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Diritto Penale

ESERCIZIO ARBITRARIO - ELEMENTO SOGGETTIVO - Cass., Sez. II, 11 settembre 2020, n. 26982

LA MASSIMA

Ai fini della configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ex art. 393 c.p., è necessario che l’autore sostituisca lo strumento di tutela pubblica con quella privata e che, ponendo in essere l’azione, sia ragionevolmente convinto che il preteso diritto che vanti sia legittimo, purché tale pretesa rientri perfettamente nell'oggettiva e concreta tutela predisposta dall’ordinamento giuridico.


IL CASO

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord ha proposto ricorso dinanzi alla Suprema Corte avverso l’ordinanza con la quale il G.i.p. non convalidava l’arresto in flagranza dell’imputato, eseguito in ordine al presunto reato di rapina ex art. 628 c.p.

In particolare, il ricorrente articolava in unico motivo di doglianza, la violazione della legge, in riferimento agli artt. 393 e 628 c.p. e 380 c.p.p., ed il vizio di motivazione dell’ordinanza, manifestamente illogica e contraddittoria nella parte in cui il G.i.p. qualificava il fatto storico come esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 c.p., senza indicare la pretesa giuridica suscettibile di tutela dinanzi all’Autorità Giudiziaria.


LA QUESTIONE

Il G.i.p. del Tribunale di Napoli Nord negava la convalida dell’arresto dell’imputato, giacché riteneva di qualificare il fatto storico non come rapina ma come esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 c.p, reato per il quale non è possibile adottare la misura precautelare e, pertanto, effettuare l’arresto.

Nella fattispecie, il Giudice di prime cure sosteneva che l’imputato, incontrando sua moglie, con la quale era in fase di separazione, in visita presso la casa coniugale per ritirare i propri effetti personali, le avesse sottratto il telefono spingendola, non al fine di procurarsi un ingiusto profitto, ma per “impedire un atto a suo dire illecito”. Nella fattispecie, la persona offesa stava riprendendo, mediante il proprio telefono cellulare, i beni di sua proprietà che erano stati danneggiati.


LA SOLUZIONE

La Suprema Corte, investita del merito di sciogliere il punto della questione, ha accolto il ricorso per vizio di motivazione, non avendo il giudice di prime cure precisato quale fosse la forma di tutela esercitata arbitrariamente dall’imputato.

Aderendo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte sostiene che l’imputato avesse agito illecitamente, poiché la condotta della vittima non appariva lesiva di alcun bene giuridico, né tale da arrecare danno o solo pericolo a terzi soggetti.

Di fatto, pur essendo l’autore ragionevolmente certo della legittimità del preteso diritto vantato, la condotta arbitrariamente posta in essere deve corrispondere esattamente alla tutela oggettiva e concreta predisposta dall’ordinamento giuridico e non deve mirare, contrariamente, “ad ottenere un qualsiasi quid pluris”, giacché “ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato”.


Segnalazione a cura di Serena Suma



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