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Diritto Penale

PROPORZIONALITÀ DELLA PENA - 625 cp. - Corte Cost. 6 luglio 2020, n. 136

IL DISPOSITIVO

“La Corte Costituzionale dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 625, primo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione”

IL CASO

Il Tribunale solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell’art. 625, primo comma, del codice penale, come modificato dall’art. 1, comma 7, della legge 23 giugno 2017, n. 103, nella parte in cui stabilisce il minimo edittale della multa in euro 927, ritenendolo «irragionevolmente eccessivo e sproporzionato in riferimento all’art. 625, co. 2. c.p.» che, per il reato di furto pluriaggravato, prevede la pena edittale minima della multa di euro 206.


LA QUESTIONE

Secondo il giudice rimettente, non appare giustificato che per un reato meno grave sia previsto un trattamento sanzionatorio, seppur limitato alla sola pena pecuniaria, maggiormente afflittivo rispetto a quello previsto per un reato oggettivamente più grave.

L’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano rigettate in ragione della loro infondatezza osserva che il Tribunale sbaglia a fondare la comparazione tra il trattamento sanzionatorio minimo previsto per il furto monoaggravato e quello previsto per il furto pluriaggravato solo sulla considerazione del minimo edittale della multa, omettendo di prendere in esame l’altra componente del trattamento sanzionatorio, vale a dire quella costituita dalla pena detentiva.

L’art. 625, secondo comma, cod. pen. prevede per il furto pluriaggravato una pena detentiva minima superiore di un terzo rispetto al minimo edittale di anni due di reclusione, comminata dal primo comma dell’art. 625 cod. pen., per il furto monoaggravato; per effetto dell’applicazione degli ordinari criteri di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, previsti dall’art. 135 cod pen., la pena minima edittale per il delitto di furto monoaggravato risulta essere inferiore di ben undici mesi e 27 giorni di reclusione rispetto a quella minima prevista dall’art. 625, secondo comma, cod. pen., per il delitto di furto pluriaggravato.

Pertanto, ad avviso della difesa dello Stato, la lamentata irragionevolezza e sproporzione del trattamento sanzionatorio, non sussisterebbe.


LA SOLUZIONE

La Corte dando atto dell’evoluzione della norma censurata osserva che le fattispecie in esame, sanzionate entrambe con la pena congiunta della reclusione e della multa, prima delle modifiche di cui all’art. 1 della legge n. 103 del 2017, si connotavano per una cornice edittale pienamente simmetrica: la fattispecie più grave era sanzionata in modo più severo, sia nella reclusione che nella multa, sia nel minimo che nel massimo.

Simmetria che è venuta meno nel momento in cui il legislatore, al fine di reprimere con maggiore severità condotte criminose di particolare allarme sociale, ha agito essenzialmente sui minimi edittali delle pene, elevandoli con l’effetto di limitare l’accesso ai benefici previsti dall’ordinamento penale.

Ciò ha determinato che entrambe le fattispecie (furto monoaggravato e furto pluriaggravato) continuino a essere punite con la pena congiunta della reclusione e della multa, ma mentre la reclusione è prevista in misura più elevata, sia nel minimo che nel massimo, per il delitto pluriaggravato, ciò non è per la pena pecuniaria perché il minimo della multa è previsto, all’opposto, in misura più elevata (più del quadruplo) per la fattispecie meno grave.

Nessuna modifica, invece, ha interessato il trattamento sanzionatorio del furto pluriaggravato di cui all’art. 625, secondo comma, cod. pen., la cui cornice edittale è rimasta quella «della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 a euro 1.549».

Si ha, dunque, che il legislatore del 2017, nel considerare solo la fattispecie del furto monoaggravato, abbia creato un’asimmetria tra primo e secondo comma dell’art. 625 cod. pen. e all’interno della medesima disposizione (art. 625 cod. pen.) vi è una pena pecuniaria, nel minimo, più elevata per l’ipotesi meno grave, rispetto alla fattispecie connotata da maggiore gravità, seppur all’interno di un trattamento sanzionatorio complessivo che vede la pena della multa concorrere necessariamente con quella della reclusione.

La Corte ricorda che la determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti come reato è riservata alla discrezionalità del legislatore e che tali «scelte legislative sono […] sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, o allorché le pene comminate siano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del fatto previsto quale reato.

La previsione per la fattispecie del furto monoaggravato della multa nella misura più elevata di quella prevista per l’ipotesi pluriaggravata, stante l’ampia discrezionalità del legislatore, può, dunque, ridondare nella violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di proporzionalità della pena (art. 27 Cost.) soltanto se detta asimmetria venga esaminata nel contesto del complessivo trattamento sanzionatorio.

È vero che nel sistema sanzionatorio la pena pecuniaria, anche quando sia comminata congiuntamente alla pena detentiva, conserva una sua autonomia non solo per la specifica funzione cui mira, ma anche per la necessaria proporzionalità alla gravità del fatto, tuttavia, occorre pur sempre considerare il trattamento sanzionatorio complessivo specie quando la pena pecuniaria concorre congiuntamente con quella detentiva e non è invece a quest’ultima alternativa.

La ragionevolezza della pena deve essere giudicata secondo una valutazione complessiva della pena pecuniaria e della pena detentiva, «dando rilievo all’unitarietà del trattamento sanzionatorio complessivamente predisposto dal legislatore».

Il giudice rimettente ha argomentato le sue censure considerando soltanto la pena della multa e omettendo di tener conto anche del divario del minimo della pena detentiva prevista per le ipotesi del furto monoaggravato e di quello pluriaggravato, divario, pari a un anno di reclusione in più per il furto pluriaggravato, certamente coerente per la maggiore gravità di quest’ultimo rispetto al furto monoaggravato. In particolare ha omesso di considerare se tale divario sia idoneo, o no, a ridimensionare l’asimmetria denunciata.


Segnalazione a cura di Benedetta Mauro






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