LA MASSIMA
“La circostanza aggravante delle più persone riunite è esclusa in caso di compartecipazione diacronica, che si sviluppa attraverso la consumazione in successione temporale di segmenti distinti dell’azione criminosa da parte di soggetti diversi.
Sussiste l’aggravante dell’uso del metodo mafioso nel caso in cui il soggetto agente si avvalga di condotte minatorie "contratte", realizzate attraverso il riferimento sintetico al capitale criminale accumulato dall'associazione”.
IL CASO
Con sentenza di primo grado, confermata in appello, l’imputato veniva ritenuto responsabile di concorso in tentata estorsione, aggravato dall’aver agito in più persone riunite e con l’uso del metodo mafioso. L’imputato proponeva ricorso per Cassazione contestando, fra gli altri motivi, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle due predette aggravanti.
LA QUESTIONE
Il caso in esame consente alla Corte un chiarimento circa il corretto ambito applicativo di due circostanze aggravanti. La prima questione riguarda la circostanza aggravante delle più persone riunite, con specifico riferimento alla rilevanza della compartecipazione diacronica, che si sviluppa attraverso la consumazione in successione temporale di segmenti distinti dell'azione criminosa da parte di soggetti diversi
La seconda questione attiene, invece, alla sussistenza dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso nel caso in cui il soggetto agente si avvalga di condotte minatorie "contratte", ovvero agite attraverso il riferimento sintetico al capitale criminale accumulato dall'associazione
LA SOLUZIONE
La Corte accoglie parzialmente il ricorso.
Innanzi tutto, la Corte ritiene fondata la contestazione relativa alla sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite. L’aggravamento richiede, infatti, che le persone concorrenti si trovino nello stesso luogo e nello stesso momento in cui si consuma il delitto. La presenza di più persone aggrava in modo oggettivo, ed indipendentemente dalla percezione che ne abbia la vittima, la potenzialità criminosa della condotta concorsuale, aumentando le possibilità di successo dell’attività illecita grazie all’impegno contestuale di più concorrenti. È esclusa, invece, la rilevanza della compartecipazione diacronica, che si sviluppa attraverso la consumazione in successione temporale di segmenti distinti dell'azione criminosa da parte di soggetti diversi e che si risolve in un ordinario concorso ex art. 110 c.p. In questo caso, infatti, non viene generata la maggiore forza coercitiva correlata alla compresenza di più persone nel luogo e nel momento dell'esecuzione del delitto. La contestazione relativa all’aggravante dell’uso del metodo mafioso viene, invece, ritenuta infondata. L’accertamento dell’uso del metodo mafioso non richiede la prova dell’esistenza di un consorzio criminale di riferimento così come non è necessario accertare l’effettiva partecipazione alla medesima dell’autore della minaccia. Il metodo mafioso è una circostanza oggettiva che richiede solo che il soggetto agente si esprima attraverso il riferimento al potere intimidatorio di una associazione mafiosa; nessun rilievo riveste invece l'effetto che l'azione minatoria ha sulla vittima. Peraltro, il riferimento ad un consorzio criminale terribile con straordinario potere intimidatorio, rende efficaci anche condotte minatorie "contratte", ovvero agite attraverso il riferimento sintetico al capitale criminale accumulato dall'associazione. La Corte ritiene, pertanto, che la promessa dell’imputato di “pacificazione” correlata alla concessione del subappalto implichi la minaccia di azioni violente in caso di mancata accettazione della proposta: si tratta dell'esercizio di una azione minatoria in forma contratta resa possibile dalla evocazione implicita della notoria capacità di reazione dell'associazione mafiosa di riferimento.
Segnalazione a cura di Elena Banchi
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