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Diritto Penale

CYBERCRIME - DIRITTO AUTORE - Sent. Cass., sez. III, 8 gennaio 2020, n. 220


MASSIMA “[Non sussiste] il fatto dal reato di cui agli artt. 110, 171-bis, comma 2, L. n. 633 del 1941 [in assenza di] prova di una partecipazione dell'imputata, anche solo morale, quale determinatrice o istigatrice, ai reati. A fronte dell'assenza di prova di un accordo illecito (…) non risulta nemmeno provato il profilo della contestazione concernente il reimpiego illegittimo della banca dati, non avendo la Corte territoriale ritenuto provato il presupposto fattuale di tale prospettazione, ossia che l'imputata fosse a conoscenza della provenienza illecita di detta banca dati.”


IL CASO

La Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano emessa all’esito di giudizio abbreviato, con cui quest’ultimo mandava assolta l’imputata per non aver commesso il fatto del reato di cui agli artt. 110 (la trasmissione dei diritti deve essere provata per iscritto) e 171-bis co. 2 (sul profitto derivante da illeciti trasferimento o reimpiego di banca dati informatica), L.n. 633/41(sul diritto di autore). Le principali doglianze del ricorso in Cassazione si fondano sulla pretesa violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata prova del concorso dell'imputata nella duplicazione e nel reimpiego di una banca dati informatica. La vicenda processuale origina dalla partecipazione attiva dell’imputata, già dipendente della società Alfa (proprietaria della banca dati informatica) alla costituzione della società concorrente Beta, alle cui dipendenze prestavano lavoro alcuni ex dipendenti di Alfa e nella quale era stata utilizzata la banca dati di proprietà sempre di Alfa. Detta banca dati (in separato processo) risultava essere stata duplicata da Tizio, già dipendente della Alfa, reclutato dall’imputata e (a dire dei ricorrenti) su contributo persuasivo determinante di quest’ultima, trasferitosi alla Beta qualche mese prima della commissione del reato. I ricorrenti affermano, a fronte della pretesa impossibilità che la new co. Beta fosse riuscita a creare siffatta nutrita banca dati in pochi mesi dalla costituzione, che tra Tizio e l’imputata fosse intercorso, precedentemente alle dimissioni di Tizio dalla Alfa, un accordo illecito orientato alla duplicazione della banca dati affinché Beta potesse avvantaggiarsene,. I ricorrenti affermavano, inoltre, l’evidenza del concorso morale e materiale dell’imputata nel reimpiego della banca dati, desumibile da conversazioni di lavoro nel corso delle quali la stessa dichiarava di (continuare a) fare utilizzo della banca dati in oggetto.


LA QUESTIONE

La contestazione del reato, in concorso con Tizio (separatamente giudicato per trasferimento, estrazione e utilizzo della banca dati di Alfa), viene mossa contro l’imputata poiché questa avrebbe trasferito, al fine di trarne profitto, su un diverso supporto informatico la banca dati informatica (contenente indirizzi da utilizzare per il Direct e-mail marketing) di proprietà della società Alfa in violazione degli artt. 64-quinques e 64-sexies, nonché poiché ne avrebbe eseguito l’estrazione e il reimpiego in violazione degli artt. 102-bis e 102-ter (rispettivamente su diritti del costitutore della banca dati e diritti e obblighi dell’utente) della medesima legge. La Suprema Corte, senza indugi argomentativi, afferma che il trasferimento, per profitto, del contenuto di una banca dati su un supporto informatico costituisce reato ex art. 171 bis, co. 2, L. n. 633/41 a titolo di concorso solo laddove sia possibile provare, oltre ogni ragionevole dubbio, la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ovverosia la partecipazione “anche solo morale” nella determinazione o istigazione al reato. Parimenti, al fine della configurabilità del fatto di reato consistente nell’estrazione e reimpiego della banca dati, è necessaria la prova della partecipe consapevolezza della provenienza illecita degli stessi, in capo a colui che pone in essere il reimpiego ossia l’utilizzo dei dati trafugati. Invero, la circostanza che l’imputata avesse in effetti partecipato alla costituzione della società e si fosse adoperata per spingere Tizio a cogliere una migliore occasione lavorativa presso la Beta, non è condotta idonea e sufficiente a provare la partecipazione, neanche meramente morale, in veste di determinatrice ovvero istigatrice, ai reati di cui si discorre, considerando che la sottrazione della banca dati s’era verificata tre mesi dopo la costituzione di una società che evidentemente deve presumersi già disponesse dei mezzi necessari a operare sul mercato e non necessitasse di una preordinata sottrazione di risorse informatiche altrui. Inoltre il fatto non può ritenersi commesso in assenza di un adeguato impianto probatorio idoneo a sostenere la sussistenza dell’intendimento dell’imputata di trafugare o di riutilizzare una banca dati ch’ella sapeva appartenere ad altri e che sapeva priva delle autorizzazioni necessarie a usarne. Invero, il compendio probatorio all’esame dei Giudici ha portato a ritenere sussistente il verosimile convincimento, in capo all’imputata, dell’apporto lecito di informazioni (i.e.: banca dati) da parte di Tizio all’interno del nuovo contesto aziendale.


LA SOLUZIONE

Pertanto la Suprema Corte, ritenute preliminarmente prive di fondamento giuridico le doglianze dedotte dal ricorrente a fronte di un impianto probatorio vagliato in maniera ineccepibile dai giudici di merito, respinge il ricorso e conferma la “doppia conforme” condividendo l’assoluzione per mancanza dell’elemento psicologico del rato addebitato all’imputata. Invero, afferma la Corte, ai fini della configurabilità del concorso nel reato di trasferimento su altro supporto informatico di banca dati è necessario che l’agente abbia tenuto una condotta consapevole e abbia concorso alla determinazione del disegno delittuoso ovvero l’abbia istigato. Del pari, mancando la consapevolezza della provenienza illecita dei dati utilizzati non può ritenersi concretizzato il presupposto fattuale del reato di reimpiego del contenuto della banca dati illecitamente acquisita da un soggetto terzo e offerta all’utilizzo dell’attore ignaro.




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