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Diritto Penale

CIRCOSTANZE ESCLUSIONE PENA - SCRIMINANTE CULTURALE - Cass., sez. III, 5 marzo 2020, n. 8986

MASSIMA

«Lo straniero imputato di delitto contro la persona non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell'esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall'ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell'ordinamento italiano in cui l'agente ha scelto di vivere»


IL CASO

La Corte d'appello di Roma, giudicando sul gravame proposto dal ricorrente, ha confermato la sua responsabilità penale in ordine al delitto di violenza sessuale (commesso, in due occasioni, in danno della convivente more uxorio) e ai connessi delitti di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate. Avverso detta sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi; due dei quali di particolare interesse ai nostri fini.

Con il primo motivo si è evidenziato il mancato riconoscimento, in favore del ricorrente, della circostanza attenuante speciale del fatto di lieve gravità (cfr. art. 609-bis, comma III, c.p.), dato che la violenza sessuale è stata ritenuta provata in sole due occasioni e che la persona offesa era sei anni più grande rispetto all'autore del reato; ciò che inciderebbe in punto di giudizio sul grado di coartazione della vittima.

Con il secondo motivo si è rilevato, invece, vizio di motivazione e violazione dell'art. 51 c.p. in ordine ai delitti di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate, per non essere stata attribuita rilevanza scriminante, o anche soltanto rilievo ai fini della dosimetria della pena ex art. 133 c.p., alle peculiari connotazioni culturali e religiose dell'imputato.


LA QUESTIONE

La Suprema Corte ha dichiarato manifestamente infondata, oltreché generica, la doglianza circa il mancato riconoscimento della circostanza attenuante speciale della minore gravità ex art. 609-bis, comma III, c.p.

Infatti, secondo una consolidata opinione della giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Cass., sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 16122), «in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità». In particolare, per l'applicazione della citata attenuante, deve potersi ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non incisiva e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto, «dovendosi escludere che la sola tipologia dell'atto possa essere sufficiente per ravvisare o negare tale attenuante […] e rilevando esclusivamente gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., comma 1, e non anche quelli di cui al comma 2, riguardanti la capacità a delinquere ed utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena» (così Cass., 8986/2020).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha fatto corretta valutazione dei due episodi di violenza carnale nella loro globalità, ritenendo che gli stessi non potessero ritenersi di minore gravità giacché avvenuti in un contesto di abituale vessazione della persona offesa. Né tanto meno assumeva rilievo il fatto che il soggetto passivo fosse sei anni più grande dell'imputato: a prescindere dall'età anagrafica, si trattava comunque di due adulti, avendo l'imputato – all'epoca dell'occorso – circa 21 anni ed essendo stato il grado di coartazione della volontà della vittima ritenuto logicamente significativo rispetto alle condizioni di quest'ultima, costretta a subire violenze sessuali in un contesto di per sé caratterizzato da abituali condotte maltrattanti (prova ne sia che all'agente è stato altresì contestato il delitto ex art. 572 c.p.).

Generico e manifestamente infondato è anche il secondo motivo di doglianza, esposto in modo oltretutto incompleto e frammentario. Infatti, per fondare la bontà delle conclusioni in diritto, l'imputato rinvia a pronunce della Suprema Corte i cui estremi non vengono indicati; addirittura, si richiama un provvedimento di archiviazione del quale non viene nemmeno menzionata l'Autorità emittente.

Al di là di ciò, risulta tuttavia incomprensibile – prima in fatto, che in diritto – «l'apodittica conclusione per la quale nel caso di specie le gravissime condotte di maltrattamento e lesioni descritte nelle sentenze di merito dovrebbero dirsi scriminate, ex art. 51 c.p., attribuendo rilievo alle “differenze culturali e religiose dell'imputato”» (così Cass., 8986/2020).

La Cassazione trae, quindi, l'abbrivio per ribadire il principio – più volte affermato in vicende giudiziarie analoghe a quella in annotazione (cfr., ad es., Cass., sez. III, 29 gennaio 2015, n. 14960) – secondo cui, in tema di cause di giustificazione, «lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia [...] non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell'esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall'ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell'ordinamento italiano, in cui l'agente ha scelto di vivere». Ciò, attesa l'esigenza di valorizzare – in linea con l'art. 3 Cost. – la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse e di consentire, dunque, l'instaurazione di una società civile cosiddetta “plurale”.


LA SOLUZIONE

Sulla scorta delle avanzate argomentazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende.


Segnalazione a cura di Simona Metrangolo



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