MASSIMA La minaccia di rivelare a terzi la relazione extraconiugale in cambio di una somma di danaro quale prezzo del silenzio integra il reato di estorsione in ragione della illegittimità della pretesa pecuniaria.
IL CASO La Corte d’Appello, in totale adesione con quanto sancito dal giudice di prime cure, ha condannato l’imputato per il reato di estorsione, per aver costretto l’amante a consegnarle prima la somma di Euro 1.000,00 e poi di Euro 5.000,00, sulla minaccia di rivelare la relazione extraconiugale ai familiari quest’ultimo. La difesa dell’imputata, ricorrendo per Cassazione, ha lamentato l'illogicità della motivazione. Più nel dettaglio – a detta della difesa – tale vizio è rinvenibile nell’aver - i Giudici di seconda istanza - valutato il tema della sussistenza del dolo sulla base non già del compendio probatorio nel suo complesso, ma in modo esclusivo o prevalente sulla base della sola rappresentazione fornita dall'imputata. A tal riguardo aggiunge come le dichiarazioni dell’imputato fossero state travisate, anche in virtù della insufficiente conoscenza della lingua e della conseguente difficoltà di esprimersi. Difatti, dal punto di vista della difesa, l’ammissione di addebito in relazione alla minaccia posta in essere ai danni dell’amante di render nota la relazione ai familiari di questi (qualora non avesse avuto il danaro), era stata posta in essere non in un ottica estorsiva, bensì nella convinzione che quella somma le spettasse di diritto quale contropartita del dolore patito per l'interruzione di una gravidanza.
LA QUESTIONE Nell’esaminare la questione in punto di diritto, la Corte di Cassazione ritiene inammissibile il motivo di ricorso. In motivazione la Corte avverte l’esigenza di precisare che, in quella sede, non è consentito dedurre il travisamento del fatto, essendo precluso al giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, ma solo il travisamento della prova, ove il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. A ciò aggiunge che, nel caso in esame, per come è stato rappresentato il ricorso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. Ciò posto, la Corte ritiene, comunque, che la pronuncia di secondo grado sia priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori. A tal proposito i giudici di legittimità rilevano che la Corte d’Appello, ritenendo integrato l’elemento psicologico del reato di estorsione, ha correttamente motivato in ordine alla consapevolezza della illegittimità della richiesta di danaro, in considerazione del difetto di una pretesa tutelabile afferente il riconoscimento della somma di danaro quale contropartita dell'interruzione di gravidanza; elemento ultimo corroborato, altresì, dalle dichiarazioni testimoniali.
LA SOLUZIONE La Suprema Corte ritiene inammissibile il ricorso. Pertanto, condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ravvisando profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, altresì al pagamento di una somma a favore della Cassa delle ammende.
Segnalazione a cura di Anna Santomasi
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