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Diritto Penale

Il concorso colposo nel reato doloso

Svolgimento a cura di Tiziana Magistà

La fattispecie del concorso colposo nel delitto doloso costituisce un tema dibattuto nella dottrina e nella giurisprudenza italiana, che si inserisce nell’alveo della più generale questione inerente la qualificazione del concorso di persone in termini di reato unitario ovvero di fattispecie plurisoggettive differenziate. Invero, fondare la punibilità a titolo di concorso sulla teoria monista o su quella pluralista non ha un rilievo meramente teorico. Optare per l’una o per l’altra tesi comporta ricadute sul piano della punibilità di ciascun concorrente, dell’identità o meno del reato da attribuire ai compartecipi, nonché in ordine al profilo della omogeneità o eterogeneità del titolo soggettivo di responsabilità penale da ascrivere ai singoli partecipanti. Ne consegue che il primo ostacolo alla ammissibilità di un concorso colposo nel delitto doloso è rappresentato dalla possibilità di superare il dogma dell’unitarietà del titolo di responsabilità dei concorrenti paventato dalla tradizionale tesi monista. In specie, secondo quest’ultima teoria la combinazione della norma di parte speciale con le norme dettate in materia di concorso dà luogo ad una nuova fattispecie di reato: la fattispecie di concorso di persone del reato. Essa costituisce reato unico e indivisibile, connotato dalla pluralità degli agenti, che si affianca alla fattispecie monosoggettiva. Pertanto la tipicità delle condotte di ciascun concorrente verrà stabilita rispetto a tale nuova fattispecie, sì da ritenere tipiche quelle condotte che presentano i requisiti costitutivi della fattispecie plurisoggettiva anche se tali non sarebbero state ove raffrontate con la fattispecie mono soggettiva. Secondo questa impostazione sarebbe quindi impossibile la configurazione del concorso di persone nel reato qualora la realizzazione pluripersonale del fatto illecito sia connotata da titoli soggettivi diversificati fra i partecipi. Posto che il fenomeno concorsuale dà luogo ad una fattispecie incriminatrice unitaria rispetto a tutti i concorrenti, ai fini della relativa configurabilità è necessaria un’omogeneità non solo con riguardo al fatto materiale, ma altresì circa l’elemento psicologico. La volontà e la rappresentazione di tutti i partecipi alla realizzazione della fattispecie plurisoggettiva deve perciò uniformarsi al coefficiente psichico proprio del reato che si contesta. Dottrina più recente ha opposto a tale concezione monista la cd. teoria pluralista del concorso di persone, in forza della quale nel fenomeno concorsuale sarebbe possibile ravvisare una pluralità di reati. In questa prospettiva la combinazione della norma incriminatrice di parte speciale con le norme che disciplinano il concorso di persone dà luogo a tante fattispecie plurisoggettive differenziate di concorso quanti sono i partecipi. Tali distinte fattispecie plurisoggettive di concorso, pur avendo in comune il medesimo fatto materiale, si differenziano tra loro sotto il profilo soggettivo. A sostegno di tale impostazione si richiama il disposto dell’art. 112 c.p., nella parte in cui ammette la configurabilità dell’istituto concorsuale in tutte quelle ipotesi in cui vi sia un concorso doloso in un fatto incolpevole. A riguardo si osserva che sarebbe del tutto illogico, oltre che iniquo, ascrivere alla fattispecie concorsuale i casi in cui uno dei due concorrenti agisca senza dolo o senza colpa, perché ad esempio non imputabile, e non anche quelli in cui vi sia eterogeneità sul versante soggettivo. Ulteriore conferma dell’ammissibilità di differenti coefficienti psichici in capo ai vari concorrenti si rinviene nell’art. 116 c.p., che contempla una fattispecie concorsuale anomala. Precisamente l’esecutore del reato effettivamente commesso agisce a titolo di dolo, mentre coloro che volevano il reato diverso programmato, rispondono a titolo di responsabilità oggettiva o di colpa a seconda dell’orientamento giurisprudenziale o dottrinale cui si aderisce. Inoltre depone in tal senso anche la previsione dell’art. 48 c.p., in relazione al reato determinato dall’altrui inganno. In tali ipotesi, del reato commesso risponde a titolo di dolo colui che ha posto in essere l’inganno mentre, a titolo di colpa, colui che ha realizzato la condotta criminosa indotto in errore dall’altrui inganno, sempreché chiaramente sia ravvisabile la colpa nel suo agire e il reato sia punibile a tale titolo. Alla luce delle disposizioni richiamate, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono condivisibile la tesi pluralista, sì da poter affermare il superamento del dogma tradizionale dell’unitarietà del fenomeno concorsuale anche con riguardo al titolo soggettivo di imputazione. In definitiva, il principio di unitarietà della responsabilità penale in materia di concorso va circoscritto al solo piano dell’offesa oggettiva, ovverosia del fatto tipico, non investendo il profilo della punibilità, il titolo del reato, il coefficiente psicologico, nonché le condizioni o le qualità personali dei concorrenti. Così chiarita l’astratta ammissibilità del concorso di persone a componente psicologica c.d. mista, è possibile procedere all’analisi del fenomeno della partecipazione sinergica di più persone nel reato, sorretta da atteggiamenti psicologici diversi in capo ai concorrenti. In particolare due sono le principali forme di manifestazione del fenomeno: il concorso doloso nel delitto colposo e il concorso colposo nel delitto doloso. Quanto al fenomeno del concorso colposo nel delitto doloso, si pone il problema della sua ammissibilità e, in specie, della possibilità che l’art. 113 c.p. ne costituisca la base normativa. Tale forma di concorso si verifica quando un soggetto pone in essere una condotta colposa che si traduce in un contributo alla realizzazione del reato doloso altrui. Si fa riferimento all’ipotesi manualistica del soggetto che pur consapevole del proposito omicida di un suo conoscente, gli consegna un veleno topicida nella erronea convinzione inescusabile che verrà effettivamente utilizzato per uccidere i topi, laddove viene utilizzato per uccidere un altro soggetto. L’istituto in esame suscita perplessità anche tra chi aderisce agli orientamenti dottrinali favorevoli al superamento del principio di unicità del titolo soggettivo dei concorrenti, negando tuttavia la configurabilità di un concorso colposo in reato doloso. Fra gli argomenti a sostegno della tesi negativa, un ruolo decisivo assumerebbe il tenore letterale dell’art. 42, II c., c.p., secondo cui nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. La norma richiede così un’espressa previsione per la responsabilità colposa, che difetterebbe per il concorso colposo nel delitto doloso. Di conseguenza, la generalizzata configurazione di ipotesi di partecipazione colposa all’altrui fatto doloso sarebbe frutto di un’interpretazione analogica in malam partem. Si è obiettato, tuttavia, che tale disposizione concerne la sola parte speciale del codice, quindi solo le fattispecie incriminatrici mono soggettive. La lettera della norma peraltro favorisce questa soluzione, poiché oggetto dell’espressa previsione per colpa deve essere un fatto preveduto dalla legge come reato. Con riferimento invece alla disciplina dettata dall’art. 113 c.p. si osserva innanzitutto che, come è palese dalla rubrica “cooperazione nel delitto colposo”, la disposizione limita il concorso colposo alla sola ipotesi di delitto colposo. Inoltre la chiara espressione letterale con la quale il testo si apre, “Nel delitto colposo...”, confermerebbe la impossibilità di includervi il delitto doloso. Tuttavia, come taluni autori hanno messo in luce, l’argomento non è dirimente per escludere la configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso, dato che la disposizione si concentra sulla cooperazione di più persone alla causazione dell’evento, senza alcuna specificazione in merito all’elemento psicologico. Sicché l’espressione “cooperazione di più persone” deve ritenersi idonea ad includere sia le ipotesi di partecipazione dolosa, che quelle di partecipazione colposa. Sul punto, singolare è un argomento interpretativo che la giurisprudenza prevalente ha adottato per superare le sopra esposte critiche all’istituto concorsuale in esame. Secondo tali orientamenti giurisprudenziali, nell’espressione “nel delitto colposo” che apre l’art. 113 c.p. sarebbe da ricomprendere anche l’ipotesi del delitto doloso in forza dell’affermazione dottrinale “non c’è dolo senza colpa”. Quest’ultima consentirebbe di affermare che il dolo non è qualcosa di diverso dalla colpa, ma qualcosa in più, avente, oltre alla violazione di un dovere oggettivo di diligenza, anche la coscienza e la volontà dell’evento. Parte della dottrina inoltre evidenzia che diverse fattispecie di reato di agevolazione colposa di delitto doloso sono espressamente previste nel codice vigente (artt. 254, 259, 326 cpv., 335, 350, 387, 391 cpv. c.p.), il che rappresenterebbe una riprova della necessità che per la punibilità del concorso colposo nel delitto doloso sia necessaria una espressa previsione normativa. Senonché si è replicato che tale apposita previsione può ben essere giustificata sulla scorta di ragioni diverse rispetto all’inammissibilità dell’istituto concorsuale in esame, come la finalità di prevedere un diverso trattamento sanzionatorio per le ipotesi di agevolazione colposa nel delitto doloso rispetto a quelle di agevolazione colposa nel delitto doloso. Tanto premesso, secondo l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente è possibile affermare che nel nostro ordinamento non sussistono ostacoli insuperabili alla configurabilità del concorso colposo in reato doloso. Invero, sulla base dei predetti argomenti volti a superare le obiezioni in ordine alla ammissibilità di tale compartecipazione criminosa, nonché sulla scorta dello statuto dell’istituto in esame, delineato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 2007, la configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso è stata costantemente affermata in più precedenti di legittimità, aventi ad oggetto casi simili a quello oggetto di analisi dell’anzidetta pronuncia. Più nel dettaglio, con la sentenza in questione, la Suprema Corte ha confermato la condanna di un medico psichiatra, il quale, riducendo e poi sospendendo in maniera imprudente il trattamento farmacologico cui era sottoposto un paziente ricoverato in comunità, aveva determinato l'aggravamento della patologia, sì da avere provocato la crisi nel corso della quale lo stesso paziente aveva aggredito e ucciso uno degli operatori della comunità. Dunque, la Corte di Cassazione nel concludere per l’ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso nel caso di specie ha precisato che un’astratta possibilità di concorso colposo nel reato doloso va riconosciuta a talune condizioni: che il reato del partecipe sia previsto anche nella forma colposa, in quanto diversamente sarebbe violato il disposto di cui all’art. 42, II c., c.p., e che in relazione alla sua condotta sussistano tutti gli elementi che caratterizzano la colpa. In tal modo la Suprema Corte ha circoscritto l’ambito applicativo dell’istituto, esigendo che dopo aver accertato l’influenza causale della condotta colposa dell’agente, venga verificata l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento di una colpa causalmente efficiente nel verificarsi dell’evento doloso altrui. In altri termini si è affermato che è possibile ipotizzare un autentico concorso colposo nell’altrui reato doloso ogniqualvolta, in omaggio alla teoria della cd. concretizzazione del rischio, la regola cautelare violata dal concorrente sia diretta ad evitare anche il rischio dell'atto doloso del terzo, prevedibile per l'agente, difettando altrimenti la cd. causalità della colpa. Sicché si è sostenuto che le regole dell’arte medica che impongono allo psichiatra di calibrare il trattamento farmacologico sul rischio suicidiario o omicidiario del paziente in cura sono tese a evitare l’atto doloso del terzo, posto che la prescrizione di un farmaco psichiatrico è funzionale non soltanto a curare, ma altresì ad evitare che il soggetto affetto da una grave patologia psichiatrica possa compiere, per l’appunto, atti omicidiari.

Nonostante gli approdi della giurisprudenza di legittimità, nel 2019 si è registrato un revirement in materia, che ha minato le fondamenta dell’istituto. La sentenza in questione ha ad oggetto l’omicidio di due impiegate da parte di un soggetto che, immediatamente dopo il duplice delitto, si è tolto la vita e che aveva acquistato l’arma utilizzata mediante porto d’armi a lui rilasciato in forza di un certificato, nel quale si attestava l’assenza di malattie ostative. L’autore del fatto era invero seguito da strutture specialistiche per disturbi psichici, essendogli stato diagnosticato un disturbo bipolare, e il medico che aveva redatto il certificato ne era a conoscenza, avendogli in più occasioni prescritto un farmaco utilizzato anche contro il disturbo bipolare. In tale occasione, la Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità del concorso colposo del medico nel delitto doloso altrui, ritenendo che comunque possa ipotizzarsi una responsabilità penale in capo al medico, ex art. 41 c.p., come concorso di cause indipendenti, fra le quali una è il rilascio del certificato suddetto. Più nel dettaglio, la pronuncia in esame, ricostruito il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sull’argomento, giunge alla conclusione dell’inammissibilità nel dell’istituto. Si osserva infatti che a fronte di una mancata previsione esplicita del concorso colposo nel doloso, un’ammissione in via interpretativa, quale è quella cui è pervenuta la giurisprudenza negli anni, deve presentare il connotato della incontrovertibilità, posto che l’esito è quello di estendere l’area del penalmente rilevante. In altri termini, pur essendo consentita nel nostro ordinamento l’interpretazione estensiva, quest’ultima deve essere fortemente ancorata a dati di diritto positivo incontrovertibili e secondo questo orientamento tali non sono gli argomenti interpretativi finora spesi in relazione agli artt. 42 e 113 c.p., nonché all’eccezionalità delle previsioni legali di agevolazione colposa. Stante pertanto la natura eccezionale della responsabilità colposa, non basterebbe ritenere sufficiente la consapevolezza del concorrente in colpa di agire in un fatto plurisoggettivo, peraltro non ravvisabile nel caso di specie, perché la cooperazione sinergica di più soggetti nella gestione di un rischio dovrebbe essere sanzionata da una previsione espressa. Si sostiene inoltre, in relazione all’espressione “nel delitto colposo” che apre l’art. 113 c.p., che se in via astratta si può ritenere che nel dolo ci sia sempre una componente di colpa, in ogni caso la fattispecie dolosa e quella colposa sono strutturalmente eterogenee e l’interconnessione tra di esse dovrebbe essere prevista per legge. A fronte di questo ripensamento della Corte di Cassazione in ordine alla ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso taluni autori si sono interrogati sull’effettiva utilità dell’istituto in relazione alla punibilità di condotte colpose agevolatrici di reati dolosi. Autorevole dottrina ha evidenziato al riguardo che, nei casi che finora si sono presentati in giurisprudenza, il ricorso alla figura del concorso colposo nell’altrui reato doloso non è mai stata indispensabile in quanto le medesime condotte assumevano rilevanza penale, di per sé, ai sensi dell’art. 41 c.p. Secondo l’orientamento maggioritario in dottrina e giurisprudenza, tuttavia, l’istituto del concorso di cause colpose indipendenti di cui all’art. 41 c.p. va tenuto debitamente distinto dai casi di cooperazione sinergica di più persone nel reat. In specie, la distinzione fra i due istituti poggia sulla consapevolezza, anche unilaterale, di cooperare al fatto materiale altrui, presente nel solo caso del concorso di persone; con la precisazione che tale consapevolezza non ricomprende il carattere doloso dell’altrui condotta, posto che in tal caso, laddove cioè il concorrente fosse a conoscenza del carattere doloso dell’agire altrui, la sua condotta sarebbe retta da dolo anziché da colpa. In definitiva, il concorrente che versa in colpa, deve essere consapevole che la sua condotta si innesta in un intreccio di condotte di altri soggetti, aumentando il rischio di verificazione dell’evento finale. In assenza di tale consapevolezza si configura invece la diversa fattispecie del concorso di cause colpose indipendenti, ove ciascuna condotta integra gli estremi del fatto tipico punibile considerata in un rapporto autonomo con l’evento. Pertanto, pur aderendo alla tesi minoritaria che considera sovrapponibili gli istituti del concorso di cause indipendenti e quello del concorso colposo nel doloso, se dal punto di vista della punibilità il fenomeno in parola non manifesta la sua utilità pratica - benché il riconoscimento del concorso renderebbe applicabili tutte le circostanze aggravanti o attenuanti specifiche -, sul piano dell’analisi criminale resta aperto l’interrogativo sulla possibilità di riconoscere all’istituto in parola un ulteriore spazio di operatività, ascrivendogli la medesima funzione incriminatrice che svolge nella diversa ipotesi di concorso doloso nel colposo. In linea cioè con la ratio del concorso di persone che consente di operare un correttivo alla concezione restrittiva di autore vigente nel nostro ordinamento, riconoscendo all’istituto concorsuale una funzione estensiva e la possibilità di punire azioni che pur portando un contributo alla realizzazione del fatto tipico, non sono da sole sufficienti ad integrare gli estremi della singola fattispecie criminosa, ci si chiede se possa recuperarsi l’utilità dell’istituto in discussione riconoscendovi per l’appunto una funzione incriminatrice. Sì da punire anche agevolazioni colpose atipiche nel delitto doloso altrui, ovverosia i contributi colposi che pur causalmente determinanti nella realizzazione dell’evento non si sostanziano nella violazione della regola cautelare diretta ad evitare anche il rischio dell'atto doloso del terzo, il quale però era comunque prevedibile per il concorrente stante la posizione di garanzia rivestita.


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