MASSIMA “Ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce ex se un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando generi la dilatazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute”.
IL CASO La Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto tre sanitari accusati del reato di lesioni colpose per non avere diagnosticato l’esistenza di una lesione fratturativa vertebrale, omettendo quindi di predisporre gli accertamenti necessari per assicurare al paziente la guarigione e determinando, di conseguenza, l’aggravamento delle sue condizioni. La persona offesa aveva infatti riportato una lesione vertebrale a seguito di una caduta in moto e l’omessa diagnosi di tale frattura da parte dei tre sanitari, ciascuno nelle rispettive aree di competenza, aveva causato un ritardo nell’individuazione della terapia adeguata, avvenuta solo dopo trenta giorni a seguito di un nuovo accertamento diagnostico. I giudici di secondo grado, pur riconoscendo l’antidoverosità della condotta tenuta dagli imputati, i quali non avevano operato i necessari accertamenti diagnostici, li hanno tuttavia assolti con la formula perché il fatto non sussiste sulla scorta delle conclusioni del collegio peritale, che aveva rilevato come i lievi esiti algodisfunzionali ascrivibili al tipo di frattura lamentato dal paziente fossero riconducibili all’evento traumatico subito (la caduta dalla moto) e non dipendessero dall’inadeguato trattamento terapeutico. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso la costituita parte civile, lamentando il vizio di motivazione e rilevando la sussistenza di un evidente nesso causale omissivo tra l’errore diagnostico degli imputati e il prolungamento della malattia.
LA QUESTIONE Il tema affrontato dalla Corte con la sentenza esaminata riguarda l’individuazione del concetto di malattia rilevante ai sensi dell’art. 582 c.p., richiamato dall’art. 590 c.p. In particolare, il Supremo Collegio è chiamato a chiarire se possa ritenersi integrato il delitto di lesioni colpose nel caso in cui l’errore diagnostico e il conseguente ritardo nell’individuazione delle cure adeguate abbia comportato non già una compromissione della guarigione, ma una mera posticipazione della stessa. La Corte territoriale ha infatti escluso la sussistenza del delitto di cui all’art. 590 c.p. in quanto la condotta omissiva contestata ai sanitari non avrebbe determinato alcuna alterazione anatomica o funzionale o un processo patologico diverso da quello concretamente verificatosi, che si sarebbe realizzato comunque essendo conseguenza dell’evento traumatico iniziale. La Corte d’appello non ha dunque rinvenuto una lesione giuridicamente rilevante ascrivibile al contegno colposo dei tre imputati.
LA SOLUZIONE La Corte di Cassazione ripercorre l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in ordine al concetto di malattia. Si evidenzia come l’impostazione più risalente, richiamando la definizione contenuta nella Relazione ministeriale al Codice Rocco, identificava la malattia con la mera alterazione anatomica. Successivamente, invece, ha trovato accoglimento una nozione più vicina a quella fornita dalla scienza medica, incentrata sulla necessità che all’alterazione anatomica, che potrebbe anche difettare, si accompagni la sussistenza di limitazioni funzionali o di un significativo processo patologico o di una compromissione delle funzioni dell’organismo. Tuttavia, la Suprema Corte rileva la peculiarità del caso sottoposto alla sua attenzione, individuandola nel fatto che la condotta colposa dei sanitari non ha determinato un aggravamento della perturbazione funzionale derivata dalle lesioni riportate con la caduta, ma è consistita in un errore diagnostico iniziale cui ha fatto seguito un ritardo nell’individuazione del trattamento terapeutico adeguato e, dunque, un prolungarsi del tempo necessario per la riduzione o definitiva stabilizzazione della stato di salute del paziente. Secondo la IV sezione anche in tale ipotesi può parlarsi di malattia. A tale conclusione i giudici di legittimità pervengono rilevando come il concetto di malattia in senso penalistico coincida con quello di lesione, non sussistendo tra gli stessi un rapporto di causa- effetto. In tal senso, il verbo “deriva” utilizzato dall’art. 582 (Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale deriva una malattia è punito…) «non indica un rapporto di consequenzialità, ma cristallizza il concetto penalistico di malattia come connotato della nozione penalistica di lesione personale». Del resto, dall’analisi degli artt. 582 e 583 c.p. emerge il rilievo assegnato dal legislatore al fattore temporale della durata della malattia, intesa come tempo necessario alla guarigione o al definitivo consolidamento degli esiti della lesione. È proprio su tale aspetto, infatti, oltre che sulla specificità dell’alterazione funzionale, che la legge modula la risposta sanzionatoria. Pertanto, conclude la Corte, essendo pacifico nel caso di specie che l’omessa diagnosi, alla quale ha fatto seguito la mancata tempestiva prescrizione del trattamento adeguato, abbia comportato un ritardo nell’adozione della cura, impartita solo trenta giorni dopo, risulta necessario rivalutare l’incidenza della condotta colposa degli imputati sulla dilazione della guarigione della persona offesa. La Corte di Cassazione annulla quindi la sentenza di secondo grado agli effetti civili e rinvia, per un nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore.
Segnalazione a cura di Federica Torre
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