LA MASSIMA
In tema di concorso di persone del reato, ai fini della sussistenza del dolo del reato concorsuale è necessario l’accertamento della conoscenza, anche unilaterale, della condotta altrui da parte del concorrente e non soltanto la consapevole contribuzione dell’agente alla realizzazione del reato.
IL CASO
Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di Assise di Appello in riforma parziale della sentenza del giudice di prime cure, in data 22 gennaio 2014 condannava il reo alla pena dell’ergastolo in riferimento ai delitti di omicidio premeditato (capo A); di lesioni volontarie personali aggravate (capo B); di simulazione di reato aggravato (capo D). L’imputato, altresì, veniva condannato, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero sul punto anche per il reato in materia di armi (capo C).
Veniva, quindi, rideterminata l’entità del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole al de quo mediante la concessione delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sulla circostanza aggravante contestata della premeditazione, giungendo, in siffatto modo, alla pena finale di venti anni di reclusione e confermando nel resto l’impugnata sentenza.
La Corte territoriale assumeva tale decisione in qualità di giudice del rinvio, posto che la Sez. I penale della Suprema Corte annullava la sentenza con cui altra sezione della Corte di Assise di Appello confermava la decisione di primo grado.
I giudici di legittimità lamentavano, infatti, una carenza di motivazione ed una manifesta illogicità del percorso motivazionale.
Pertanto, avverso la decisione della Corte territoriale, di cui chiedeva l’annullamento, proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato mediante la proposizione di tre motivi di doglianza.
Con il primo motivo il ricorrente lamentava violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 627 c.p.p. comma 3, considerato che il giudice di rinvio non si uniformava ai principi affermati nella sentenza di annullamento della Prima Sezione della Corte di Cassazione.
Invero, col secondo motivo il ricorrente eccepiva violazione di legge, avuto riguardo al disposto di cui all’art. 110 c.p., non essendo dimostrato che il reo avesse concorso nei delitti indicati, sulla base di una rappresentazione consapevole della volontà di cooperare con gli altri soggetti coinvolti nella realizzazione dell’azione criminale.
All’uopo, l’imputato asseriva la non assoluta dimostrabilità, neppure nella prospettiva del dolo eventuale, che egli fosse stato consapevole dell’uso che sarebbe stato fatto della sua autovettura al momento della messa a disposizione del veicolo.
Rileva il reo che la consapevolezza di cui sopra non poteva essere desunta dalla circostanza che l’imputato, durante i colloqui in carcere, non si fosse mai professato completamente estraneo alla vicenda, rammaricandosi altresì di essersi fidato del fornitore e di non aver rimandato la consegna dell’autovettura.
Per ultimo, il ricorrente lamentava la manifesta illogicità della motivazione con particolare riferimento alla pretesa di desumere la sussistenza del dolo da una conversazione in cui egli non condivideva la critica del padre sulla mancata consegna dell’autovettura di quest’ultimo al posto di quella dell’imputato.
Da tale assunto, secondo la Corte territoriale, era possibile desumere la conoscenza dei due soggetti circa il modus ed il tempus dell’agguato.
LA QUESTIONE
La Corte accoglie il ricorso, ritenendo fondati il primo ed il secondo motivo di doglianza; in essi, comunque, ritiene assorbite le ulteriori censure articolare dal ricorrente.
A dire del Collegio il giudice del rinvio è incorso nella violazione del principio ex art. 627 c.p.p. comma 3, reiterando l’incompletezza della motivazione già stigmatizzata dalla Suprema Corta nella prima sentenza di annullamento con rinvio.
A ragion di ciò, precisano i giudici, confermando l’orientamento giurisprudenziale dominante, che ove l’annullamento di una sentenza sia avvenuto per vizio di motivazione il giudice del rinvio non può fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di Cassazione.
Nel caso di specie, il percorso argomentativo seguito dal giudice risulta essere carente in relazione ad uno dei punti ritenuti decisivi dalla Corte Suprema nella sentenza di annullamento ed i cui rilievi critici non hanno ottenuto esaustiva ed integrale risposta.
Si discute, difatti, della prova dell’elemento soggettivo del reato concorsuale, considerato che per la sussistenza del concorso di persone nel reato occorre la presenza di un rapporto di causalità materiale fra la condotta dell’agente e l’evento, nonché una preventiva adesione psichica del compartecipe alla commissione del reato.
Di rimando, affinché il concorrente possa rispondere di un reato di evento, è sufficiente che voglia o si rappresenti l’evento stesso con dolo eventuale e, quindi, egli deve aver concorso all’azione dell’esecutore materiale non soltanto prevedendo in concreto l’evento quale possibile conseguenza dell’azione concordata ma addirittura accettandone il rischio di accadimento.
Ciò posto, la motivazione della decisione oggetto di ricorso, a dire del Collegio, non fornisce in alcun modo una risposta completa al rilievo formulato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento, il cui focus era rappresentato proprio dalla prova di consapevolezza in capo all’imputato dell’impiego che si sarebbe operato della vettura.
Prova, peraltro, non raggiunta secondo i giudici di legittimità, considerato che già il primo giudice di appello non aveva spiegato in modo convincente in che modo le espressioni emerse dalle intercettazioni ambientali delle conversazioni in carcere tra l’imputato ed i suoi genitori non dimostrassero l’estraneità dello stesso alla vicenda criminosa; in secondo luogo il giudice di merito non è riuscito ad offrire una spiegazione razionale sull’intera operazione e sulla scelta dell’imputato di mettere a disposizione degli esecutori del delitto la propria autovettura.
All’uopo, continuano i giudici, la valutazione della Corte territoriale ha investito senza dubbio una serie significativa di indicatori, quali la personalità e le pregresse esperienze criminali dell’agente, la durata dell’azione, il comportamento, il contesto illecito in cui si è svolta l’azione; tuttavia, tali indicatori permettono di affermare solo la consapevolezza da parte del C. di una possibile e presunta destinazione illecita del proprio mezzo.
LA SOLUZIONE
Il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione della prova indiziaria.
In questo senso, gli indizi devono corrispondere a dati di fatto certi e non a meri giudizi di verosimiglianza; devono, inoltre, essere gravi, vale a dire in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto; precisi, non equivoci e concordanti, cioè convergenti verso l’identico risultato.
Inoltre, il procedimento della loro valutazione conosce due momenti di spicco: il primo diretto ad accertare il maggiore o il minore livello di gravità; il secondo costituito dall’esame globale e unitario tendente a risolverne la relativa ambiguità.
Sicché, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, i giudici asseriscono che in tema di concorso di persone del reato, ai fini della sussistenza del dolo del reato concorsuale è necessario l’accertamento della conoscenza, anche unilaterale, della condotta altrui da parte del concorrente e non soltanto la consapevole contribuzione dell’agente alla realizzazione del reato.
Nel caso di specie, la mancanza degli evidenziati profili rendono lacunosa la motivazione della sentenza impugnata, non consentendo in alcun modo di affermare che la Corte territoriale abbia ricostruito la vicenda con il necessario rigore, in termini di gravità e di precisione dei singoli indizi esaminati.
Sulla base, dunque, delle svolte considerazioni la Suprema Corte afferma la necessità di annullare con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello per un nuovo esame, il quale dovrà essere condotto sulla base dei principi di diritto enunciati in tema di dolo, anche nella prospettiva di una eventuale configurabilità del concorso c.d. “anomalo” di cui all’art. 116 c.p., secondo cui l’evento diverso non deve essere voluto da uno dei concorrenti nel reato neppure sotto il profilo del dolo alternativo ed eventuale.
Segnalazione a cura Alessandra Sarmentino
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