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Diritto Penale

DIRITTO PENITENZIARIO - ART. 58 QUATER ORDINAMENTO PENITENZIARIO - Corte Cost., sent. n. 229 /2019

Aggiornamento: 23 dic 2019

LA MASSIMA “La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale: 1) dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato; 2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit., nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 289-bis cod. pen. che abbiano cagionato la morte del sequestrato.”


IL CASO Sull’istanza di richiesta di concessione del primo permesso premio al fine di coltivare i propri affetti familiari e, in particolare, con il figlio minorenne, da parte della detenuta A.C., condannata in via definitiva alla pena di ventiquattro anni di reclusione, della quale aveva già espiato tredici anni, un mese e dodici giorni di reclusione per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte della persona sequestrata come conseguenza non voluta, ai sensi dell’art. 630, secondo comma, cod. pen., il Magistrato di sorveglianza di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 630, secondo comma, del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati dall’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. se non abbiano effettivamente espiato almeno due terzi della pena irrogata. Con ulteriore e coeva ordinanza, il Magistrato di sorveglianza di Padova ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit., in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non siano ammessi ad alcuno dei benefici penitenziari indicati nel primo comma dell’art. 4-bis ordin. penit. se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata. Anche tale seconda ordinanza di rimessione alla Corte trae abbrivio dall’istanza del detenuto G. C., di richiesta di un permesso premio presso l’abitazione della madre per coltivare gli affetti familiari, e in particolare con il figlio, portatore di grave patologia invalidante. La Corte Costituzionale, riuniti i giudizi, ha ritenuto le questioni fondate e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater comma 4 O.P. nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato nonché, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 289-bis cod. pen. che abbiano cagionato la morte del sequestrato.


LA QUESTIONE La sentenza in esame si pone in continuità con la celebre pronuncia n. 149/ 2018 corte cost. sull’ergastolo ostativo e sui connessi automatismi sanzionatori, ossia quei vincoli apposti dal legislatore alla discrezionalità del giudice nella determinazione della pena e nella possibilità di concedere benefici, dovuti a presunzioni automatiche di pericolosità sociale non dimostrate in concreto, ponendosi pertanto in contrasto con il diritto penale del “fatto”, non essendo riconosciuto nel vigente ordinamento il “diritto penale d’autore” secondo cui il soggetto verrebbe punito per ciò che è e non per ciò che concretamente fa. In prima battuta la Corte si sofferma sul carattere automatico della preclusione temporale all’accesso ai benefici penitenziari, stabilita per i condannati all’ergastolo dall’art. 58 quater co. 4 ord. penit., così da impedire qualsiasi valutazione in concreto di un eventuale percorso rieducativo intrapreso dal condannato. Alla base di tale previsione la Corte individua una finalità di prevenzione generale, “l’esigenza” cioè “di lanciare un robusto segnale di deterrenza nei confronti della generalità dei consociati”: un’esigenza che non può però, “nella fase di esecuzione della pena, operare in chiave distonica rispetto all’imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena medesima, da intendersi come fondamentale orientamento di essa all’obiettivo ultimo del reinserimento del condannato nella società”. L’impossibilità per il giudice di accertare e valorizzare una positiva partecipazione, da parte del condannato, all’offerta rieducativa rappresenta un profilo di illegittimità della disciplina sottoposta all’esame della Corte, che riafferma “il principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa sull’altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena”. La sentenza capostipite n. 149/2018 e la successiva pronuncia in esame n. 229/2019, si collocano agli antipodi di quel filone giurisprudenziale e dottrinale che, in nome di una teoria polifunzionale eclettica della pena, riteneva che il fondamento giustificativo della pena stessa potesse essere offerto, indifferentemente, da questa o quella funzione della pena, senza riconoscere alcuna preminenza all’unica finalità della pena enunciata nella Costituzione ossia quella “rieducativa”. Del resto anche la Corte Edu ha evidenziato il nesso inscindibile che intercorre tra dignità della persona e risocializzazione del condannato: un nesso per effetto del quale la Corte di Strasburgo ha dato, e continua a dare, significativi contributi all’evoluzione della legislazione penale degli Stati membri del Consiglio d’Europa anche in tema di pena detentiva a vita, dalla quale la Corte pretende che sia “riducibile”, ossia sottoposta a un riesame che permetta alle autorità nazionali di verificare se, durante l’esecuzione della pena, il detenuto abbia fatto dei progressi sulla via del riscatto tali che nessun motivo legittimo relativo alla pena permetta più di giustificare il suo mantenimento in detenzione. Pertanto il percorso evolutivo è iniziato con la sentenza n. 149/2018 e portato a compimento con la pronuncia in esame. In entrambe le sentenze si vuole dare diretta attuazione al canone costituzionale della rieducazione del condannato attraverso la progressività trattamentale e flessibilità della pena. Infatti per la Corte costituzionale, dall’art. 27 co. 3 Cost. discende il vincolo per il legislatore ordinario a prevedere istituti che incentivino il condannato a pena detentiva (temporanea o perpetua) a intraprendere un percorso di rieducazione e nel contempo consentano al giudice di verificare i progressi compiuti dal condannato in tale percorso. Ciò premesso quindi tale sentenza si è resa necessaria per portare a unità il quadro normativo in esame come risultante dalla sentenza n. 149 del 2018 onde evitare un contrasto con l’art. 3 Cost., risultando irragionevole e paradossale, che per i condannati all’ergastolo sia oggi vigente (dopo la sentenza 149/2018 corte cost.) una disciplina più favorevole di quella applicabile ai condannati a una mera pena detentiva temporanea. Pertanto, la corte costituzionale accoglie la questione sollevata e dal nuovo dictum deriva un quadro omogeneo della disciplina. Infatti anche per i condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione qualificato dalla causazione della morte della vittima vale anzitutto il rilievo, già svolto dalla sentenza n. 149 del 2018 in riferimento ai condannati all’ergastolo per il medesimo reato, che la rigida preclusione temporale posta dalla disposizione censurata all’accesso ai benefici sovverte irragionevolmente la logica gradualistica sottesa al principio della «progressività trattamentale e flessibilità della pena», già enucleato come corollario del mandato costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, fissando l’unica e indifferenziata soglia dell’espiazione effettiva dei due terzi della pena irrogata quale condizione per l’accesso a tutti i benefici penitenziari. In tal modo, la disposizione opera in senso distonico rispetto all’obiettivo, costituzionalmente imposto, di consentire alla magistratura di sorveglianza di verificare gradualmente e prudentemente, anzitutto attraverso la concessione di permessi premio e l’autorizzazione al lavoro all’esterno, l’effettivo percorso rieducativo compiuto dal soggetto, prima di ammetterlo in una fase successiva dell’esecuzione alla semilibertà e poi alla liberazione condizionale. Il che determina la violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. Come giustamente rilevato da entrambi i giudici rimettenti la rimozione della preclusione contenuta nella disposizione censurata con riferimento ai condannati all’ergastolo da parte della sentenza n.149 del 2018 ha prodotto l’irragionevole conseguenza che, oggi, essi godono di un trattamento penitenziario più favorevole rispetto a quello riservato ai condannati a pena detentiva temporanea per i medesimi titoli di reato. I condannati alla pena dell’ergastolo che abbiano cagionato la morte del sequestrato, infatti, possono, in forza della citata sentenza n. 149 del 2018, accedere al beneficio del permesso premio, in caso di collaborazione o condizioni equiparate, dopo aver espiato dieci anni di pena, riducibili sino a otto anni grazie alla liberazione anticipata. I condannati a pena detentiva temporanea per il medesimo titolo delittuoso possono invece accedere al predetto beneficio, a parità di condizioni quanto alla collaborazione con la giustizia, solo dopo aver scontato i due terzi della pena inflitta, senza poter beneficiare di alcuna riduzione di tale termine a titolo di liberazione anticipata. Una tale conseguenza, evidentemente incompatibile con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., era stata peraltro puntualmente segnalata all’attenzione del legislatore dalla Corte costituzionale stessa senza che, tuttavia, a tale monito abbia fatto seguito la necessaria modifica della normativa vigente.


LA SOLUZIONE

Da tutto ciò è conseguita la necessità di rimuovere la preclusione stabilita dall’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. anche con riferimento ai condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbiano cagionato (dolosamente o colposamente) la morte del sequestrato, con conseguente automatica riespansione, nei loro confronti, della disciplina applicabile alla generalità dei condannati per i delitti previsti dall’art. 4-bis, comma 1, ord. Penit.



Segnalazione a cura di Isotta Fermani.

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