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Diritto Penale

INDULTO - RIDETERMINAZIONE PENA - Cass. I Sez. 29 ottobre 2020, n. 30045

LA MASSIMA

“La riduzione della pena principale per effetto dell’applicazione dell’indulto non comporta la rideterminazione, in fase esecutiva, della durata della pena accessoria la quale è stata definita in conformità alle norme di legge con sentenza di condanna irrevocabile”.


IL CASO

Il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’ordinanza con la quale la Corte d’Appello, in veste di giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza di rideterminare in anni uno la durata della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici inflittagli con sentenza irrevocabile.

Secondo la difesa, difettava uno dei presupposti per l’applicazione della misura accessoria, vale a dire la durata della pena detentiva, la quale si era ridotta per effetto dell’indulto applicato in sede esecutiva.


LA QUESTIONE

La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di rideterminare la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, già inflitta con sentenza di condanna irrevocabile, in seguito alla riduzione della pena principale in fase di esecuzione.

Sul punto la Suprema Corte ritiene, innanzitutto, che il caso concreto ricada nell’ambito dell’art. 29 c.p., il quale predetermina la durata della pena accessoria in base alla misura della pena principale.

Risulta inapplicabile, invece, la disposizione sussidiaria e residuale di cui all’art. 37 c.p., la quale prevede identità di durata tra la pena principale e la pena accessoria qualora il legislatore non abbia predeterminato la durata della sanzione accessoria. La Corte di Cassazione richiama una pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza n. 2891 del 28/02/2019) secondo la quale non rientrano nell’art. 37 c.p. le ipotesi in cui il legislatore determina la pena accessoria in misura non fissa, indicandone un minimo e/o un massimo di durata, poiché in tali casi la misura deve essere individuata secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p. e non in rapporto alla durata della pena principale.


LA SOLUZIONE

Ad avviso della Suprema Corte, l’ordinanza impugnata dal ricorrente non presenta alcun profilo di illegittimità per i seguenti motivi.

In primo luogo, l’art. 29 c.p. è stato correttamente applicato, in quanto la sentenza di condanna divenuta irrevocabile contiene l’indicazione della pena principale in misura superiore ad anni cinque di reclusione, durata che consente l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

In secondo luogo, la Corte di Cassazione ritiene che nel caso di condanna per reato continuato, come nel caso di specie, la durata della sanzione accessoria, commisurata a quella della pena principale ai sensi dell’art. 29 c.p., debba essere determinata con riferimento alla pena inflitta per la violazione più grave senza tenere conto degli aumenti per la continuazione per i reati di minore gravità.

Considerate, pertanto, la correttezza della commisurazione della sanzione accessoria nonché l’irrevocabilità della determinazione del trattamento sanzionatorio dell’imputato, è esclusa qualsiasi possibilità di rideterminazione della pena accessoria.

Infine, la Suprema Corte ritiene errato l’assunto secondo il quale la pena principale, per effetto dell’applicazione dell’indulto in sede esecutiva, andrebbe ridotta con conseguente rideterminazione della pena accessoria. L’art. 174 c.p., infatti, prevede espressamente la non trasmissione dell’effetto estintivo dell’indulto alle pene accessorie, salvo differenti disposizioni da parte della legge di concessione.

Alla luce di quanto illustrato, Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.


Segnalazione a cura di Vera Forastieri





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