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Diritto Penale

KNOW HOW - SEGRETI INDUSTRIALI - Cass. pen., Sez. V, sent. 4 giugno 2020, n. 16975

MASSIMA

“In tema di delitti contro la inviolabilità dei segreti, non costituisce condizione, ai fini della configurabilità del reato di rivelazione di segreti industriali, la sussistenza dei presupposti per la brevettabilità, ex art. 2585 cod. civ., della scoperta o dell’applicazione rivelata, dovendosi ritenere oggetto della tutela penale del reato in questione il “segreto industriale” inteso in senso lato, ovvero “quell’insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione e dunque la compressione dei tempi di produzione”.”


IL CASO

La Corte di Cassazione ha esaminato un ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d’appello, che aveva giudicato gli imputati colpevoli del reato di cui all’art. 623 c.p., per aver rivelato segreti industriali acquisiti in ambito lavorativo. In particolare, gli imputati si erano dimessi dalla società presso la quale avevano maturato le conoscenze scientifiche oggetto di causa, per poi confluire in un’altra società, per la quale realizzavano una chiave dinamometrica e il relativo software, sfruttando il sapere scientifico acquisito dalla società precedente.

Avverso la sentenza, gli imputati hanno presentato quattro motivi di ricorso, attinenti: alla tardività della querela; alla violazione ed erronea applicazione dell’art. 623 c.p.; alla nullità dell’ordinanza che aveva rigettato la richiesta di revoca tacita della costituzione di parte civile; e al vizio di motivazione, con riferimento alle statuizioni risarcitorie. Soprattutto, con il secondo motivo, si lamentava l’errore del giudice nella valutazione dell’elemento oggettivo del reato in questione, poiché non sarebbe ravvisabile alcun know how giuridicamente tutelato né alcun patto di non concorrenza, volto a tutelarlo.


LA QUESTIONE

Al centro della controversia vi sono le doglianze presentate nel secondo motivo di ricorso, laddove si discute della corretta individuazione del concetto di know how, rilevante a fini sanzionatori. Sul punto, invero, la Corte d’appello si è basata su quell’orientamento giurisprudenziale che intende il segreto industriale in senso lato, quale insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire la riduzione al minimo degli errori di progettazione e realizzazione. Pertanto, lo stesso indirizzo interpretativo ritiene che la sussistenza di presupposti di brevettabilità ex art. 2585 c.c. non costituisca una condizione per la configurazione del reato di rivelazione di segreti industriali.

Per converso, gli imputati ricostruivano il concetto di know how secondo un’accezione differente, ritenendo che questo non possa estendersi a tutti i processi produttivi o commerciali. In particolare, la commercializzazione di un prodotto come quello di cui si discute renderebbe la relativa conoscenza di dominio pubblico, privandola di tutela. Di conseguenza, non sussisterebbe un know how nel momento in cui il bene viene posto in commercio e non si configurerebbe il reato di cui all’art. 623 c.p., poiché le conoscenze sfruttate dagli imputati non erano coperte da un brevetto.


LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile. Innanzitutto, i giudici dichiarano l’infondatezza del primo motivo di ricorso, relativo alla tardività della querela. Infatti, si riconosce la natura di reato istantaneo del delitto di cui all’art. 623 c.p., il cui termine per la querela inizia a decorrere dal giorno in cui la persona offesa ha avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto di reato.

Allo stesso modo, sono infondate le osservazioni mosse con il secondo motivo, relative all’insufficiente identificazione del know how e alla mancanza del requisito di segretezza. Aderendo all’interpretazione giurisprudenziale seguita anche dalla Corte d’appello, i giudici di legittimità hanno riconosciuto la configurazione del reato di cui all’art. 623 c.p., poiché gli imputati avevano realizzato un prodotto che era il frutto delle conoscenze acquisite presso la società precedente.

Come già affermato in sede di merito, l’art. 623 c.p. è diretto a sanzionare l’infedeltà del dipendente e a tutelare il patrimonio cognitivo e organizzativo di un apparato industriale. Di conseguenza, la consolidata giurisprudenza di legittimità è propensa a riconoscere una nozione più ampia di know how, il cui oggetto di tutela non è la singola conoscenza maturata dagli imputati durante il periodo alle dipendenze della persona offesa, bensì la combinazione di tutte queste informazioni, che hanno portato ad un prodotto innovativo e competitivo sul mercato. Ciò è confermato dallo stesso art. 623 c.p., che tutela l’interesse a che non vengano divulgate notizie attinenti ai metodi che caratterizzano la struttura industriale, ossia il patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l’esercizio e la manutenzione di un apparato industriale. Pertanto, fra gli elementi costitutivi del reato in questione non vi rientra la brevettabilità della conoscenza, di cui all’art. 2585 c.c.

Sulla scorta di tali considerazioni, l’indirizzo prevalente e riproposto dalla Corte di Cassazione opina per il riconoscimento di un ambito applicativo più ampio dell’art. 623 c.p., rispetto alla disciplina civilistica. Elemento fondamentale per la tutela è la non notorietà delle applicazioni industriali, da intendersi nel loro complesso, piuttosto che delle singole componenti, che possono essere conosciute dalla comunità.

Per le stesse ragioni i giudici di legittimità escludono la sovrapponibilità del segreto industriale di cui all’art. 623 c.p. con la diversa figura disciplinata dall’art. 98 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale), relativa alle informazioni segrete aziendali. Invero, tale ultima norma non avrebbe la funzione di definire l’oggetto della disposizione penale, poiché sussistono anche segreti industriali non caratterizzati dai criteri di cui all’art. 98 cit., ma comunque meritevoli di tutela giudiziaria. Più nel dettaglio, si può osservare come la norma contenuta nel codice della proprietà industriale individui l’oggetto di tutela nelle informazioni aziendali e nelle esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, laddove esse siano segrete, abbiano valore economico e siano sottoposte a misure volte a garantirne la segretezza.

Ciò comporta che la sottrazione di tali conoscenze riceverà una tutela in sede penale, per mezzo dell’art. 623 c.p. Tuttavia, questo potrà operare anche al di fuori delle ipotesi contenute nel decreto legislativo, ove sussista un interesse apprezzabile al mantenimento del segreto. Infatti, la norma oggetto di scrutinio presenta una disciplina più ampia, che abbraccia ogni segreto commerciale o notizia destinata a rimanere segreta, sopra scoperte o invenzioni scientifiche.

Infine, anche il terzo e il quarto motivo sono ritenuti infondati da parte dei giudici di legittimità. Da un lato, non sussisterebbero le ragioni per la revoca della costituzione di parte civile e, dall’altro, viene confermata la sussistenza del danno patrimoniale e non patrimoniale patito dalla persona offesa.

Ne consegue il rigetto dei ricorsi.


Segnalazione a cura di Erik Giachello




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