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Diritto Penale

INDUZIONE INDEBITA - Cass., Sez. VI, 11 MARZO 2020, n. 9763

MASSIMA: “Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità - al pari della concussione - si differenzia da quelle fattispecie, in quanto richiede una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea ad indurre l'extraneus (o a costringerlo, nel caso della concussione) alla dazione o alla promessa indebita, versando quest'ultimo comunque in posizione di soggezione rispetto al suo interlocutore; l'accordo corruttivo tra costoro, invece, presuppone la "par condicio contractualis" e si sostanzia nell'incontro libero e consapevole della volontà delle parti, che agiscono, appunto, su un piano di parità. […] distinzione tra il delitto di induzione indebita commesso mediante inganno e quello di truffa: nella prima fattispecie, il privato mantiene la piena consapevolezza della non debenza della prestazione data o promessa, accettando la pattuizione illecita per evitare il pregiudizio paventato dal pubblico agente; mentre, nel reato di truffa, la vittima viene indotta in errore circa la doverosità delle somme o delle utilità oggetto di dazione o promessa.”

IL CASO: In sede di appello è stata confermata la condanna dell’imputata per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità ex art. 319-quater c.p., in quanto, nella sua qualità di responsabile della Conservatoria dei registri immobiliari, aveva indotto la parte civile a corrisponderle una prima somma di denaro per procedere alla trascrizione di una sentenza, al fine di superare gli impedimenti prospettati in plurime occasioni, e aveva richiesto un’ulteriore somma asseritamente destinata al pagamento di sanzioni inesistenti. Con ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello, l’imputata ha innanzitutto contestato la sussistenza del reato, poiché la somma di denaro, che non avrebbe comunque potuto sanare le irregolarità dell’atto, non sarebbe stata dalla stessa richiesta, ma offerta da un’intermediaria, impiegata presso lo studio notarile cui si era rivolta la vittima, inoltre la somma sarebbe stata rifiutata dall’imputata. Con riferimento alla richiesta dell’ulteriore somma, la ricorrente ha affermato che non era pretestuosa perché la parte civile avrebbe dovuto versarla con gli appositi modelli F23 e F24. La ricorrente ha altresì lamentato l’erronea qualificazione giuridica della condotta, potendo ipotizzarsi un millantato credito o una corruzione, con riferimento al versamento della prima somma di denaro; mentre, riguardo alla richiesta dell’ulteriore importo, semmai si sarebbe potuta configurare una truffa. Infine, in punto di sanzione, ha contestato il diniego delle attenuanti generiche.

LA QUESTIONE: Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha innanzitutto affermato che le circostanze dedotte nel ricorso contrastano con i risultati dell'istruttoria dibattimentale e, pertanto, risultano manifestamente infondate. La Suprema Corte ha rigettato l’alternativa configurabilità del delitto di millantato credito in quanto risulta escluso l’intervento dell’intermediaria asseritamente sostenuto dalla difesa. Nella sentenza è stata altresì esclusa la sussunzione della condotta dell’imputata nelle fattispecie corruttive, ove l’accordo corruttivo presuppone la parità delle parti, in quanto la stessa non ha interagito con il privato su un piano di parità, avendo inoltre prospettato plurimi ostacoli pretestuosi, al fine di fare apparire alla vittima l’indebita dazione come lo strumento più efficace e rapido per superarli. La Corte ha altresì escluso la configurabilità del delitto di truffa, con riferimento alla richiesta dell’ulteriore somma di denaro, non accolta dal privato. Affinché si configuri il delitto di truffa, la vittima viene indotta in errore, con artifizi o raggiri, relativamente alla doverosità delle somme o delle utilità oggetto di dazione o promessa. Nel caso di specie, il privato, subito dopo avere ricevuto tale ulteriore richiesta, si è recato presso gli uffici della Guardia di Finanza per denunciare l’imputata. Ciò vale a dimostrare in modo inequivoco la consapevolezza della vittima del carattere non dovuto di siffatta prestazione. La Suprema Corte ha altresì evidenziato che, in ogni caso, la suddetta ulteriore pretesa risulta irrilevante ai fini della consumazione dell’induzione indebita, realizzatasi già con il primo versamento di danaro non dovuto. È stato infine ritenuto manifestamente infondato anche l'ultimo motivo, attinente al trattamento sanzionatorio.

LA SOLUZIONE: La Suprema Corte, richiamando proprie precedenti pronunzie, ha ribadito che il reato di cui all’art. 319-quater c.p., come la concussione, si differenzia dalle fattispecie corruttive, poiché richiede una “condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea ad indurre l’extraneus (o a costringerlo, nel caso della concussione) alla dazione o alla promessa indebita”. La vittima si trova in posizione di soggezione rispetto al reo, diversamente da quanto avviene in caso di accordo corruttivo, che presuppone la “par condicio contractualis” e consiste nell'incontro libero e consapevole della volontà delle parti, che agiscono su un piano di parità (Sez. Un., sent. n. 12228/2013, Maldera; Sez. 6, sent. n. 52321/2016; Sez. 6, sent. n. 50065/2015). Con riferimento alla configurabilità del delitto di truffa in luogo di quello di induzione indebita commesso mediante inganno, la Corte di Cassazione ha ribadito l’ormai consolidato principio di diritto in base al quale, nel caso del delitto ex 319-quater c.p., il privato è pienamente consapevole della non debenza della prestazione data o promessa ed accetta la pattuizione illecita al fine di non incorrere nel pregiudizio prospettato dal pubblico agente; mentre, nel reato ex art. 640 c.p., la vittima viene indotta in errore, mediante artifizi o raggiri, in merito alla doverosità delle somme o delle utilità oggetto di dazione o promessa (Sez. 6, sent. n. 53436/2016; Sez. 6, sent. n. 39089/2014). La Corte di Cassazione ha dunque dichiarato inammissibile il ricorso, con conseguente condanna della ricorrente alle spese ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità.

Segnalazione a cura di Francesca Zinnarello


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