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Diritto Penale

ILLEGITTIMITÀ PENA - RIDETERMINAZIONE TRATTAMENTO - Cass. Pen. Sez. 1, 02 dicembre 2019, n. 48951

MASSIMA “A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 73 co 1 D.P.R. 309/90, in relazione alle droghe pesanti, l’illegalità della sanzione discende automaticamente dalla circostanza oggettiva della diversità tra quadro sanzionatorio vigente al momento di conclusione dell’accordo processuale sulla pena e il quadro normativo ripristinato a seguito della sentenza Corte Cost. 40/2019. Il Giudice dell’esecuzione, utilizzando i criteri di cui agli artt.132 e 133 c.p., deve rinnovare il giudizio di proporzione sostanziale tra la sanzione edittale e portata lesiva della condotta tenuta in concreto. Ciò in applicazione del principio di adeguatezza tra trattamento penale e quadro normativo di riferimento restaurato”.


IL CASO Il GIP del Tribunale di Modena, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ritenendo congrua la pena di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 9.000 di multa, applicata al prevenuto con sentenza ex art. 444 c.p.p., rigettava la ratifica del nuovo patteggiamento sulla pena. Tale proposta veniva formulata in conseguenza della sentenza della Corte Cost. 40/2019 con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73 d.p.r. 309/90 nella parte in cui prevedeva come pena edittale massima la reclusione di anni otto, anziché sei, per fatti non lievi aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e II ex art. 14 del medesimo d.p.r. Avverso tale ordinanza il condannato ricorreva per cassazione lamentando la violazione di legge consistente nella mancata rideterminazione della pena da parte del giudice dell’esecuzione.


LA QUESTIONE Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione affronta il tema dell’adeguamento del rapporto tra condotta e trattamento penale a seguito di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Tale questione trae origine dalla sentenza 40/2019 con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.73, co1 d.p.r. 309/90 in riferimento al minimo edittale di anni otto di reclusione, ripristinato all’esito della decisione 32/2004. Con quest’ultima pronuncia si è determinata la reviviscenza del testo normativo in vigore antecedentemente alla modifica introdotta dall’art. 4bis co 1 lett. b L. 49/2010, con conseguente restaurazione per le condotte relative a detenzione e cessione di droghe c.d pesanti del trattamento minimo di anni otto di reclusione. Il ragionamento logico-giuridico seguito dalla Corte prende le mosse dal consolidato principio giurisprudenziale della cd “flessibilità” del giudicato. In particolare, i giudici di legittimità ribadiscono il principio affermato dalla pronuncia a S.U. Gatto del 2014 secondo cui: “Allorquando, invero, a seguito di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non sia stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato”. Tale necessità di rideterminazione deriva dall’esigenza di eliminare una pena commisurata secondo un quadro edittale non conforme al principio di legalità, per effetto della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale. La Corte richiama poi la sentenza a S.U. Jazuli del 2015 in merito all’an e al quomodo della nuova determinazione sanzionatoria nei procedimenti definiti con rito ex art. 444 c.p.p. In tale pronuncia, i giudici di legittimità hanno chiarito che la pena, applicata a seguito di patteggiamento, è da ritenere illegale e deve essere rideterminata anche là dove formalmente rientri nella cornice edittale della norma “ripristinata”. Per quanto concerne le modalità di intervento in fase esecutiva le S.U. hanno escluso che si potesse ricorrere ad un criterio di tipo matematico-proporzionale o che si potesse destrutturare il contenuto pattizio iniziale, valorizzando un’ipotesi di libera determinazione della pena da parte del giudice dell’esecuzione. Lo strumento processuale per rivedere la pena è stato individuato nell’art.188 disp. att. c.p.p. In particolare, il patteggiante e il P.M. possono sottoporre al giudice dell’esecuzione un nuovo accordo sulla pena, quantificata in base ai nuovi criteri edittali. In tali casi il Giudice dell’esecuzione deve valutare la congruità della pena utilizzando i criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p. secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalità, non limitandosi a respingere la rinnovata proposta di patteggiamento. Con riferimento al caso in esame la Corte ritiene che a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell’art.73 co1 D.P.R. 309/90, l’illegalità della sanzione discende automaticamente dalla circostanza oggettiva della diversità tra quadro sanzionatorio vigente al momento della conclusione dell’accordo processuale sulla pena e il quadro normativo ripristinato. Pertanto, il Giudice dell’esecuzione, in applicazione del principio di adeguatezza tra trattamento sanzionatorio e quadro normativo di riferimento, deve rinnovare il giudizio di proporzione sostanziale tra la sanzione edittale e la portata lesiva della condotta tenuta in concreto.


SOLUZIONE Nell’ottica dei giudici di legittimità il Giudice dell’esecuzione, per effetto della decisione della Corte Costituzionale 40/2019, avrebbe dovuto procedere a una riduzione necessaria della pena. Ciò perché il giudizio sulla pena si svolge rapportandosi a una cornice non più in vigore e poiché la discrezionalità del giudice nella relativa determinazione o il conseguente potere di ratifica di un accordo tra le parti si conforma, per il principio di legalità, al trattamento minimo e massimo di pena previsto dal paradigma di incriminazione astratto al momento della decisione. Per tali motivi la Corte dispone l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Giudice dell’esecuzione per nuovo esame.



Segnalazione a cura di Alessandra Fantauzzi

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