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Diritto Penale

FURTO ABITAZIONE - Cass. pen., Sez. V, 3.04.2020, n. 11322.

LA MASSIMA Per quanto riguarda la configurabilità del delitto di cui all’art. 624 bis c.p. in luogo della diversa fattispecie di cui all’art. 624 c.p., secondo i principi affermati da Sez. Un., n. 31345 del 23/03/2017 Rv. 270076, rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.

IL CASO Con la sentenza in esame la Cassazione ha annullato con rinvio la decisione della Corte d’Appello di Milano che, confermando le statuizioni del giudice di primo grado, aveva condannato l’imputata per il delitto di furto in abitazione per aver sottratto una bicicletta dal deposito sito presso la sede dell’ufficio della proprietaria del mezzo. In particolare, la difesa ha lamentato, con il primo motivo di ricorso, vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine all’accertamento di responsabilità in capo all’imputata. Con il secondo motivo, ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto come furto in abitazione, punito ai sensi dell’art. 624-bis c.p., in luogo del meno grave delitto di cui all’art. 624 c.p., essendosi il fatto verificato in luogo non qualificabile come privata dimora in quanto liberamente accessibile ai terzi.

LA QUESTIONE La questione posta all’attenzione della Corte trova fondamento nel dibattito circa la nozione giuridicamente e penalmente rilevante di “privata dimora”, così come intesa dal legislatore nella norma di cui all’art. 624-bis c.p., e, conseguentemente, la possibilità di estendere tale qualifica a un deposito che costituisce pertinenza del luogo di lavoro. La norma in esame, come noto, nel punire il delitto di furto commesso tramite introduzione in un luogo di privata dimora, attribuisce espressamente rilevanza penale anche alla condotta posta in essere nelle pertinenze di questo, ossia in ogni altro luogo legato ad esso da un vincolo di pertinenzialità e che, a prescindere dalla presenza di misure idonee ad escludere l’accesso ai terzi, non sia liberamente accessibile a chiunque. Da ciò consegue che, al fine di risolvere la questione ermeneutica, è indispensabile verificare se la sede dove il lavoratore è chiamato a svolgere la propria attività professionale, possa essere considerata alla stregua di una privata dimora così come intesa dal legislatore penale. Unicamente in tale ipotesi, infatti, sarà configurabile la fattispecie delittuosa in esame anche con riferimento alle relative pertinenze. Sul punto, la Corte richiama il recente orientamento delle Sezioni Unite secondo cui rientrerebbe nella nozione di privata dimora qualsiasi luogo dove un soggetto ponga in essere, non occasionalmente, atti di vita privata e rispetto al quale sia precluso l’accesso ai terzi in assenza del consenso del titolare (Cass, Sez. Un., 23.03.2017, n. 31345). Vengono in rilievo, pertanto, due caratteri fondamentali ed essenziali in presenza dei quali anche quei luoghi che, intrinsecamente, non rientrerebbero nella nozione in esame possono acquisire rilevanza, in sede penale, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 624-bis c.p.. In particolare, sottolinea la Corte, ciò che è necessario accertare è l’effettivo e ripetuto svolgimento, in tali luoghi, di attività comunemente considerate di vita privata e, contestualmente, che questi non siano liberamente accessibili al pubblico. Siffatto accertamento, evidentemente, impone una valutazione del caso concreto rimessa al giudice di merito, ben potendo ricondursi a tale nozione anche luoghi diversi dalla comune abitazione, quali appunto sedi di uffici o locali in cui viene svolta l’attività lavorativa e professionale. Ed infatti, sebbene questi generalmente contemplino il libero accesso ai locali di una moltitudine di soggetti, tale classificazione non può essere considerata assoluta e inderogabile, dovendosi, all’opposto, valutare caso per caso le caratteristiche del luogo e le concrete modalità di utilizzo e di svolgimento delle attività.

LA SOLUZIONE Ciò premesso, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata affinché il giudice di merito accerti se, nel caso concreto, la sede di lavoro presenti i caratteri necessari elaborati dalla giurisprudenza ai fini dell’equiparazione della stessa ad un luogo di privata dimora, consentendo così di estendere tale qualifica anche alle aree connesse da vincolo di pertinenzialità.

Segnalazione a cura di Alessandra Manca Bitti


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