A cura di Annarita Sirignano
CONCUSSIONE – ART. 317 C.P. La concussione rappresenta, nell’ambito dei delitti posti in essere dai pubblici ufficiali contro l’amministrazione, la fattispecie esposta al più severo trattamento sanzionatorio. La notevole entità della pena comminata rinviene la propria ragione giustificatrice nell’esigenza di preservare l’equilibrio dei rapporti tra individuo e autorità nonché nella necessità di impedire che la qualifica rivestita dal funzionario pubblico possa essere strumentalizzata al fine di coartare la libertà del privato. Bene giuridico: trattasi, secondo l’indirizzo ermeneutico prevalente, di reato plurioffensivo. Interesse presidiato dalla fattispecie in parola è da ravvisarsi, in primo luogo, nel regolare funzionamento della macchina amministrativa, sotto il duplice profilo del buon andamento e dell’imparzialità ex art. 97, comma 2, Cost. Il contegno di cui all’art. 317 c.p. offende, poi, la libertà di autodeterminazione del singolo cittadino esposto a violenza o minaccia. Soggetto attivo: la concussione è un reato proprio. La condotta tipica può essere integrata esclusivamente da chi, ex artt. 357 e 358 c.p., rivesta le qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. Soggetto passivo: sono tali sia l’amministrazione, sia il privato che, costretto dal funzionario pubblico, dà o promette il denaro o l’altra utilità non dovuta. Elemento oggettivo: la concussione è un reato di evento a forma vincolata. La configurabilità della fattispecie in esame postula, sotto il profilo oggettivo, che il pubblico ufficiale, avvalendosi a scopo intimidatorio della qualifica rivestita, costringa taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o un terzo, una somma di denaro o un’altra utilità. La condotta tipica è descritta dall’art. 317 c.p. in due momenti successivi. Primo elemento costitutivo del delitto di concussione è l’utilizzo strumentale della posizione ricoperta dal soggetto agente e delle attribuzioni ad essa connesse: occorre che il pubblico funzionario si serva del proprio ruolo e dei poteri conferitigli dalla legge al fine di prevaricare il cittadino, ponendosi in posizione di supremazia rispetto al medesimo. Si richiede, in secondo luogo, che il reo agisca mediante violenza o minaccia. Quest’ultima, più frequentemente riscontrata, si sostanzia nella prospettazione di un male ingiusto e notevole. Il privato vede profondamente limitata la propria libertà di autodeterminazione e viene a trovarsi di fronte all’alternativa tra subire il pregiudizio paventato o aderire alla richiesta del pubblico ufficiale. Affinché la fattispecie si perfezioni, è tuttavia necessario quanto meno che il concusso assuma l’impegno di effettuare l’indebita prestazione. Elemento soggettivo: consiste nel dolo generico, ossia nella necessaria previsione e volizione di tutti gli elementi costitutivi del fatto tipico.
INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTILITÀ – ART. 319 QUATER C.P. Bene giuridico: la fattispecie in parola è posta a presidio del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione. Soggetti attivi: trattasi di reato proprio. Sono soggetti attivi tanto il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio quanto il privato che acconsente alla richiesta indebita dai medesimi perpetrata. Soggetto passivo: è tale la sola amministrazione. Elemento oggettivo: L’induzione indebita ex art. 319 quater è un reato di evento a forma vincolata. Il momento consumativo della fattispecie in parola è costituito dalla dazione o dalla promessa, da parte del privato, al funzionario amministrativo di denaro o altre utilità non dovute. La condotta tipica si sostanzia, in primo luogo, nell’abuso di qualità e di poteri da parte del pubblico ufficiale. Quest’ultimo, al pari di quanto accade in ipotesi di concussione, si avvale della qualifica rivestita e delle connesse attribuzioni al fine di esercitare una pressione psicologica nei confronti del privato. La fattispecie in parola non richiede, tuttavia, l’impiego di violenza o minaccia. Il pubblico funzionario pone in essere un’attività di mera persuasione e suggestione. Il cittadino subisce una minore limitazione della propria libertà di autodeterminazione e si determina ad aderire all’altrui proposta, in quanto motivato dalla possibilità di conseguimento di un tornaconto personale. Elemento soggettivo: si richiede il dolo generico.
ANALOGIE E DIFFERENZE TRA I REATI La configurazione dei reati in commento quali fattispecie tra loro autonome è dovuta alla legge n. 190/2012. Prima di tale intervento normativo, costrizione e induzione rilevavano esclusivamente in quanto modalità alternative di realizzazione dell’unitario delitto di concussione, tipizzato dal previgente art. 317 c.p. I reati in commento presentano invero svariati punti di contatto. Parzialmente analogo è, in primo luogo, il bene giuridico presidiato, da individuarsi per entrambi nel buon andamento e nell’imparzialità dell’amministrazione. La previsione di cui all’art. 317 c.p., tuttavia, tutela altresì la libertà di autodeterminazione del singolo. Ancora, concussione e induzione indebita sono reati propri, configurabili esclusivamente da coloro che rivestano una certa posizione soggettiva. Ambedue le fattispecie sono punite a titolo di dolo generico e contemplano, quale elemento costitutivo, l’abuso di poteri e qualità da parte del pubblico ufficiale. Tale requisito si risolve nella strumentalizzazione della qualifica pubblicistica, adoperata dal funzionario amministrativo al fine di porsi in posizione di supremazia rispetto al privato cittadino. Identico è, da ultimo, l’evento tipico delle due fattispecie, che possono perfezionarsi alternativamente mediante l’indebita dazione o la promessa di utilità. Le principali differenze si ravvisano, invece, nella condotta tipica e nella posizione del privato. Nella concussione, il cittadino è considerato vittima del reato; nell’induzione indebita, egli è concorrente necessario ed è pertanto soggetto a pena, sebbene in misura minore rispetto al pubblico ufficiale. In secondo luogo, la fattispecie di cui all’art. 317 c.p., come già rimarcato, postula l’impiego di violenza o minaccia. La condotta tipica ex art. 319 quater c.p. si risolve, per converso, in un’attività di persuasione e suggestione. Ciò posto sul piano definitorio, dottrina e giurisprudenza hanno cercato, nel corso degli anni, di individuare i criteri alla cui stregua operare in concreto la distinzione tra costrizione e induzione. Sul punto si sono succeduti due principali orientamenti ermeneutici. Secondo una prima impostazione, la differenza tra le due condotte sarebbe di tipo quantitativo: concussione e induzione divergerebbero in virtù esclusivamente della maggiore o minore intensità di pressione psicologica operata. La più grave fattispecie di cui all’art. 317 c.p. si configurerebbe a fronte di un atteggiamento intimidatorio esplicito del pubblico ufficiale; all’opposto, ricadrebbero entro il perimetro applicativo dell’art. 319 quater c.p. minacce solo velate, veicolate attraverso riferimenti impliciti. Tale criterio, adoperato dalla giurisprudenza prevalente in epoca antecedente al 2012 (quando la classificazione in parola assumeva rilievo al limitato fine di dosare in concreto il trattamento sanzionatorio applicabile al pubblico ufficiale), è stato tuttavia ritenuto di per sé inidoneo a giustificare la punibilità del privato ex art. 319 c.p. Un secondo indirizzo ermeneutico ha posto in evidenza la necessità di ricorrere a un indice di tipo qualitativo che avesse riguardo ai diversi strumenti adoperati dall’intraneus al fine di coartare la libertà di autodeterminazione del cittadino. In ipotesi di concussione, la condotta tipica si sostanzia nella costrizione. Il pubblico ufficiale agisce, il più delle volte, mediante minaccia: l’adesione all’indebita proposta è dettata, quindi, dalla necessità di evitare il pregiudizio paventato contra legem. All’opposto, nella fattispecie di induzione ex art. 319 c.p., il privato è destinatario di un’attività di persuasione. Egli si determina alla dazione o promessa in quanto motivato dalla possibilità di conseguire un vantaggio ingiusto. Sulla questione prospettata si sono pronunciate, nel 2014, le Sezione Unite della Corte di Cassazione (cd. sentenza Maldera). I giudici di legittimità hanno evidenziato come il discrimine tra costrizione e induzione vada individuato sul piano qualitativo: ciò che rileva è l’utilizzo della minaccia piuttosto che della mera suggestione. Nella fattispecie di cui all’art. 317 c.p., l’acquiescenza del soggetto passivo sarebbe giustificata dal timore di ripercussioni illegittime. La condotta prevaricatoria posta in essere dal pubblico ufficiale comprometterebbe gravemente la libertà di autodeterminazione del cittadino, la cui reazione accondiscendente non sarebbe meritevole di sanzione penale. Nell’induzione indebita non c’è minaccia: il pubblico ufficiale, pur ponendosi inizialmente in posizione di supremazia, prospetta, tuttavia, all’interlocutore la possibilità di ottenere un vantaggio indebito. Il privato è soggetto a pena in quanto, nonostante l’abuso iniziale da parte dell’intraneus, egli diventa complice dello stesso e sfrutta a proprio vantaggio lo sviamento del potere e delle qualità.
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