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Diritto Penale

DEPENALIZZAZIONE - SUCCESSIONE - Corte Cost., 20 maggio 2020, n. 96


MASSIMA


“1) Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 1 e 3, e 9, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Siracusa con ordinanza”;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 1 e 3, e 9, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016, sollevate, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione - quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - dal Tribunale ordinario di Siracusa con ordinanza.”


IL CASO


La questione sottoposta all’attenzione della Consulta impone la soluzione di una serie di quesiti di costituzionalità che involgono la delicata tematica della c.d. successione impropria tra norme penali e norme sanzionatorie amministrative, a fronte di interventi legislativi di depenalizzazione. La vicenda trae origine dalle perplessità, in punto di costituzionalità, sollevate dal Tribunale ordinario di Siracusa in ordine ad alcune specifiche disposizioni del d. lgs. n. 8 del 2016, rilevanti per il giudizio sottoposto alla sua cognizione.


Più specificamente, il Tribunale ordinario di Siracusa, si è occupato di un caso giudiziario attinente la violazione, da parte della persona imputata, degli obblighi imposti dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale (incorrendo nella contravvenzione di cui all’art. 75 c. 1, d. lgs. n. 159 del 2011): questi, infatti, si era posto alla guida di un motociclo senza aver conseguito la patente, (in violazione dell’art. 116 c. 15 cod. strada) contravvenendo così all’obbligo di vivere onestamente rispettando le leggi. Fatti commessi il 22 gennaio 2013.

Nelle mole del procedimento (più volte rinviato) è entrato in vigore il d.lgs. n. 8 del 2016, recante disposizioni in materia di depenalizzazione in attuazione dell’art. 2, comma 2, della legge delega 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), il cui art. 1, comma 1, nell’imporre la trasformazione in illeciti amministrativi di tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, vi ha ricompreso anche il reato di guida senza patente, per il quale il nuovo comma 5, lettera b), del medesimo art. 1, commina una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000. Proprio in relazione al d. lgs. n. 8 del 2016, il giudice a quo ha sollevato una questione di legittimità costituzionale delle disposizioni transitorie di cui agli artt. 8 c. 1 (ai sensi del quale “le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili”) e 3 (secondo cui “ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto non può essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 del codice penale. A tali fatti non si applicano le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie”), e 9 c. 1 (in forza del quale “nei casi previsti dall’articolo 8, comma 1, l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data”), in quanto contrastanti sia con l’art. 76 Cost. per eccesso di delega, sia con l’art. 25 c. 2 Cost. e/o l’art. 117 c.1 Cost., in relazione all’art. 7 Cedu, per violazione del principio di irretroattività sfavorevole.


LA QUESTIONE

Il giudice rimettente ha assunto - nel motivare l’ordinanza di rimessione - che, sotto il profilo della violazione dell’art. 76 Cost., il legislatore delegato avesse ignorato l’assenza di una delega espressa che lo abilitasse ad introdurre una normativa transitoria, sicché il silenzio del legislatore delegante avrebbe dovuto interpretarsi nel senso di ritenere operante il principio dell’irretroattività di cui all’art. 1 l. n. 680 del 1981, in forza del quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione (“principio alla luce del quale - come chiarito dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione - nei casi di trasformazione di un illecito penale in illecito amministrativo, non è possibile, in assenza di un’apposita disciplina transitoria, applicare la nuova sanzione amministrativa ai fatti anteriormente commessi, con la conseguenza che il giudice penale non è tenuto a trasmettere gli atti all’autorità amministrativa - Corte di cassazione, Sez. Un., sentenza 29 marzo -28 giugno 2012, n. 25457).

Sotto il profilo della violazione dell’art. 117 c.1 Cost. in relazione all’art. 7 Cedu, la nuova sanzione amministrativa, così come introdotta dall’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016 per la guida senza patente, si connoterebbe (in applicazione dei c.d. criteri Engel elaborati in seno alla Corte di Strasburgo) per la sua natura sostanzialmente penale (“essa è rivolta, infatti, alla generalità dei consociati; ha una finalità general-preventiva, e non certo riparatoria; è posta a tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, quali la pubblica sicurezza e l’incolumità pubblica (mirando a garantire che si pongano alla guida dei veicoli i soli soggetti valutati come idonei sul piano psico-fisico e tecnico); risulta, infine, di significativa gravità”), sicché non potrebbe non sottostare alle garanzie sancite in materia di successione di leggi penali nel tempo. (Sul punto il Tribunale ordinario di Siracusa ha precisato che “la nuova sanzione introdotta dall’art. 1, commi 1 e 5, del d.lgs. n. 8 del 2016 - solo formalmente amministrativa, ma nella sostanza penale - resterebbe, dunque, soggetta ai principi di legalità e irretroattività valevoli per le sanzioni penali, ai sensi degli artt. 25, secondo comma, Cost. e 7 CEDU, i quali comportano che nel momento in cui è commesso il fatto debba esistere una disposizione che renda l’atto punibile e che la pena inflitta non debba superare i limiti fissati da tale disposizione”). Il Tribunale ha evidenziato altresì - nel lamentare l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 c. 3 d. lgs. n. 8 del 2016 rispetto al combinato disposto di cui agli artt. 25 c. 2 e 117 c. 1 Cost. in relazione all’art. 7 Cedu - che l’applicazione della pena dell’ammenda prevista dalla norma incriminatrice vigente al momento della commissione del fatto (di guida senza patente), avrebbe potuto essere evitata tramite una serie di istituti, atti a determinare l’estinzione del reato o della pena, ovvero la non punibilità dell’agente (quali la sospensione del processo con messa alla prova, la sospensione condizionale della pena, l’affidamento in prova al servizio sociale o l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto): istituti tutti viceversa inoperanti rispetto alla nuova sanzione amministrativa pecuniaria, la quale si rivelerebbe, di conseguenza, concretamente più afflittiva.

Nel tentativo di comprendere, in via dirimente, la sorte dei fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore dell’intervento di depenalizzazione sprovvisto di un’apposita disciplina transitoria (atteso il divieto di ultrattività delle vecchie sanzioni penali, ai sensi dell’art. 2 c. 2 c.p.), la Consulta ha operato una ricognizione della giurisprudenza vigente negli ultimi anni: “in contrasto con l’indirizzo già adottato sullo specifico tema dalle Sezioni civili della Corte di Cassazione - ex plurimis, Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenze 12 ottobre 2007, n. 21483; 18 gennaio 2007, n. 1078; 16 maggio 2006, n. 11406, le Sezioni penali della medesima Corte - escludendo che possa ravvisarsi una continuità tra il vecchio illecito penale e il nuovo illecito amministrativo - si sono orientate, in modo largamente prevalente, a favore della completa impunità dei fatti pregressi. Ciò, sia alla luce del principio di legalità enunciato dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, che impedisce di applicare le sanzioni amministrative a fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge che le ha introdotte; sia in ragione della ritenuta impossibilità di estendere al fenomeno considerato il principio di retroattività della legge più favorevole al reo, di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen., trattandosi di principio circoscritto alla successione di leggi entrambe penali. Tale orientamento, già recepito dalle Sezioni Unite penali con una pronuncia del 1994 (16 marzo-27 giugno 1994, n. 7394), può considerarsi allo stato consolidato, dopo che esso è stato più di recente ribadito dal medesimo consesso (Corte di cassazione, Sez. Un. penali, sentenza 29 marzo -28 giugno 2012, n. 25457). L’esito della totale impunità dei fatti pregressi - postulato dalla giurisprudenza di legittimità penale sulla base delle coordinate generali del sistema vigente - può porre, però, sul piano sostanziale, problemi di coerenza con la ratio dell’intervento di depenalizzazione. Diversamente, infatti, che nel caso della mera abolitio criminis, nel caso della depenalizzazione il legislatore continua indubbiamente ad annettere un disvalore alla condotta, tale da giustificare tuttora la sua punizione, sia pure con una sanzione di grado inferiore (amministrativa, anziché penale). Ciò non vale a spiegare perché chi ha commesso il fatto quando era represso in modo (tendenzialmente) più severo debba rimanere totalmente impunito, laddove invece chi lo commette quando è punito in modo (tendenzialmente) più mite soggiace, comunque sia, a una sanzione. Proprio per scongiurare un simile risultato è divenuta, quindi, prassi ricorrente quella di corredare gli interventi di depenalizzazione con un’apposita disciplina transitoria, volta a rendere applicabili le nuove sanzioni amministrative, da essi introdotte per gli illeciti depenalizzati, anche ai fatti anteriori.”

Lungo le direttrici logico giuridiche di tale ricostruzione, la Consulta ha sviluppato un sofisticato apparato argomentativo teso a scrutinare la compatibilità costituzionale delle disposizioni transitorie del d. lgs. n. 8 del 2016.

LA SOLUZIONE

Essa, infatti, è pervenuta alla conclusione di ritenere:

1) infondata la prima censura fondata sulla violazione dell’art. 76 Cost. (per difetto di una delega espressa che abilitasse il legislatore delegato a introdurre la disciplina transitoria nel d. lg. n. 8 del 2016). Sul punto la Consulta ha spiegato che “secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la previsione di cui all’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo. Il sindacato costituzionale sulla delega legislativa deve, così, svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l’oggetto, i princìpi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e, dall’altro, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i princìpi e i criteri direttivi della delega. Il che, se porta a ritenere del tutto fisiologica quell’attività normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante, circoscrive, d’altra parte, il vizio in discorso ai casi di dilatazione dell’oggetto indicato dalla legge di delega, fino all’estremo di ricomprendere in esso materie che ne erano escluse, (sentenza n. 212 del 2018; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 194 del 2015, n. 229, n. 182 e n. 50 del 2014, n. 98 del 2008). (…) Le disposizioni transitorie licenziate dal Governo, sulla scia dei precedenti legislativi, non contrastano con gli indirizzi generali della legge delega: esse costituiscono, all’opposto, un coerente sviluppo e completamento delle scelte del delegante. Per quanto dianzi osservato, evitare che si produca una completa impunità dei fatti pregressi risponde alla logica degli interventi di depenalizzazione, trattandosi di esito contrario alla ratio legis, che è quella di modificare in senso (tendenzialmente) mitigativo - e non già di eliminare - la sanzione per un fatto che resta, comunque sia, illecito”;

2) inammissibile la seconda censura fondata sulla violazione degli artt. 25 c. 2 Cost. e dell’art. 7 Cedu, quale norma interposta rispetto all’art. 117, c. 1 Cost., evidenziando altresì il difetto di motivazione riguardo al concreto operare, nel caso sottoposto alla cognizione del Tribunale, di almeno uno degli istituti richiamati per giustificare la neutralizzazione del trattamento sanzionatorio penale della guida senza patente, al fine di superare la presunzione di maggior favore del trattamento sanzionatorio amministrativo (“malgrado il limite quantitativo posto dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 8 del 2016, il Tribunale siciliano attribuisce decisivo rilievo alla circostanza che la vecchia pena dell’ammenda, diversamente dalla nuova sanzione amministrativa pecuniaria, poteva essere “neutralizzata” tramite una serie di istituti, atti a produrre l’estinzione del reato o della pena o la non punibilità dell’agente: quali, in specie, la sospensione del procedimento con messa alla prova, la sospensione condizionale, l’affidamento in prova al servizio sociale e l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Il giudice a quo non si premura, però, di verificare se gli istituti richiamati fossero concretamente applicabili nel caso di specie.(…) La presunzione di maggior favore del trattamento sanzionatorio amministrativo, sottesa alla disciplina transitoria in questione, deve intendersi, tuttavia, come meramente relativa, rimanendo aperta la possibilità di dimostrare che il nuovo trattamento sanzionatorio amministrativo previsto dalla legge di depenalizzazione - considerato nel suo complesso (sentenza n. 68 del 2017) - risulta in concreto più gravoso di quello previgente: ipotesi nella quale la disposizione transitoria che ne preveda l’indefettibile applicazione ai fatti pregressi verrebbe a porsi in contrasto con gli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost. (sentenza n. 223 del 2018). In quest’ottica, spetta peraltro al giudice a quo il compito di accertare e adeguatamente motivare (sentenza n. 68 del 2017), caso per caso (sentenza n. 223 del 2018), la sussistenza della condizione dianzi indicata: rimanendo, in difetto, la questione sollevata inammissibile, sentenza n. 68 del 2017.”)


Segnalazione a cura di Mara Scatigno




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