imprecisione non colmabile attraverso il diritto vivente nel quale, anzi, persiste un contrasto in ordine al significato del concetto, senz’altro letteralmente ambiguo e polisenso, di “traffici delittuosi” risolti ora in «qualsiasi attività delittuosa che comporti illeciti arricchimenti, anche senza ricorso a mezzi negoziali o fraudolenti […]», ora al “commercio illecito di beni tanto materiali quanto immateriali o addirittura concernente esseri viventi, nonché a condotte lato sensu negoziali ed intrinsecamente illecite” ma comunque diverse da quelle integranti un qualsiasi delitto da cui sia derivato una qualche forma di provento. Ad avviso della Consulta infatti per l’art 1 comma 1 lettera b) la giurisprudenza di legittimità, con un’interpretazione tassativizzante, ha circoscritto la discrezionalità dell’interprete in sede applicativa entro margini compatibili con il dettato costituzionale. Viceversa una tale tassativizzazione non è stata compiuta per la fattispecie di cui all’art 1 comma 1 lettera a) non essendo stata fornita in giurisprudenza una nozione precisa di traffici delittuosi e di qui la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art 4 comma 1 lettera c) del d.lgs 159/2011, nella parte in cui stabilisce che le misure di sicurezza personali si applichino anche ai soggetti indicati nell’art 1. Comma 1 lett a) e dell’art 16, dello stesso decreto laddove richiama lo stesso presupposto applicativo di cui al citato art 1 comma 1 lett a) per le misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e confisca.

Artt. 8 e 75 del d.lgs. 159/2011 Come anticipato, della coerenza con la Cedu della disciplina nazionale in materia di misure di prevenzione si è discusso oltre che nella parte in cui con la stessa sono definiti taluni presupposti applicativi delle misure, anche nella parte in cui sono individuati gli obblighi che il giudice della prevenzione può imporre nell’applicare la misura personale della sorveglianza speciale. Infatti ai sensi dell’art 8 con “il provvedimento applicativo della misura della sorveglianza speciale il giudice può tra l’altro imporre di vivere onestamente e di osservare le leggi” Il successivo art 75 comma 2 dello stesso d.lgs.159/2011 prevede, come reato: l’inosservanza delle prescrizioni applicate dal giudice ai sensi del citato art. 8 incluse quindi quelle aventi ad oggetto il vivere onestamente e rispettare le leggi. Ebbene, valorizzando, quale corollario del principio di legalità, avente base nell’art 2, prot 4 Cedu, quello della necessaria determinatezza della legge che prevede limitazioni alla libertà di circolazione, Corte Edu De Tommaso c. Italia , ha concluso per l’indeterminatezza delle menzionate prescrizioni così attestando l’illegittimità convenzionale del citato art 8 del D.lgs 159/2011 , nella parte in cui indica, tra gli obblighi che il giudice della prevenzione può imporre, quelli del vivere onestamente e di osservare le leggi. Tale pronuncia ha innescato, nel nostro ordinamento nazionale, un vivace dibattito svoltosi con riguardo alle ricadute penali della dichiarata contrarietà convenzionale del citato art 8. Il problema si è posto perché, come rilevato, l’art 75 comma 2, prevede come reato l’inosservanza delle prescrizioni applicate dal giudice ai sensi del citato art. 8, incluse quindi quelle aventi ad oggetto il “vivere onestamente e rispettare le leggi”.

C) Sezioni Unite n. 40076/2017 (Paternò)

La Cassazione ha dichiarato inapplicabile il delitto di violazione di obblighi inerenti la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno di cui art 75 comma 2, rispetto all’ipotesi della violazione delle generiche prescrizioni del vivere onestamente e di rispettare le leggi, già censurate dalla corte Edu nella sentenza De Tommaso in quanto indeterminate. Le Sezioni Unite, (con l’intento di attendere ad una lettura tassativizzante e tipizzante della fattispecie, la sola coerente con i parametri costituzionali e convenzionali), sostengono in particolare che il citato art 75 comma 2, richiamando in modo indistinto le prescrizioni e gli obblighi indicati in una diversa disposizione (art.8), non può che essere riferito ai soli obblighi e alle sole prescrizioni che hanno un contenuto determinato e specifico, a cui poter attribuire valore precettivo: caratteri, questi, che la cassazione reputa mancanti nelle prescrizioni di vivere onestamente e rispettare le leggi. Tuttavia, la soluzione interpretativa seguita dalle sezioni unite Paternò, se ha avuto il merito di dare immediata applicazione ai principi enucleati nella sentenza De Tommaso, ha prestato il fianco ad un’obiezione applicativa non superabile, non consentendo di rimettere in discussione giudicati di condanna già intervenuti per il reato di cui all’art 75 comma 2, integrato per effetto della violazione delle predette prescrizioni; tanto in considerazione del pacifico orientamento giurisprudenziale che reputa inapplicabile l’art 673 c.p.p. (revoca del giudicato per sopravvenuta abolitio criminis) alle ipotesi di cd “abolizione” giurisprudenziale del reato.

D) Corte costituzionale n. 25 del 2019 Da ultimo, al predetto inconveniente, ha posto rimedio la Consulta, intervenuta a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art 75 , comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui prevede come reato la violazione degli obblighi di “vivere onestamente” e di rispettare le leggi”

E) Corte di cassazione, Sezioni unite - sentenza 18 novembre 2019, n.46595 Tale ultimo arresto nomofilattico si pone sulla medesima scia interpretativa e affronta la tematica della precisione e prevedibilità con riguardo alla prescrizione che il tribunale deve dettare 'di non partecipare alle pubbliche riunioni'. Proprio con riferimento al divieto di partecipare alle pubbliche riunioni, la Corte EDU, De Tommaso ha espresso preoccupazione per il fatto 'che le misure previste dalla legge e applicate al ricorrente comprendono l’assoluto divieto di partecipare a riunioni pubbliche. La legge non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezione del giudice'. Il precetto viene criticato per la eccessiva ampiezza del divieto piuttosto che in rapporto al deficit di conoscibilità. Mentre, quanto agli obblighi di vivere onestamente e di rispettare le leggi, la Corte EDU censura la norma che li prevede perché 'non formulata in modo sufficientemente dettagliato e non chiarisce con sufficiente chiarezza il contenuto delle misure di prevenzione che potrebbero essere applicate ad una persona', la 'preoccupazione' espressa dalla Corte EDU con riferimento al divieto di partecipare a pubbliche riunioni riguarda soprattutto l’assolutezza della compressione della relativa libertà. La questione di diritto rimessa alle sezioni unite è: “Se, ed in quali limiti, la partecipazione del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ad una manifestazione sportiva tenuta in luogo aperto al pubblico risulti fatto punibile, in riferimento al reato di violazione delle prescrizioni imposte al sorvegliato speciale di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 8 e 75”.

Massima: “La prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, che deve essere in ogni caso dettata in sede di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8, comma 4, si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico”. Il criterio distintivo tra i luoghi pubblici e quelli aperti al pubblico è quello dell’accessibilità, già indicato dalle Sezioni Unite, Guardigli (Sez. U, n. 8 del 31/03/1951, Guardigli, Rv. 97110): è in luogo pubblico la riunione che si tenga in un luogo in cui ogni persona può liberamente transitare e trattenersi senza che occorra in via normale il permesso della autorità (ad es., piazza, strada); è in luogo aperto al pubblico la riunione che si tenga in luogo chiuso (ad es., cinema, teatro), ove l’accesso, anche se subordinato ad apposito biglietto di ingresso, è consentito ad un numero indeterminato di persone; è, invece, privata, la riunione che si tenga in luogo chiuso con la limitazione dell’accesso a persone già nominativamente determinate.

A cura di M. Isotta Fermani


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