MASSIMA
Nel reato di cui all’art. 2 l. 475/1925 il “procurare lavori" può consistere anche nel fornire oralmente al candidato, che debba affrontare la prova scritta, la risposta alle domande, così da consentirgli il confezionamento di una prova presentata come propria, la cui paternità, invece, non gli appartiene.
Tale fattispecie deve intendersi connotata dal carattere della specialità ex art. 15 c.p. rispetto al delitto di falso di induzione in atto pubblico in quanto volta a reprimere precipuamente il segmento di condotta attraverso il quale si attribuisce al candidato il lavoro altrui e a tutelare l'interesse dello Stato alla genuinità dell'elaborato, evidentemente funzionale alla corretta attestazione, da parte dell'organo competente, della sussistenza dei requisiti di legge.
IL CASO
Il caso sottoposto al vaglio della Quinta Sezione della Corte di Cassazione trae origine dalla condanna dell’imputato, in concorso con altro coimputato non ricorrente, in un tentativo di falso per induzione in atto pubblico per aver suggerito, in collegamento via cellulare con il concorrente, le risposte che quest'ultimo avrebbe dovuto rendere ai test per la prova teorica finalizzata al conseguimento della patente di guida, senza, tuttavia, conseguire l'intento di ingannare il funzionario preposto della Motorizzazione civile ed ottenere
di conseguenza il superamento della prova grazie alle forze dell'ordine, le quali erano intervenute subito dopo l'espletamento della stessa, invalidandone l'esito.
Tale pronuncia era stata oggetto di impugnazione da parte dell’imputato, il quale, con un primo motivo, aveva lamentato la violazione di legge, il vizio di motivazione e l’errata qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che quest'ultimo avrebbe dovuto essere ricondotto alla fattispecie, speciale rispetto al falso ideologico per induzione in atto pubblico, di cui all’art. 1 l. 475/1925, poiché la condotta addebitata al ricorrente si sarebbe esaurita nella presentazione e nella predisposizione di lavori non propri.
Con secondo motivo il ricorrente aveva lamentato la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla revoca della sospensione condizionale della pena: data la riqualificazione invocata nel primo motivo, la pena avrebbe dovuto essere rideterminata in mitius con possibilità di nuova concessione della sospensione, ai sensi degli art. 164, comma 4, e 163 c.p., e conseguente venir meno dei presupposti per la revoca.
LA QUESTIONE
La pronuncia in commento conferma l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in relazione all’art. 2, l. 475/1925, secondo il quale il "procurare lavori" può consistere anche nel fornire oralmente al candidato, che debba affrontare la prova scritta, la risposta alle domande, così da consentirgli il confezionamento di una prova presentata come propria, la cui paternità, invece, non gli appartiene.
La Quinta Sezione della Suprema Corte ha ritenuto, infatti, condivisibile le conclusioni formulate per un caso assolutamente sovrapponibile quale quello del soggetto tele-collegato con il candidato al superamento dell'esame teorico per il conseguimento della patente di guida: la norma in oggetto punisce chi procura lavori altrui e le risposte date al questionario non erano state elaborate dall'esaminando, costituendo pertanto un elaborato di soggetti terzi.
Inoltre, nella fattispecie contestata al ricorrente sono stati ravvisati gli estremi del delitto consumato giacché il conseguimento dell'intento, individuato nell'ottenimento della patente di guida, costituisce circostanza aggravante, non essendo necessaria per la consumazione del reato di cui all’art. 2 neanche la presentazione alla commissione esaminatrice della scheda d'esame.
Quanto al problema del concorso apparente di norme tra la disciplina speciale e quella codicistica, viene precisato dai giudici di legittimità della Quinta Sezione che, nonostante l’applicabilità in astratto al caso di specie della fattispecie del falso per induzione in atto pubblico, essendo le attività fraudolente, ossia la presentazione di un lavoro altrui, tese ad indurre il pubblico ufficiale deputato al rilascio delle patenti di guida ad attestare falsamente l'esistenza dei presupposti per l'abilitazione alla guida, tra cui certamente rientra il superamento della prova scritta, riferibili non al candidato ma ad un terzo, la situazione fattuale oggetto della presente pronuncia deve essere qualificata alla luce del principio di cui all’art. 15. c.p. con conseguente applicazione della norma speciale ex art. 2 l. 475/1925.
La norma, infatti, tende a reprimere principalmente il segmento di condotta attraverso il quale si attribuisce al candidato il lavoro altrui e a tutelare l'interesse dello Stato alla genuinità dell'elaborato funzionale alla corretta attestazione, da parte dell'organo competente, della sussistenza dei requisiti di legge.
LA SOLUZIONE
La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, dunque, aderendo al citato orientamento giurisprudenziale e riqualificata la condotta contestata all’imputato in quella di cui all’art. 2 l. 475/1925, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova per nuovo esame con assorbimento della questione inerente alla sospensione condizionale della pena.
Segnalazione a cura di Tiziana Caboni
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