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Diritto Penale

ESTORSIONE - TRUFFA AGGRAVATA - Cass., Sez. II, 18 giugno 2020, n. 18542

MASSIMA:

“La distinzione tra il reato di estorsione consumata attraverso la prospettazione di un pericolo che, apprezzato ex ante, appare quanto mai concreto, sebbene creato ad arte dall'agente, ed il reato di truffa aggravata dalla prospettazione di un pericolo immaginario, deve essere effettuata misurando la concreta efficacia coercitiva della minaccia, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, dovendosi ritenere che si verte nella ipotesi estorsiva quando il male prospettato, derivato dalla volontà potestativa dell'agente, coarta la volontà della vittima; si verte invece nell'ipotesi della truffa quando la prospettazione del pericolo, irrealizzabile per sua intrinseca inconsistenza, non ha capacità coercitiva, ma si limita ad influire sul processo di formazione della volontà deviandolo attraverso la induzione in errore (similmente Cass. sez. 2, n, 46084 del 21/10/2015, Rv. 265362). La valutazione della efficacia coercitiva, piuttosto che semplicemente manipolativa della minaccia deve essere effettuata con apprezzamento da effettuarsi ex ante, ovvero in modo indipendente dalla effettiva realizzabilità del male prospettato”.


IL CASO:

La presente pronuncia riguarda il caso di un soggetto condannato dai giudici di merito per il reato di estorsione continuata perché, in concorso con altri soggetti, riferiva falsamente al padre di essere minacciato di morte da terzi malfattori inducendolo a compiere atti di disposizione patrimoniale.

In particolare, l’imputato, figlio della vittima, riferiva continuamente al padre di essere in pericolo di vita al fine di ottenere da questi elargizioni patrimoniali e a tal fine aveva agito in concorso con terzi che ribadivano alla vittima le finte minacce subite dall’imputato.

Avverso la sentenza di condanna l’imputato propone ricorso in Cassazione contestando specialmente la qualificazione giuridica dei fatti. Invero, secondo la difesa la condotta dell’imputato andrebbe inquadrata nell’alveo del reato di truffa aggravata dalla prospettazione di un pericolo immaginario ex art. 640, comma 2 n. 2, c.p. con conseguente estinzione per intervenuta prescrizione. A differenza di quanto statuito dai giudici di merito che hanno, invece, condannato l’imputato per il reato di estorsione ex art. 629 c.p.


LA QUESTIONE:

La principale questione di diritto affrontata dalla Corte riguarda la distinzione tra il reato di estorsione ex art. 629 c.p. e il reato di truffa aggravata dalla prospettazione di un pericolo immaginario ex art. 640, comma 2 n. 2, c.p.

Si tratta di una questione interpretativa delle concrete modalità d’azione, atteso che in entrambe le fattispecie penali la condotta sanzionata riguarda quella attività ingannatoria posta in essere dal soggetto agente determinando una forma di costrizione della volontà della vittima, sia pure in conseguenza di un pericolo immaginario .

Sul punto sono ravvisabili due diversi indirizzi interpretativi:

Secondo una prima ricostruzione, il criterio differenziale, tra il delitto di truffa aggravato dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario e quello di estorsione, riguarda l’elemento oggettivo, id est la prospettazione del male. Così, si configura estorsione qualora il male venga prospettato come possibilità concreta, considerando il danno certo e sicuro ove la vittima non ceda alla richiesta minatoria; si ricade nella truffa, invece, qualora il male rappresentato non dipenda, neppure in parte, dall’agente, il quale resta del tutto estraneo all’evento, sì che il soggetto passivo si determina all’azione versando in stato di errore (cosi, tra le più recenti, Sez. 2, n. 52121 del 25/11/2014, Danzi, Rv. 261328).

Di contro, per un diverso orientamento, il criterio distintivo tra l’estorsione e la truffa per ingenerato timore riguarda l’elemento soggettivo, ossia lo stato d’animo della vittima. In tal senso, si ricade nel delitto di estorsione quando l’agente incute direttamente od indirettamente il timore di un danno proveniente da lui (o da persona a lui legata da un rapporto qualsiasi), di guisa che la vittima cede alla minaccia al fine di evitare il male prospettato che gli appare come possibilità concreta in caso rifiuto.

Nella truffa vessatoria, invece, il danno è prospettato solo in termini di eventualità obiettiva e giammai derivante in modo diretto od indiretto dalla volontà dell’agente, di guisa che l’offeso agisce non perchè coartato, ma perché tratto in inganno, anche se il timore contribuisce ad ingenerare l’errore nel processo formativo della volontà (tra le tante Sez. 2, n. 36906 del 27/09/2011, Traverso, Rv. 251149; si vedano anche Rv. 133309; 156497; 174914; 201333; 215705; 226057; 248402; 251149).

Ciò posto, nel caso di specie, la Corte innovando in parte i precedenti orientamenti, individua il criterio differenziale nella concreta efficacia coercitiva della minaccia e non già nella realizzabilità o meno del male minacciato. In altri termini, secondo la Corte la valutazione deve risolversi sulla idoneità della coazione quale minaccia concreta ed effettiva al fine di compiere la distinzione tra la truffa e l'estorsione.

Così opinando, la Corte osserva che ai fini del corretto inquadramento del fatto occorre verificare se il male minacciato sia “riconducibile ad una condotta fraudolenta, piuttosto che ad una irresistibile coartazione. Se, cioè, la volontà della vittima risulti semplicemente manipolata o, piuttosto, irresistibilmente coartata (Sez. 2, n. 21974, del 18/4/2017, Rv. 270072)”.

Sotto questo aspetto, la pronuncia compie un’accurata distinzione tra “manipolazione” e “coartazione”, atteso che il primo elemento caratterizza la truffa mentre il secondo l’estorsione.

Invero, sebbene entrambe le condotte incidano sulla formazione della volontà della vittima, la coartazione orienta l’altrui volontà in modo molto pregnante, piegandola ad una minaccia irresistibile, a differenza della manipolazione che soltanto dirige con l’inganno la volontà dai pericoli prospettati ab externo”. In tal senso, la condotta coercitiva ricorre quando la minaccia prospettata non si sia limitata a dirigere e manipolare la volontà della vittima ma l’abbia proprio “piegata” in virtù della forza intimidatrice del male esterno.

La Corte chiarisce che l’accertamento sulla capacità coercitiva della minaccia riguarda questioni di mero fatto da svolgere sulla base delle risultanze processuali e attraverso un giudizio ex ante, ossia verificando se effettivamente il male minacciato possa incidere sulla volontà della vittima e ciò a prescindere che lo stesso possa effettivamente verificarsi.

Applicando tale esegesi al caso di specie, la Corte considera infondate le doglianze del ricorrente e conferma la sentenza anche per quanto riguarda la qualificazione giuridica dei fatti, ricondotti dal giudice di merito nel reato di estorsione ex art. 629 c.p. A corroborare la ricostruzione estorsiva, si osserva che “il peso delle minacce concrete e la loro efficacia intimidatoria è dipesa totalmente dalla capacità dell'imputato e dei terzi che agivano in concorso con lui di rappresentare come reale ed attuale il pericolo per la vita. La vittima pertanto non è stata indotta con l'inganno, ma costretta dal peso delle minacce a determinarsi al sacrificio patrimoniale in favore del figlio”


LA SOLUZIONE:

In considerazione delle ragioni esposte, la Corte rigetta il ricorso e conferma la sentenza di appello ritenendola congrua e logica circa la riconduzione della condotta ai sensi del reato di estorsione ex art. 629 c.p.


Segnalazione a cura di Desireé Augusto


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