LA MASSIMA
“Le fattispecie punite dagli artt. 616 e 617-quater c.p. hanno ambiti operativi ben definiti dalla diversa configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617-quater e che invece non sono previste nell’art. 616.
Mentre nell’ambito dell’art. 617-quater c.p. il termine corrispondenza non comprende ogni forma di comunicazione, ma assume un significato più ristretto, riferibile alla comunicazione nel suo momento 'dinamico' ossia in fase di trasmissione - come si ricava anche dai termini impiegati per definire la condotte alternative a quella di intercettazione, ossia 'impedisce' e 'interrompe' -, nell’art. 616 c.p., il termine 'corrispondenza' risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo 'statico' e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale, come si ricava anche in questo caso dai termini impiegati per descrivere le altre condotte tipizzate alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere)”
IL CASO
Il giudice di prime cure aveva dichiarato la penale responsabilità di Tizio in ordine ai reati cui all’art. 616 c.p.p., commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater c.p., tutti unificati dal vincolo della continuazione. Avverso tale sentenza, l’imputato proponeva appello, ma i giudici di secondo grado confermavano la sentenza del Tribunale.
Nello specifico, al prevenuto si contestava di avere installato e configurato un programma informatico tramite il quale egli fraudolentemente aveva intercettato e preso cognizione di messaggi, fotografie e e-mail indirizzate alla moglie (capo a), nonché di avere preso cognizione di comunicazioni pervenute alla moglie tramite posta elettronica per poi utilizzarne il contenuto nella causa civile intentata innanzi al Tribunale di Rom
Avverso la decisione della Corte d’Appello, Tizio ricorreva in Cassazione.
LA QUESTIONE
L’imputato sottoponeva ai giudici di legittimità le seguenti questioni circa:
1. la violazione dell’art. 51 c.p. in relazione all’art. 616 c.p., commi 1 e 4, dell’art. 192 c.p.p. e dell’art. 9, par. 2, lett. f), regolamento U.E. n. 679 del 2016, nonché la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: il Tribunale non avrebbe applicato la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p. in relazione al delitto c.p., commi 1 e 4, per la violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, in quanto l’imputato aveva commesso il fatto allo scopo di difendersi innanzi all’autorità giudiziaria;
2. violazione dell’art. 616 c.p.p., commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater c.p. nonché carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei reati previsti dalle disposizioni appena citate: la Corte territoriale aveva ritenuto irrilevante la circostanza che l’imputato a acquistato i computer installati nell’abitazione coniugale e che sempre egli avesse creati gli account della figlia e della moglie, in quanto era comunque stato accertato che il computer sul quale era avvenuta l’intercettazione era usato dalla moglie che esclusivamente tramite esso apriva, leggeva ed inviava la sua corrispondenza elettronica. Tale assunto -secondo il ricorrente- era illogico a fronte dell’affermazione, anch’essa contenuta in motivazione, che la consulenza tecnica del Pubblico ministero non era stata in grado di stabilire a quanto tempo prima risalisse la installazione e da quanto tempo venisse attuata l’illecita captazione e che al momento della denuncia era già pendente il giudizio per la separazione personale dei coniugi e tale circostanza dimostrava il dolo.
Ed invero -secondo il ricorrente- se il giudice non era in grado di stabilire l’epoca di installazione del programma informatico, questa poteva essere avvenuta anche prima della crisi coniugale ed esclusivamente allo scopo di tutelare la figlia minorenne;
3. la violazione dell’art. 15, art. 616 c.p., commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater c.p. e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato assorbimento dei reati di cui agli artt. 616 e 617-bis c.p. nel delitto previsto dall’art. 617-quater c.p.: con l’atto di appello, il ricorrente aveva invocato tale assorbimento ma la Corte territoriale lo aveva negato non ritenendo sussistenti nel sopracitato reato elementi di specialità rispetto agli altri delitti i quali concorrono con esso e non ne sono assorbiti. Non sussisteva – secondo i giudici – alcun rapporto di continenza tra i tre reati in quanto la realizzazione dell’uno sarebbe stata impossibile senza la realizzazione dell’altro;
4. ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione degli artt. 157, 159 e 160 c.p. e dell’art. 129 c.p.p.: i reati erano ormai estinti per prescrizione al momento della pronuncia della sentenza di appello;
5. violazione dell’art. 539 c.p.p. e della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla condanna generica al risarcimento del danno ed al riconoscimento della provvisionale in favore della parte civile.
LA SOLUZIONE:
Preliminarmente, i giudici di legittimità si sono interrogati sulla sussistenza, nel caso di specie, del delitto ascritto all’imputato ex art. 616, commi 1 e 4, c.p.. Richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte asserisce che: “la questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra tra quelle su cui la Corte di cassazione può decidere ex art. 609 c.p.p. e, pertanto, può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità, purché l’impugnazione non sia inammissibile e per la sua soluzione non siano necessari accertamenti di fatto In particolare, è necessario che la diversa qualificazione giuridica del fatto sia possibile sulla base della stessa motivazione della sentenza impugnata”. (Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, Tucci, Rv. 272651; Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013 - dep. 2014, Rossi, Rv. 259730; Sez. 2, n. 45583 del 15/11/2005, De Juli, Rv. 232773). Pertanto – precisano i giudici di legittimità - ai fini della qualificazione giuridica del fatto e dell’art. 129 c.p.p. questa Corte di cassazione può fondarsi anche sulla motivazione della sentenza di primo grado e sull’accertamento del fatto in essa contenuto. Orbene risulta evidente come l’odierno ricorrente abbia utilizzato un programma informatico che gli consentiva di intercettare quanto veniva inviato alla casella di posta elettronica della moglie.
A tal proposito, la Corte precisa che: “le fattispecie punite dagli artt. 616 e 617-quater c.p. hanno ambiti operativi ben definiti dalla diversa configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617-quater e che invece non sono previste nell’art. 616.
Mentre nell’ambito dell’art. 617-quater c.p. il termine corrispondenza non comprende ogni forma di comunicazione, ma assume un significato più ristretto, riferibile alla comunicazione nel suo momento 'dinamico' ossia in fase di trasmissione - come si ricava anche dai termini impiegati per definire la condotte alternative a quella di intercettazione, ossia 'impedisce' e 'interrompe' -, nell’art. 616 c.p., il termine 'corrispondenza' risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo 'statico' e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale, come si ricava anche in questo caso dai termini impiegati per descrivere le altre condotte tipizzate alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere).
Ebbene, nel caso di specie, sulla base della ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito, il prevenuto aveva intercettato le e-mail che venivano inviate alla moglie e che a questa venivano inviate nel momento in cui la loro trasmissione era in corso, cosicché, in applicazione del principio sopra esposto, non risulta applicabile l’art. 616, comma 1, c.p., né il comma 4 della medesima disposizione, che si riferisce alla divulgazione della corrispondenza di cui al comma 1, ossia di quella 'statica'.
Né può ritenersi sussistente il reato di cui all’art. 617-quater c.p., comma 2 che punisce la divulgazione del contenuto della comunicazione intercettata, poiché a tal fine è necessario che la divulgazione del contenuto della comunicazione intercettata avvenga mediante 'qualsiasi mezzo d’informazione al pubblico', mentre nel caso di specie la divulgazione è avvenuta mediante la produzione delle e-mail in un giudizio di separazione personale dei coniugi pendente tra l’imputato e la persona offesa, modalità che è inidonea a rivelare il contenuto della comunicazione alla generalità dei terzi.
La corte, quindi, conclude per la penale irrilevanza, nel caso di specie, della successiva divulgazione delle comunicazioni già oggetto di intercettazione, annullando la sentenza impugnata senza rinvio relativamente al reato di cui al capo b) perché il fatto non sussiste. Il primo motivo di ricorso, pertanto, resta assorbito.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la Corte, evidenziando nella motivazione le contraddizioni in cui i giudici di secondo grado erano incorsi, lo ritiene fondato sulla base delle seguenti considerazioni: gli artt. 617-bis e 617-quater c.p. richiedono entrambi che le condotte in essi descritte siano attuate 'fraudolentemente', ossia con modalità tali da rendere non percettibile o riconoscibili le condotte stesse, che avvengono all’insaputa del soggetto che è parte della comunicazione; se l’agente ha reso manifesta la volontà di installare lo strumento che consente di intercettare la comunicazione e quindi di procedere all’intercettazione delle comunicazioni, prima che l’azione sia posta in essere, il reato è escluso.
Ed invero, l’odierno ricorrente ha sostenuto con il suo appello che l’installazione del programma che consentiva l’intercettazione delle attività di navigazione in internet era conosciuta alla moglie, in quanto attuata di comune accordo molti anni prima allo scopo di controllare la navigazione su internet della figlia minore.
Infine, la Corte conclude rilevando che, stante la fondatezza del ricorso in ordine ai delitti contestati al capo a), ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 1, i reati sono ormai estinti per prescrizione.
Segnalazione a cura di Gaya Carbone
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