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Diritto Penale

CONCORSO DI PERSONE- PROVA PARTECIPAZIONE - Cass. pen., sez. VI, 1 ottobre 2021, n. 35943


LA MASSIMA

“Il contributo atipico del concorrente, di natura materiale o morale, deve avere una reale efficienza causale, deve essere cioè condizione "necessaria" per la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo e per la produzione dell'evento lesivo del bene giuridico protetto. Ai fini dell'accertamento di quel nesso di causalità non è sufficiente che il contributo atipico - con prognosi di mera pericolosità ex ante - sia considerato idoneo ad aumentare la probabilità o il rischio di realizzazione del fatto di reato, qualora poi, con giudizio ex post, si riveli per contro ininfluente o addirittura controproducente per la verificazione dell'evento lesivo”.


IL CASO

La Corte d’Appello confermava la condanna di sei imputati in relazione a numerosi reati, tra i quali il reato di cui agli artt. 81 cpv., 61 n. 5, 110, 337 e 339, I, II e III commi, c.p., nonché al reato di cui agli artt. 61 n. 2, 81 cpv., 110 e 112 n. 1 c.p., art. 6 legge n. 895 del 1967. I prevenuti, in particolare, durante lo svolgimento di un campeggio "NO TAV" organizzato da tutte le componenti del movimento contrario alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con loro e con altri, tutti travisati per rendere difficoltoso il loro riconoscimento, avevano commesso i citati reati nel tentativo di impedire la prosecuzione dei lavori di un cantiere del tunnel geognostico propedeutico alla realizzazione di quella linea ferroviaria. Gli imputati avevano proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte distrettuale avrebbe valorizzato esclusivamente il dato della loro presenza nel luogo degli scontri e della materiale disponibilità di esplosivi, mancando, da un lato, di spiegare quale fosse il contributo esteriore causale posto in essere dagli stessi e, dunque, in che termini si fosse atteggiato il concorso morale rafforzativo del proposito criminoso degli autori materiali della condotta illecita, dall’altro di dimostrare che fossero a conoscenza di un piano strategico unitario realizzato dai manifestanti.

LA QUESTIONE

La Cassazione ripercorre i principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità di materia di concorso di persone nella commissione di reati contestati a più soggetti in quanto partecipanti a vario titolo ad una manifestazione collettiva, utilizzando tali criteri ermeneutici come guida per valutare le censure proposte dagli imputati.

LA SOLUZIONE

La Suprema Corte, anche richiamando le indicazioni precettive fornite dalle Sezioni Unite in altre pronunce in tema di definizione dell'ambito applicativo dell'art. 110 c.p., evidenzia che la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, in quanto l'attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell'altrui proposito criminoso. A tal fine, invero, assume carattere decisivo l'unitarietà del "fatto collettivo" realizzato, che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui. La Sezione Sesta puntualizza, tuttavia, che se è vero che il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso), è anche vero che va fornita la prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e che va precisato sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110 c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà. Il contributo atipico del concorrente, di natura materiale o morale, quindi, deve avere una reale efficienza causale, deve essere cioè condizione "necessaria" per la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo e per la produzione dell'evento lesivo del bene giuridico protetto; ai fini dell'accertamento di quel nesso di causalità, pertanto, non è sufficiente che il contributo atipico - con prognosi di mera pericolosità ex ante - sia considerato idoneo ad aumentare la probabilità o il rischio di realizzazione del fatto di reato, qualora poi, con giudizio ex post, si riveli per contro ininfluente o addirittura controproducente per la verificazione dell'evento lesivo. Il ricorso alla causalità psichica c.d. da "rafforzamento" non permette di superare l'eventuale assenza di prova dell'effettiva incidenza causale del contributo materiale per la realizzazione del reato, dovuta, ad esempio, alla difficoltà di ricostruzione probatoria del fatto, non essendo sufficiente il mero accertamento di "aumento del rischio". Alla luce di tali regulae iuris la Cassazione ritiene che la Corte d’Appello abbia fatto buon governo degli indicati principi di diritto, sottolineando, con un percorso argomentativo più che congruo, come la colpevolezza di cinque degli imputati fosse stata dimostrata dal fatto che i prevenuti avevano fatto parte proprio di quello specifico gruppo di manifestanti che avevano fronteggiato gli appartenenti delle forze dell'ordine con il lancio di materiale esplosivo e che si erano poi dati alla fuga. Tali dati di fatto, unitamente ad altri elementi emersi nel corso del processo, erano stati perspicuamente valorizzati dai giudici di merito per affermare come gli imputati avessero pienamente condiviso quella iniziativa collettiva ed avessero poi fornito, in termini di concorso rafforzativo, un contributo idoneo ad aumentare il rischio della consumazione di un delitto, quale quello di lesioni aggravate contestato, causalmente determinante, valutato ex post, al verificarsi dell'evento antigiuridico in oggetto. La Cassazione, da ultimo, rileva come, invece, la motivazione della sentenza impugnata risulti gravemente deficitaria nella indicazione delle ragioni per le quali uno degli imputati potesse essere qualificato come concorrente morale del delitto a lui addebitato, ovvero autore di contributi atipici capaci di agevolare la preparazione, la consumazione o il rafforzamento del proposito criminoso di altro o altri concorrenti. In relazione a tali aspetti, invero, difetta l'indicazione di elementi di conoscenza da cui poter desumere, anche in via inferenziale, che l'imputato avesse attuato condotte caratterizzate da una reale efficienza causale, tali cioè da poter essere intese come condizione necessaria per la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo e per la produzione dell'evento lesivo del bene giuridico protetto. Secondo la Suprema Corte, infatti, il contesto probatorio, descritto in maniera sintetica, non fornisce un apparato argomentativo dal quale obiettivamente comprendere quale fosse stato il comportamento del prevenuto idoneo ad aumentare la probabilità o il rischio di realizzazione dei fatti di reato oggetto di imputazione.


Segnalazione a cura di Beatrice Lo Proto


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