LA MASSIMA
Ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, è necessario accertare il requisito della "attualità" della pericolosità del proposto” e “solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una "partecipazione" del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell'accertamento di attualità della pericolosità.
La sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell'interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso
IL CASO
La Corte d'appello conferma il decreto con cui il Tribunale ha applicato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, cauzione e confisca dei beni.
LA QUESTIONE
La difesa ricorre in Cassazione chiedendo l’annullamento del provvedimento per violazione di legge ed in particolare per avere il Collegio distrettuale omesso di tenere conto del principio affermato dalle Sezioni Unite Gattuso del 2017 quanto alla necessità di accertare l'attualità della pericolosità sociale anche in caso di indiziati di fare parte della c.d. mafia storica e per aver disposto la confisca di beni non costituenti provento di delitto, né reimpiego dell'attività illecita, trattandosi di risorse derivanti da una massiccia evasione fiscale, e, in quanto tali, non assoggettabili alla misura di prevenzione patrimoniale.
LA SOLUZIONE
Con riferimento alla valutazione di attualità della pericolosità sociale del preposto (artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1423 del 1956) la Corte ritiene immune da vizi il ragionamento seguito nel provvedimento avendo il Collegio distrettuale, non solo condiviso il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza Gattuso n. 111 del 2017, ma anche indicato gli specifici elementi sintomatici dell'attualità della pericolosità.
Con la sentenza in esame si é affermato che “ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, è necessario accertare il requisito della "attualità" della pericolosità del proposto” e “solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una "partecipazione" del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell'accertamento di attualità della pericolosità”.
Nel compiere tale accertamento il Collegio ha dato conto del fatto che l’imputato è stato condannato per avere partecipato al clan camorristico e di avere posto in essere specifiche condotte a favore del sodalizio. Sulla scorta delle concordi dichiarazioni dei collaboratori di giustizia é infatti emerso l’inserimento stabile del proposto nell'organizzazione camorristica quale avvocato del clan “in grado di approfittare dei diritti e delle facoltà concesse dalla legge per assicurare al boss di continuare a dirigere il sodalizio”, stipendiato da esso e non remunerato soltanto in occasione delle attività defensionali di volta in volta svolte.
Passando al secondo motivo di ricorso, la sesta sezione osserva che il Collegio ha fatto applicazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Repaci n. 33451 del 2014, alla stregua del quale, in tema di confisca di prevenzione di cui all'art. 2- ter legge n. 575 del 1965 (attualmente art. 24 d.lgs. 159 del 2011), “la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell'interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso”.
Nel caso di specie, non é stato possibile isolare i redditi frutto di un'attività lecita, ma oggetto di evasione fiscale da quelli di provenienza illegale avendo l’imputato reinvestito tutti i profitti garantiti negli anni dalla camorra.
Per tali ragioni, la sesta sezione della Corte rigetta i ricorsi.
Segnalazione a cura di Benedetta Mauro
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