LA MASSIMA
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Torino in ordine alla fattispecie di rapina impropria, per il ritenuto contrasto di detta fattispecie incriminatrice con i principi di uguaglianza, offensività e proporzionalità della pena. Non sussistono lesioni al principio di uguaglianza nella relazione comparativa tra la norma che punisce la rapina propria e quella che incrimina la rapina impropria.
IL CASO
Tre sono i casi sottoposti all’attenzione del giudice di prime cure e dai quali sorge la questione di legittimità costituzionale: nel primo l’imputato, dopo essersi impossessato di beni di modico valore all’interno di un negozio, aveva esercitato poi violenza nei confronti della persona che aveva tentato di fermarlo, e pur riuscendo a divincolarsi, lo stesso era stato immediatamente bloccato dalla sorveglianza dell’esercizio commerciale; nel secondo procedimento l’imputato era stato sorpreso all’interno di un’autovettura, mentre si impossessava di cose contenute nel vano porta-oggetti, lo stesso aveva strattonato fuori dall’abitacolo la persona che aveva tentato di bloccarlo, ma pochi metri dopo era stato fermato dall’intervento di passanti e delle Forze dell’Ordine; nell’ultimo procedimento, all’imputato veniva contestato il reato di tentata rapina impropria, in quanto dopo aver prelevato ed occultato della merce esposta in un negozio, raggiunta l’uscita, ed esortato dal proprietario dell’esercizio commerciale alla restituzione dei beni, aveva spinto con violenza lo stesso, abbandonato la merce e tentato la fuga, immediatamente arrestata da agenti di Polizia che causalmente avevano assistito all’azione criminosa.
LA QUESTIONE
Rispetto ai casi di specie summenzionati, il Tribunale di Torino, con tre distinte ordinanze, ha sollevato questione di legittimità costituzionale rispetto al reato di cui all’art.628, co.2 c.p., la c.d. rapina impropria, eccependo, quali principali motivi di censura, la violazione dei principi di uguaglianza, offensività e proporzionalità della pena.
La questione sorge primariamente nel raffronto tra il primo ed il secondo comma della norma summenzionata: nel disciplinare il reato di rapina propria, il legislatore punisce con la reclusione da quattro a dieci anni, oltre multa, chiunque, mediante violenza o minaccia alla persona, s’impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto; nella rapina impropria viene punito con la medesima pena stabilita per la rapina propria, chiunque adoperi violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, al fine di procurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o l’impunità.
Il Tribunale di Torino contesta in primo luogo la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art.3 Cost., stante la disomogeneità strutturale dei reati di rapina propria ed impropria, ai quali è comminata la medesima sanzione. Secondo il giudice remittente nel primo comma la condotta sanzionata si connoterebbe per una maggiore gravità, stante la violenza o minaccia alla persona per impossessarsi della cosa mobile altrui, dunque una azione da ritenersi preordinata da parte del soggetto agente, con un dolo di maggiore intensità; nel secondo comma l’azione sarebbe piuttosto volta ad ottenere l’impunità o il possesso definitivo della cosa sottratta, dunque una condotta dove l’uso della minaccia e della violenza non sono programmate, ma andrebbero collocate piuttosto in una sorta di “tensione istintiva alla libertà” da parte del reo.
Il giudice remittente inoltre analizza in modo critico l’elemento dell’immediatezza che caratterizza il reato di rapina impropria: nel caso in cui la condotta di violenza e minaccia non si manifesti nell’immediatezza della sottrazione della cosa, non potrebbe ritenersi integrata la rapina impropria. Di conseguenza la sanzione da dover applicare al soggetto agente sarebbe più mite, in quanto la fattispecie alla quale fare riferimento, ai fini sanzionatori, dovrebbe essere piuttosto quella di furto, oltre all’ipotesi delittuosa commessa successivamente, quale, a titolo esemplificativo, una resistenza a pubblico ufficiale, o una violenza privata. Dunque per il giudice remittente il distinguo tra la immediatezza o meno dell’azione, non giustificherebbe questo trattamento sanzionatorio così divergente: dovrebbe essere comminata la stessa sanzione per ogni ipotesi di violenza o minaccia volta ad assicurare al reo l’impunità o il possesso definitivo della cosa, a prescindere dalla prossimità temporale dell’azione, essendo comunque connotate dalla medesima gravità.
Un ulteriore assunto a sostegno della censura di costituzionalità per violazione del principio di uguaglianza, è il diverso ruolo svolto dall’impossessamento nella rapina propria e nella rapina impropri. Il giudice remittente sottolinea che mentre nella prima l’impossessamento è l’elemento che individua il momento consumativo del reato, nella rapina impropria la consumazione si ha a prescindere dallo stesso, difatti in tale ipotesi la condotta di violenza e minaccia del soggetto agente sarebbe volta proprio a garantire o l’impunità o il possesso della cosa sottratta.
In secondo luogo il Tribunale di Torino ritiene ci sia altresì violazione dell’art. 25 Cost., in virtù del quale a pari livelli di gravità dell’offesa deve corrispondere la medesima risposta sanzionatoria da parte dell’ordinamento.
Per il giudice remittente nel caso di situazioni difformi dovrebbe esservi una differenza proprio sul piano edittale, con una forbice ampia che consenta di adeguare la pena al caso concreto. Tale risultato, per il Tribunale di Torino, potrebbe essere conseguito applicando, a quelle ipotesi che confluirebbero nella fattispecie di rapina impropria, il reato di furto tentato, in combinato con altre fattispecie a seconda di quanto realizzato dal soggetto agente, come il reato di violenza privata, o di resistenza a pubblico ufficiale.
Infine la censura viene mossa anche rispetto alla violazione dell’art. 27, co.3, Cost., dove la funzione rieducativa della pena richiede una equa proporzione tra il fatto di reato e la sanzione, rapporto che appare squilibrato rispetto alla rapina impropria, per la quale è comminato un minimo edittale pari a quattro anni per la reclusione.
Posto quanto sopra dunque, il Tribunale di Torino adisce alla Corte Costituzionale per chiedere l’eliminazione dell’art.628, co.2 c.p., dalla quale non discenderebbe alcun vuoto normativo, in quanto per le ipotesi riferibili alla rapina impropria potrebbe trovare applicazione il reato di furto, unitamente a quella di volta in volta concretizzata dal soggetto agente: in questo modo la comminazione della pena risulterebbe rispettosa del principio di proporzionalità, dunque non eccessiva, ed al contempo idonea a rispondere al disvalore del fatto.
LA SOLUZIONE
La Corte Costituzionale, analizza in modo unitario il comune percorso motivazionale delle tre ordinanze di rimessione del Tribunale di Torino.
In primo luogo viene sottolineato l’erronea differenziazione tra il reato di rapina propria ed impropria sulla base del dolo che caratterizzerebbe le due fattispecie. Difatti in entrambe le ipotesi le condotte sono volontarie e consapevoli: esse ricomprendono l’impossessamento della cosa mobile altrui, come il ricorso alla violenza o minaccia, ma soprattutto vi è la medesima aggressione patrimoniale.
In secondo luogo la Corte ritiene non fondate anche le argomentazioni avanzate dal giudice rimettente sulla diversa soglia di consumazione delle due ipotesi di reato. La giurisprudenza ormai consolidata ha chiarito che il reato di rapina impropria si consuma a seguito della sottrazione della cosa altrui e che, a tal fine, non è necessario l’instaurarsi di una nuova ed autonoma situazione di possesso in capo al soggetto agente. La stessa analisi dell’art. 628 c.p. fornisce indicazioni chiare in tal senso: mentre al primo comma è indicato sia l’impossessamento che la sottrazione, dunque entrambi elementi costitutivi della fattispecie sul piano materiale, nel secondo comma l’impossessamento è l’obiettivo che il soggetto si prefigge con l’azione di violenza o minaccia, ma posta in essere nell’immediatezza della sottrazione.
E’ opportuno allora individuare e rimarcare la ratio sottesa alle previsioni di cui all’art.628 c.p. Il legislatore ha costruito volontariamente un reato complesso, nel quale far confluire come elementi costitutivi, o circostanze aggravanti, più fatti che costituirebbero reato di per sé, ma che vengono posti in essere in un contesto unitario di aggressione al patrimonio. Pertanto la scelta dell’ordinamento, rispetto al reato di rapina impropria, è stata quella di non dare rilievo all’instaurazione di una nuova situazione di possesso in capo al reo. Il disvalore del fatto, e ciò che viene perseguito, è la contestualità, di tempo e luogo, nonché la finalità della condotta di violenza o minaccia.
La Corte ritiene non sostenibile altresì le argomentazioni avanzate dal giudice remittente rispetto all’irrilevanza dell’immediatezza dell’azione.
A contrario nell’ordinamento tale elemento ha una sua importanza e viene chiamata in soccorso la nozione di flagranza di cui all’art. 382 c.p.p.: tale è la situazione di colui che subito dopo il reato, viene inseguito o sorpreso con cose o tracce dalle quali si evince che abbia commesso reato immediatamente prima. Dunque la prossimità cronologica è un elemento al quale viene dato un rilievo dalla legge e rispetto alla rapina impropria l’immediatezza da un criterio certo di interpretazione della fattispecie stessa: infatti è quella contestualità di tempo e luogo dell’aggressione al patrimonio e del rischio per l’incolumità e la libertà morale della persona, data la condotta violenta o minacciosa, ad esprimere il disvalore della rapina impropria ed a giustificare il relativo trattamento sanzionatorio. Il soggetto che commette il reato de quo non desiste dalla aggressione patrimoniale, anzi, al fine di conseguire il possesso della cosa o l’impunità, attua una ulteriore azione criminale.
Dunque la norma censurata dal Tribunale di Torino rispetta i principi di ragionevolezza e di uguaglianza.
La Corte Costituzionale, nonostante il superamento delle prime censure di cui sopra, prende posizione anche rispetto alla asserita violazione del principio di proporzionalità della pena.
Il Tribunale di Torino ha mosso critiche rispetto ai minimi edittali contemplati per la rapina impropria, uguali a quelli previsti per la propria. La Corte in merito sottolinea che tale costruzione normativa non è isolata, ma piuttosto rappresenta una precisa strategia dell’ordinamento rispetto ai reati contro il patrimonio, soprattutto ove connotati dalla violenza e minaccia. Negli ultimi anni difatti si è registrato un incremento dei minimi edittali per molte altre fattispecie, quali la legittima difesa, basti pensare ai valori minimi fissati all’art.624 bis, co.1. e co.3 c.p., o all’avvenuto aumento di pena rispetto alle aggravanti specifiche del reato di furto, nonché nello stesso art. 628, co.1, co.3 co.4 c.p., recentemente modificati.
È evidente che il legislatore ha inteso reagire in modo più severo in alcune fattispecie delittuose, connotate da un più elevato e sentito disvalore sociale.
Posto quanto sopra, la Corte Costituzionale ritiene non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.628, co.2 c.p. in riferimento agli artt.3, 25, co.2, e 27, co.3 Cost.
Segnalazione a cura di Erika Violante
#cassazione #sentenza #sistemadirittopenale #magistratura #avvocato #concorsomagistratura #dirittopenale #giurisprudenza #recentissimecassazione #tribunale #legge #rivistagiuridica #temadiritto #temamagistratura #novità_giurisprudenziale
Ci trovi anche
Comments