A cura di Annarita Sirignano
RICETTAZIONE – ART. 648 C.P.
Bene giuridico: l’impostazione tradizionale e maggioritaria considera la fattispecie in commento come un delitto contro il patrimonio. Tale indirizzo ermeneutico si fonda, oltre che sulla collocazione codicistica, su un dato fattuale: il passaggio di mano di cose provenienti da un delitto (quali, a titolo esemplificativo, beni mobili oggetto di furto) inevitabilmente rende più complesso il loro recupero e favorisce il consolidamento della perdita economica patita dalla vittima.
Un orientamento minoritario ritiene, tuttavia, che la ricettazione sia altresì posta a tutela dell’amministrazione della giustizia: la circolazione di siffatte res potrebbe comportare la dispersione delle prove di un reato e comprometterne l’accertamento.
Soggetto attivo: trattasi di reato proprio. Dal novero dei potenziali prevenuti vanno, tuttavia, esclusi, per espressa previsione legislativa, coloro che abbiano concorso nella realizzazione del reato presupposto nonché, a maggior ragione, chi ne sia stato l’autore.
Elemento oggettivo: la ricettazione è un reato di condotta a forma vincolata. La norma descrive nel dettaglio le quattro modalità alternative di realizzazione della fattispecie.
L’azione rilevante ex art. 648 c.p. consiste nell’acquistare, ricevere od occultare res di origine illecita, nonché nell’intromissione per farle acquistare, ricevere od occultare da altri.
Presupposto della figura criminosa è che il denaro o le cose oggetto del contegno tipico provengano da delitto.
Secondo la tesi prevalente, può costituire base della fattispecie in commento qualsiasi delitto, colposo o doloso (anche tentato); restano escluse, invece, le contravvenzioni.
Risulta pacifico, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, che, ai fini dell’affermazione di responsabilità in tema di ricettazione, non sia indispensabile l’accertamento giudiziale del reato presupposto.
Elemento soggettivo: dolo specifico. Affinché taluno possa rispondere per ricettazione si richiede, unitamente alla necessaria rappresentazione e volizione degli elementi costitutivi del fatto tipico, che la condotta criminosa sia posta in essere dall’agente al fine di procurare a sé o ad altri un profitto.
Secondo l’indirizzo ermeneutico prevalente, rientra in tale nozione ogni forma di utilità o vantaggio, anche temporaneo, che possa trarsi dal conseguimento di cose provenienti da delitto.
Il profitto può altresì avere natura non patrimoniale.
Questione controversa attiene alla compatibilità tra ricettazione e dolo eventuale.
Ci si è chiesti, in particolare, se la fattispecie in commento presupponga indefettibilmente che l’agente si rappresenti, in termini di certezza, la provenienza delittuosa della res.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, intervenute sul punto, hanno dato risposta negativa all’interrogativo delineato: la ricettazione è compatibile con il dolo eventuale (cfr. Cass., S.U., sent. 12433/2009)
Poiché si configuri il delitto di cui all’art. 648 c.p., non è, però, sufficiente il mero sospetto in ordine all’origine illecita: è necessario, per converso, dimostrare che il risultato criminoso sia stato oggetto di una deliberazione consapevole da parte dell’agente.
Si ha dolo eventuale qualora, alla luce delle peculiarità del caso concreto, risulti evidente che il reo avrebbe agito allo stesso modo anche se avesse avuto certezza della provenienza delittuosa (cd. formula di Frank)
INCAUTO ACQUISTO – ART. 712 C.P.
Bene giuridico: L’acquisto di cose di sospetta provenienza fa parte delle contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio.
Soggetto attivo: trattasi di reato comune. Non si richiede che l’agente rivesta una determinata qualifica né versi in un particolare rapporto con il soggetto passivo.
Elemento oggettivo: la figura criminosa in esame integra una fattispecie di mera condotta a forma vincolata.
Il contegno tipico ex art. 712, primo comma, c.p. si sostanzia nell’acquistare o ricevere, a qualsiasi titolo, cose che, per la loro qualità, per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che derivino da reato.
Il secondo comma della disposizione in esame espone a pena altresì colui che si adoperi per fare acquistare o ricevere, a qualsiasi titolo, alcune delle cose suindicate, senza averne prima accertato la legittima provenienza.
Ai fini della ricorrenza della contravvenzione in esame, non è necessario che risulti provata l’origine delittuosa della res.
Elemento soggettivo: in quanto fattispecie contravvenzionale, l’incauto acquisto è punibile a titolo di mera colpa.
ANALOGIE E DIFFERENZE TRA I REATI
Le figure criminose oggetto di disamina presentano svariati punti di contatto.
In primo luogo, è identico l’interesse giuridico presidiato, da ravvisarsi, secondo l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, nella tutela del patrimonio.
Ricettazione e incauto acquisto costituiscono ambedue reati propri: non si richiede che il soggetto attivo rivesta particolari qualifiche.
Parzialmente analoga è la condotta tipica. Le fattispecie richiamate presuppongono entrambe, sul piano oggettivo, l’acquisto o la ricezione di cose di dubbia provenienza.
Tuttavia, mentre il delitto di ricettazione postula che l’origine illecita sia specificamente provata in sede processuale, ai fini dell’art. 712 c.p. è sufficiente che sussistano a riguardo ragionevoli motivi di sospetto.
Ancora, l’incauto acquisto non menziona, tra le possibili modalità di realizzazione del fatto tipico, l’occultamento della provenienza della cosa. Invero, tale condotta, presupponendo la consapevolezza della derivazione delittuosa, mal si concilia con il rimprovero a titolo di mera colpa.
Principale differenza tra ricettazione e incauto acquisto risiede, tuttavia, nell’elemento soggettivo.
Poiché l’agente risponda ex art. 648 c.p., è necessario che egli si rappresenti – quanto meno a titolo di dolo eventuale – l’origine delittuosa dei beni.
All’opposto, l’applicazione della contravvenzione di cui all’art. 712 c.p. prescinde da ogni indagine in ordine a tale consapevolezza: è sufficiente che l’acquisto o la ricezione delle cose siano intervenuti in circostanze tali da ingenerare nell’uomo medio motivi di sospetto e che, ciò nonostante, il soggetto attivo non abbia posto in essere i dovuti accorgimenti al fine di accertare la liceità della relativa provenienza.
L’ingente disparità di trattamento sanzionatorio tra le due fattispecie si fonda, pertanto, sulla diversa natura del rimprovero mosso al reo.
In caso di ricettazione, all’agente si contesta di avere, deliberatamente e allo scopo di trarne vantaggio, favorito la circolazione di beni che siano sicuro oggetto di un delitto.
All’opposto, in ipotesi di incauto acquisto, il soggetto è punito per il mero fatto di non avere adottato le cautele prescritte dall’ordinamento per accertare la legittima provenienza. Il rimprovero è, dunque, a titolo di colpa.
Ne consegue che il dolo eventuale rappresenta la linea di confine, sul piano soggettivo, tra le due fattispecie.
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