LA MASSIMA
“Non integra gli estremi del concorso di persone nel delitto di corruzione la condotta del terzo che, dopo la conclusione di un accordo corruttivo rispetto al quale è rimasto estraneo e senza che sia intervenuto un nuovo patto con effetti novativi, si adoperi per la realizzazione, in fase esecutiva, di tale accordo, non essendo configurabile una compartecipazione postuma al delitto medesimo, già consumatosi nel momento in cui il pubblico ufficiale ha accettato l’indebita utilità promessagli od offertagli dal privato corruttore”.
IL CASO
La Corte di Appello ha confermato la responsabilità penale dell’imputata per concorso nel delitto di corruzione in atti giudiziari.
Avverso la pronuncia l’imputata ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi: con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge in ordine alla ritenuta responsabilità per il concorso in corruzione propria. In particolare, la ricorrente ha contestato che la Corte d’Appello avrebbe fatto discendere la contrarietà ai doveri d’ufficio da un’asserita rinuncia da parte del pubblico funzionario ad esercitare la discrezionalità amministrativa in modo conforme ai canoni di imparzialità e correttezza.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione di legge in ordine alla qualificazione della condotta come di natura concorsuale. Invero, il giudice di secondo grado avrebbe disatteso i principi in materia di concorso assimilando la conoscenza dell’accordo corruttivo con il contributo causalmente rilevante della ricorrente alla formazione dello stesso.
LA QUESTIONE
La sentenza in esame affronta due distinte questioni: in primo luogo il tema della ravvisabilità di un patto corruttivo e della sua qualificazione; in secondo luogo, il profilo del concorso di persone nel delitto di corruzione.
LA SOLUZIONE
Per quanto concerne la questione relativa all’ipotesi della ravvisabilità di un patto corruttivo in atti giudiziari ex art. 319 ter c.p. la Corte di Cassazione afferma che bisogna richiamare le ipotesi di cui agli artt. 318 e 319 c.p. e prescindere dalla legittimità o meno dell’atto, potendosi attribuire rilievo alla sua qualificazione in punto di apprezzamento della gravità della condotta. Per stabilire se l’atto sia conforme o meno ai doveri d’ufficio resta, invece, dirimente l’inquinamento metodologico che ha condotto alla sua adozione.
In ordine al secondo motivo di ricorso, i giudici di legittimità affermano che non integra gli estremi del concorso di persone nel delitto di corruzione la condotta del terzo che, dopo la conclusione di un accordo corruttivo rispetto al quale è rimasto estraneo, si adoperi per la realizzazione dello stesso in fase esecutiva. In particolare, i giudici di legittimità ritengono che non sia configurabile una compartecipazione postuma al delitto di corruzione in quanto lo stesso si sarebbe già consumato nel momento in cui il pubblico ufficiale ha accettato l’indebita utilità promessagli od offertagli dal privato corruttore.
Sulla base di tale principio la Corte ritiene il secondo motivo di ricorso meritevole di accoglimento e annulla la sentenza impugnata con riguardo al delitto di corruzione. Invero, la comprovata intermediazione nella fase di attuazione del patto non implica di per sé la diretta partecipazione della ricorrente alla fase della conclusione dell’accordo illecito.
Segnalazione a cura di Alessandra Fantauzzi
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