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Diritto Penale

CONCORSO FORMALE REATI: PECULATO BANCAROTTA FRAUDOLENTA - Cass. VI Sez. 16 aprile 2021, n. 14402

LE MASSIME

“Il peculato si differenzia rispetto alla bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione quanto: a) al soggetto attivo; b) all'interesse tutelato, nel senso che la bancarotta non assorbe ed esaurisce affatto l'offensività del peculato; c) per le modalità di aggressione al bene giuridico tutelato, nel senso che nel peculato, a differenza della bancarotta, non ogni condotta "appropriativa" assume rilievo; d) per la mancanza di una condizione di punibilità che, nel reato fallimentare, rende solo eventuale che la condotta appropriativa sfoci in bancarotta; e) al tempo in cui il reato si consuma, essendo il peculato un reato istantaneo rispetto al quale non rileva, a differenza della bancarotta, la "riparazione". Ne consegue che i due reati, che si differenziano per struttura ed offensività, possono concorrere”.

“Il trasferimento o la sostituzione penalmente rilevante al cospetto dell'autoriciclaggio sono comportamenti che importano un mutamento della formale titolarità del bene o delle disponibilità o che diano altresì luogo a una utilizzazione non più personale, ma riconducibile a una forma di reimmissione del bene nel circuito economico”.


IL CASO

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione trae origine da una c.d. doppia conforme: il ricorrente, difatti, è stato condannato in entrambi i precedenti gradi di giudizio per i reati di peculato, bancarotta fraudolenta per distrazione, autoriciclaggio e bancarotta impropria.

Segnatamente, all’imputato veniva contestato di essersi appropriato di ingenti somme di denaro che erano nella sua disponibilità in ragione del pubblico servizio di cui era incaricato.

Nella ricostruzione della pubblica accusa, il denaro indebitamente sottratto determinava la dichiarazione di fallimento della società ad intera partecipazione pubblica di cui il ricorrente era amministratore unico ed il provento veniva successivamente destinato al rimborso e all’estinzione di contratti di finanziamento e mutui a lui stesso intestati. Le false comunicazioni sociali e i falsi bilanci societari formati dall’imputato al fine di proseguire nell’attività distrattiva posta in essere, cagionavano, inoltre, il dissesto economico della S.r.l.

Nel primo motivo di impugnazione, il ricorrente sostiene che il simultaneo addebito dei reati di bancarotta fraudolenta e peculato integri una violazione del principio del ne bis in idem a causa della medesimezza del fatto storico contestato nei diversi capi d’accusa.

L’imputato esclude, altresì, l’effettiva integrazione del delitto di autoriciclaggio, poiché la punibilità per la sottoscrizione di mutui e finanziamenti a proprio nome dovrebbe essere esclusa ai sensi dell’art. 648-ter.1 co. IV c.p., essendo il denaro stato destinato alla lecita utilizzazione e al mero godimento personale.

Negli ulteriori due motivi di impugnazione, infine, viene censurato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l’errata applicazione di pene accessorie.

LE QUESTIONI

La Corte di Cassazione è chiamata, in primo luogo, a verificare se i reati di peculato e di bancarotta fraudolenta per distrazione possano effettivamente concorrere o se, al contrario, fra di essi sussista un rapporto di specialità ex art. 15 c.p. o un concorso apparente di norme per assorbimento ex art. 84 c.p.

La sesta Sezione è altresì tenuta a pronunciarsi in merito all’idoneità decettiva delle condotte poste in essere dall’imputato, al fine di valutare se l’accensione a proprio nome di mutui e finanziamenti integri la fattispecie di autoriciclaggio o se, diversamente, costituisca mera utilizzazione non punibile del denaro proveniente dai delitti non colposi precedentemente realizzati.

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha preliminarmente svolto un’accurata analisi degli artt. 4 del protocollo n. 7 CEDU e 649 c.p.p., nonché della sentenza della Corte Cost. n. 200/2016, al fine di escludere la rilevanza del principio del ne bis in idem nella risoluzione della controversia in esame.

Le suddette norme, difatti, impediscono che un soggetto giudicato con sentenza definitiva possa essere sottoposto ad un ulteriore procedimento per lo stesso fatto di reato realizzato.

A tal riguardo, la Corte Costituzionale ha sottolineato che ai fini della valutazione della medesimezza storico-naturalistica del fatto, l’interprete deve soffermarsi sugli elementi costitutivi dello stesso, ovvero la condotta, l’evento e il nesso causale, a nulla rilevando la sua qualificazione giuridica.

Ciò chiarito, tuttavia, ai sensi dell’art. 81 co. I c.p., è pacificamente possibile che per mezzo di un’unica azione od omissione vengano integrati una pluralità di reati che possano concorrere formalmente. L’art. 649 c.p.p., difatti, preclude la possibilità di esercitare l’azione penale in presenza di un idem factum, ma non impedisce il simultaneo addebito di una pluralità di reati, a meno che essi non siano in rapporto di specialità ex art. 15 c.p. oppure venga ad operare il principio di assorbimento ai sensi dell’art. 84 c.p.

Premesse queste considerazioni di ordine generale, la Corte di Cassazione si è pronunciata in favore del concorso formale fra il delitto di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, alla luce delle profonde differenze che connotano la loro struttura e offensività.

L’art. 314 c.p., difatti, delinea un reato proprio, istantaneo, che si consuma nel tempo e nel luogo in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio realizza un’interversione del possesso su denaro o beni mobili che detiene in ragione del suo ufficio o servizio.

La fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione, al contrario, costituisce un reato di pura condotta e di pericolo che si perfeziona quando il soggetto agente depaupera il patrimonio aziendale, ma che si consuma al verificarsi della condizione obiettiva di punibilità della dichiarazione di fallimento. Diversamente rispetto al peculato, pertanto, il Legislatore esclude la penale responsabilità di colui il quale ponga in essere un’attività integralmente ripristinatoria antecedentemente all’avverarsi della prefata condizione obiettiva di punibilità.

La Corte di Cassazione esclude, altresì, che la bancarotta fraudolenta possa assorbire in sé l’intero disvalore del peculato, a fronte dei differenti interessi tutelati dalle due norme. Mentre il reato di bancarotta, difatti, salvaguarda l’interesse dei creditori ad aggredire i beni della società fallita, il delitto di peculato non è posto unicamente a tutela del patrimonio della Pubblica Amministrazione, bensì anche del buon andamento e dell’imparzialità della stessa.

La sesta Sezione, pertanto, ha dichiarato infondato il primo motivo di impugnazione per diversità del soggetto attivo, dell’interesse tutelato, delle modalità di aggressione e del tempo in cui vengono a consumarsi i reati in esame, nonché alla luce della sussistenza di una specifica condizione di punibilità della bancarotta fraudolenta, assente nella fattispecie di peculato.

In riferimento alla seconda questione, la Corte di Cassazione ha, al contrario, accolto le doglianze del ricorrente, escludendo la rilevanza penale della condotta contestata a titolo di autoriciclaggio. L’estinzione di contratti di finanziamento e di mutui sottoscritti a proprio nome mediante il versamento in contanti del provento dei reati-presupposto, difatti, non è stata ritenuta idonea sulla base di un giudizio ex ante ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Sebbene, difatti, la richiesta di finanziamenti possa astrattamente integrare un’attività di laundering, le movimentazioni bancarie sono state sempre effettuate su conti intestati allo stesso imputato, in tal modo integrando una mera utilizzazione personale non punibile.


Segnalazione a cura di Francesca Dell’Orso.


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