MASSIMA: “A fronte di due pareri discordanti dei consulenti dell’accusa e della difesa su circostanze non espressamente valutate dalle linee guida, ma che hanno, tuttavia, caratterizzato il caso esaminato dal medico, la decisione dei giudici di merito che scelga tra le due posizioni non può fondarsi sul mero rinvio alle linee guida, che non contemplano e non valutano dette circostanze e che, proprio perché elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete.” IL CASO: La Corte di appello di Roma ha confermato la condanna dell’imputata alla pena sospesa di un anno di reclusione e al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili per il reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p., in quanto, nella sua qualità di medico in servizio presso il reparto di cardiologia ove era ricoverata la paziente, ne cagionava colposamente il decesso per imprudenza e negligenza, avendo omesso di prescrivere e somministrare l’adeguata terapia a base di eparina che avrebbe potuto scongiurare l’evento. L’imputata ha proposto ricorso avverso tale sentenza, deducendo innanzitutto la lacuna motivazionale in ordine alla censura sulla causa del decesso, non potendosi escludere che sia stato dovuto ad un evento imprevedibile e inevitabile o, comunque, non collegabile alla sua condotta omissiva. Contestata la configurabilità di una posizione di garanzia nei confronti della vittima, ha altresì eccepito il vizio motivazionale e l’errata interpretazione dell’art. 40 c.p., in quanto non è stato accertato, con giudizio controfattuale, se e con quali probabilità la somministrazione di eparina avrebbe impedito la morte della vittima, non è stato accertato quando sarebbero insorte le condizioni che avrebbero giustificato la terapia anti-trombosi, né si è tenuto conto del rischio emorragico concreto a cui era soggetta la paziente. LA QUESTIONE: Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha innanzitutto affermato che non sussistono elementi che inducano a ritenere possibile una diversa causa del decesso della paziente, correttamente identificata in una trombosi profonda venosa. È stata ritenuta altrettanto corretta la configurazione di una posizione di garanzia dell’imputata nei confronti della vittima, determinata dall’espletamento concreto e personale di attività da parte del medico e condivisa con il soggetto che impartisce le direttive, secondo i rispettivi ambiti di pertinenza. Nel corso del processo è stato accertato che l’imputata, pur priva di assegnazione formale, ha seguito la paziente e ha dunque assunto una posizione di garanzia di fatto, in ossequio al principio secondo cui la posizione di garanzia può derivare anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche del garante, a condizione che l’agente assuma la gestione del rischio specifico mediante un comportamento concludente, consistente nella presa in carico del bene protetto (Cass. n. 37224/2019). Il Collegio ha invece ritenuto fondata la doglianza avente ad oggetto l’asserita sussistenza del nesso di causalità, affermato senza un adeguato giudizio controfattuale. La Corte ha evidenziato che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato con un giudizio di alta probabilità logica, non risultando sufficiente la sola probabilità statistica. Pertanto, il nesso di causalità è configurabile solo allorquando si accerti che, ipotizzando come avvenuta l’azione doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo o si sarebbe verificato con minore intensità lesiva o in epoca significativamente posteriore. Ciò in quanto l’incertezza sulla reale efficacia condizionante dell’omissione rispetto ad altri fattori concorrenti nella produzione dell’evento fonda l’assoluzione dell’imputato (Cass. Sez. Un. n. 30328/2002). Il meccanismo controfattuale deve basarsi non solo su affidabili informazioni scientifiche, ma anche sulle contingenze significative del caso concreto. La Suprema Corte ha ritenuto lacunosa la motivazione della sentenza impugnata laddove si limita ad affermare la sussistenza del nesso causale alla luce del mero dato statistico e astratto, prescindendo dalle condizioni specifiche della paziente, dal lasso temporale intercorso dal momento in cui sarebbe insorta la doverosità della terapia al momento del decesso, dai tempi ordinari di efficacia della terapia omessa, dall’evoluzione della patologia e da altri fattori. La Corte ha sostenuto inoltre la lacunosità della motivazione con riferimento all’individuazione dell’effettiva elevata probabilità logica dell’efficacia salvifica delle cure omesse, individuata senza riscontrare le doglianze della difesa sul punto, nonché l’allegato rischio emorragico. Invero, nonostante le valutazioni dei consulenti della difesa, è stato escluso il rischio emorragico in adesione alle indicazioni dei consulenti dell’accusa fondate sulle linee guida del 2011, che individuano alcune delle situazioni a cui si associa tale rischio. Tuttavia, le linee guida non possono escludere che il medico individui altri elementi in concreto sintomatici del rischio emorragico in considerazione della condizione specifica del paziente. L’assunto risulta confermato dall’orientamento giurisprudenziale secondo cui il rispetto delle linee guida accreditate presso la comunità scientifica non determina, di per sé, l’esonero dalla responsabilità penale del sanitario, in quanto occorre comunque accertare se la specificità del quadro clinico del paziente imponesse una terapia diversa da quella indicata dalle linee guida. LA SOLUZIONE: La Suprema Corte ha affermato che, a fronte di pareri discordanti dei consulenti dell’accusa e della difesa in merito a circostanze non espressamente valutate dalle linee guida, ma che caratterizzano il caso specifico, la decisione che conclude il giudizio non può basarsi sul mero rinvio alle linee guida. Occorre infatti evidenziare che le linee guida, in quanto elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete. Il fatto che il medico rispetti le linee guida non ne esclude automaticamente la colpa. Né, viceversa, può affermarsi che il mancato rispetto delle stesse configuri in automatico la colpa, in quanto occorre accertare se il quadro clinico specifico del paziente imponga o meno di seguire un percorso terapeutico diverso rispetto a quello previsto dalle linee guida. Ne consegue che il giudice deve motivare la sua scelta tra le diverse posizioni dei consulenti in base alle leggi scientifiche adattate alle peculiarità del caso concreto. In ossequio al principio del libero convincimento, egli può scegliere la tesi che ritiene condivisibile, purché motivi approfonditamente le ragioni di tale scelta e dia conto del contenuto della tesi disattesa. La Corte di Cassazione ha dunque annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Segnalazione a cura di Francesca Zinnarello
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