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Diritto Penale

EFFICACIA DIRETTIVA UE - DIRITTO ALLA RISERVATEZZA - Cass., Sez. II, 7 settembre 2021, n. 33116

LA MASSIMA

"L'art. 15 direttiva 2002/58/CE, come interpretato dalla Corte di Giustizia nella sentenza H.K. del 2 marzo 2021 (causa C-746/2018), non è direttamente efficace perchè non individua in modo specifico i casi nei quali i dati del traffico telematico e telefonico possono essere acquisiti. Nelle more dell'attuazione della direttiva ad opera del legislatore nazionale si deve applicare l'art. 132 d.lgs. 132/2003"


IL CASO

Nei confronti dell'indagato viene disposta la misura cautelare della custodia in carcere; il Tribunale del Riesame respinge le censure mosse all'ordinanza. La difesa presenta allora ricorso in Cassazione sostenendo l'assenza di gravi indizi di colpevolezza: i tabulati del traffico telefonico, elementi di prova decisivi, non sarebbero utilizzabili in quanto acquisiti dal pubblico ministero in violazione del diritto UE come interpretato dalla CGUE nella sentenza H.K. del 2 marzo 2021.


LA QUESTIONE

La questione centrale affrontata dalla sentenza in commento consiste nello stabilire se l'art. 15 co. 1 della direttiva 2002/58/CE possa essere direttamente applicato nel nostro ordinamento. Nella sentenza H.K. la Corte di Giustizia ha sancito che la citata disposizione, interpretata sistematicamente con gli artt. 7, 8, 11, 52 co. 1 CDFUE, osta a una normativa nazionale che consenta all'autorità pubblica di accedere ai dati del traffico telefonico a prescindere dalla gravità del reato oggetto del procedimento. Inoltre, le medesime disposizioni ostano a una normativa nazionale che consenta al pubblico ministero, responsabile delle indagini ed eventualmente dell'esercizio dell'azione penale, di acquisire i dati del traffico telefonico senza l'autorizzazione di un giudice.

La sentenza H.K. è stata resa a seguito di un rinvio pregiudiziale di un giudice estone; tuttavia, i principi di diritto da essa affermati assumono una grande importanza anche per il nostro ordinamento. Infatti, l'art. 132 co. 3 d.lgs. 196/2003 (c. privacy) riconosce al pubblico ministero la facoltà di acquisire con decreto motivato i dati di traffico per finalità di accertamento e di repressione dei reati. L'art. 132 co. 3 c. privacy consente dunque al pubblico ministero un'acquisizione generalizzata dei dati di traffico, e in ciò si pone, come già il diritto estone, in contrasto con il diritto UE.

A fronte del conflitto tra la legge nazionale e il diritto UE, si deve stabilire se il principio espresso nella sentenza H.K. sia suscettibile di essere direttamente applicato nel nostro ordinamento con contestuale non applicazione dell'art. 132 co. 3 c. privacy. Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Giustizia è ferma nel ritenere che le norme di una direttiva abbiano efficacia diretta ancorché non recepite dagli ordinamenti nazionali purché siano sufficientemente precise, incondizionate ed attengano ai rapporti tra lo Stato e il cittadino (c.d. rapporti verticali).

Si osservi che in questo caso il diritto dell'UE può essere direttamente efficace, senza che a ciò sia d'ostacolo il principio della riserva di legge. La materia in esame è infatti estranea al diritto penale sostanziale e consiste, piuttosto, nella restrizione dei diritti fondamentali di cui agli artt. 7, 8 e 11 CDFUE per finalità investigative, non punitive. Il caso in analisi è allora ben diverso dalla vicenda Taricco, che invece atteneva al diritto penale sostanziale e nella quale, quindi, il principio della riserva di legge ostava alla diretta efficacia del diritto UE. Non essendovi alcun principio fondamentale dell'ordinamento che osti nel caso di specie all'efficacia diretta dell'art. 15 direttiva 2002/58/CE, si deve comprendere se quest'ultimo sia direttamente efficace nel nostro ordinamento ancorché non esattamente recepito dal legislatore nazionale.


LA SOLUZIONE

La giurisprudenza non ha al momento fornito una risposta univoca, essendo la questione recente e il dibattito aperto. Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione afferma che l'art. 15 direttiva 2002/58/CE non ha efficacia diretta, poiché non è sufficientemente preciso e incondizionato. I principi espressi dalla Corte di Giustizia nella sentenza H.K. richiedono infatti un intervento del legislatore volto ad individuare il giudice competente ad autorizzare l'acquisizione dei dati telefonici e, soprattutto, a determinare i gravi reati il cui perseguimento giustifica la restrizione del diritto alla riservatezza. La necessità di tali puntualizzazioni rende evidente come la disciplina europea non sia sufficientemente precisa e incondizionata, e da ciò consegue che l'art. 15 direttiva 2002/58/CE non è direttamente efficace.

La Corte di Cassazione aggiunge, inoltre, che nelle more dell'intervento del legislatore nazionale continua ad applicarsi l'art. 132 co. 3 c. privacy. Il fatto che la direttiva non sia direttamente efficace fa permanere la vigenza della disciplina interna e, pertanto, i pubblici ministeri possono disporre l'acquisizione dei dati telefonici senza che gli elementi di prova acquisiti siano inutilizzabili.

La soluzione offerta dalla Corte di Cassazione consente alcune brevi riflessioni. Innanzitutto, da un lato è vero che il principio espresso dalla sentenza H.K. non è sufficientemente preciso e incondizionato nel definire i presupposti in presenza dei quali è possibile acquisire i dati del traffico telefonico. Dall'altro lato, però, il medesimo principio è sufficientemente preciso e incondizionato nel vietare le acquisizioni generalizzate dei dati del traffico telefonico ad opera del pubblico ministero, organo di parte nel processo penale in quanto responsabile dell'esercizio dell'azione. In altri termini, la sentenza H.K. non chiarisce in positivo chi possa autorizzare il pubblico ministero ad acquisire i dati di traffico e per il perseguimento di quali reati. La stessa sentenza chiarisce però in negativo che il diritto fondamentale alla riservatezza non può essere ristretto su semplice ordine del pubblico ministero e senza tenere in considerazione la gravità del reato per cui si procede. Tanto è sufficiente ad affermare che quanto sancito dall'art. 132 co. 3 c. privacy viola il diritto dell'UE e che quest'ultima disposizione non può essere applicata.

Una seconda riflessione concerne l'affermazione della Corte di Cassazione secondo cui nelle more dell'intervento del legislatore continua ad applicarsi l'art. 132 co. 3 c. privacy. La conclusione lascia perplessi anche se si nega l'efficacia diretta della direttiva 2002/58/CE. Infatti, nel caso di contrasto tra una legge nazionale e una norma europea non direttamente efficace il giudice dovrebbe innanzitutto tentare un'interpretazione conforme della norma interna; laddove questa non sia possibile, allora il giudice dovrebbe rimettere la questione di legittimità costituzionale della legge interna per violazione dell'art. 117 Cost., ponendo come parametro interposto proprio la norma europea priva di efficacia diretta.

Nel caso in commento, quindi, riconosciuta la mancanza di efficacia diretta dell'art. 15 direttiva 2002/58/CE, la Corte di Cassazione avrebbe dovuto sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 132 co. 3 c. privacy per violazione dell'art. 117 Cost. in relazione all'art. 15 direttiva 2002/58/CE come interpretato nella sentenza H.K. della Corte di Giustizia. In particolare, due sarebbero i profili di illegittimità costituzionale dell'art. 132 co. 3 c. privacy: in primo luogo, il fatto che i tabulati possano essere acquisiti dal pubblico ministero senza l'autorizzazione del giudice; in secondo luogo, la possibilità di acquisire i tabulati al fine di indagare su qualsiasi reato, quale che ne sia la gravità. La pronuncia della Corte Costituzionale consentirebbe di risolvere il contrasto tra l'ordinamento nazionale e l'ordinamento europeo.


Segnalazione a cura di Paolo Danelli







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