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Diritto Penale

INFORTUNI SUL LAVORO - COLPA DATORE DI LAVORO - Cass. Pen., Sez. IV, 2 dicembre 2019, n. 48779

MASSIMA: “È onere del datore di lavoro controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; da ciò ne deriva che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri un modus operandi “contra legem”, che potrebbe comportare pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza e di tempestivo intervento circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, configura il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme.”

IL CASO: La Corte di appello di Trieste confermava la condanna dei datori di lavoro, nonché amministratori delegati di una società, per i reati di cui agli artt. 113, 590, co. 1, 2 e 3, c.p., in relazione agli artt. 28, co. 2, e art. 37, co. 1, D. Lgs. n. 81/2008, per le lesioni personali riportate da un lavoratore a causa della condotta colposa degli imputati, consistita nella violazione delle norme di prevenzione, nell’omessa adeguata valutazione dei rischi connessi all’attività, e nell’omessa adeguata informazione e formazione dell’operaio in tema di prevenzione e protezione dai rischi riferiti alle mansioni svolte. La Corte territoriale confermava altresì la condanna della società per il reato di cui all’art. 25 septies D. Lgs. n. 231/2001, in relazione al reato di cui all’art. 590 c.p., co. 1 e 3, per l’omessa predisposizione e attuazione di un modello di organizzazione e gestione al fine di prevenire la commissione di delitti di lesioni colpose derivanti dalla violazione delle norme antinfortunistiche a vantaggio della società. Avverso la sentenza, i soggetti condannati proponevano ricorso per cassazione. Uno degli imputati eccepiva di aver assunto la posizione di garanzia solo 34 giorni prima dell’infortunio e che in tale breve lasso temporale non avrebbe potuto conoscere la sussistenza di una pericolosa prassi non conforme alle regole. L’altro imputato evidenziava innanzitutto di avere cessato tutti gli incarichi al momento dell’evento, in secondo luogo rilevava l’interruzione del nesso di causalità rappresentata dalla condotta abnorme posta in essere dal lavoratore. Infine, la società eccepiva che la Corte di appello aveva omesso di valutare che l’utilizzo del metodo errato che aveva comportato l’infortunio avrebbe consentito un risparmio irrisorio, pertanto non sarebbe stato un fattore idoneo ad influenzare le scelte della società stessa.

LA QUESTIONE: La Corte di Cassazione ha ritenuto corretta l’affermazione della Corte di appello secondo cui entrambi gli imputati, datori di lavoro e amministratori delegati, ciascuno per il rispettivo periodo di riferimento, risultavano gravati dall’obbligo, non delegabile, di conoscere lo svolgimento usuale delle lavorazioni in azienda e le prassi consolidate non conformi alle regole della sicurezza, e di adottare le misure organizzative necessarie affinché le predette lavorazioni venissero eseguite secondo le modalità di sicurezza. Non risulta sufficiente la mera previsione del rischio nel documento per la valutazione dei rischi, bensì occorre informare e formare i lavoratori. È dunque corretta l’individuazione della colpa degli imputati nella carenza di ordine organizzativo generale, e non nell’omessa sorveglianza delle modalità di lavorazione. Con riferimento alla posizione dell’amministratore subentrato, la sentenza ha evidenziato che da un monitoraggio da questi effettuato proprio nel reparto ove l’infortunio si è verificato, era emersa la necessità di un apposito intervento in quel segmento della produzione. Con riferimento al precedente amministratore, la sentenza impugnata ha evidenziato la lunga durata della prassi pericolosa instauratasi nella società che non rende credibile che i preposti non se ne fossero accorti, in quanto era altresì emerso che tale prassi accelerava i tempi delle lavorazioni. La Suprema Corte ha inoltre ritenuto infondata la contestazione relativa all’abnormità del comportamento del lavoratore. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non è idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo il compimento, da parte del lavoratore, di un’operazione imprudente che tuttavia non risulta eccentrica rispetto alle mansioni allo stesso assegnate, come nel caso in esame. Pertanto, la Corte di Cassazione ha affermato che, se non vi fossero state le predette carenze organizzative riconducibili ad entrambi gli amministratori delegati, l’infortunio non si sarebbe presumibilmente verificato. Con riferimento alla posizione della società, nella sentenza in commento viene richiamata la pronuncia con cui le Sezioni Unite (sent. n. 38343/2014 Espenhahn ed altri) hanno precisato che i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, devono essere riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico. È fuor di dubbio che la morte o le lesioni del dipendente in conseguenza di violazioni di norme antinfortunistiche non costituiscano un vantaggio per la società, ma è innegabile che un vantaggio possa essere rappresentato dal risparmio di tempo o di costi necessari per adeguarsi alla normativa. Nel caso di specie, è stato provato che la società ha risparmiato i costi connessi alla mancata attuazione della procedura corretta, sostituita dalla prassi pericolosa che realizzava un procedimento rapido che accelerava i tempi di produzione, inoltre la società ha risparmiato i costi connessi ad un’adeguata attività di formazione ed informazione dei lavoratori.

LA SOLUZIONE: La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi e, confermando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha affermato che il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei propri compiti di vigilanza, si attenga alla normativa e alle eventuali ulteriori disposizioni impartitegli. Conseguentemente, allorquando nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri una pericolosa prassi contra legem, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro, che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore stesso e che abbia omesso di vigilare ed intervenire tempestivamente per interrompere la pericolosa prassi instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme. La Corte di Cassazione ha infine evidenziato che la sussistenza di molteplici posizioni di garanzia rispetto alla medesima finalità di prevenzione, non esclude che più soggetti possano essere chiamati a rispondere della violazione in funzione delle rispettive attribuzioni e competenze.


Segnalazione a cura di Francesca Zinnarello.


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