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Diritto Penale

CIRCOSTANZE - AGGRAVANTE METODO MAFIOSO - Cass. pen., Sez. V, 20 febbraio 2020, n.6764

MASSIMA “per la configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art.7 d.l. 13 maggio 1991, n.152, conv. in legge 12 luglio 1991, n.203 (ora art. 416 bis.1 cod. pen.) non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa”

IL CASO La vicenda trae origine dal ricorso di uno dei due imputati avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma che lo aveva riconosciuto colpevole, in concorso con il coimputato “guardaspalle”, per i reati di lesioni personali aggravate e violenza privata, aggravati dall’uso del metodo mafioso di cui all’art. 7 d.l. 152/1991 (ora art. 416 bis.1 cod. pen.) In particolare, il ricorrente, dopo che la persona offesa, ovvero un giornalista, gli aveva rivolto alcune domande in ordine al sostegno palesato dallo stesso al partito CasaPound in occasione delle consultazioni elettorali per il X municipio di Roma (Ostia), improvvisamente lo colpiva con una violenta testata sul setto nasale, che gli cagionava lesioni aggravate; contestualmente il coimputato aggrediva l’operatore televisivo. Inoltre, il ricorrente inseguiva il giornalista, colpendolo ripetutamente con un manganello e proferendo frasi minacciose, così costringendo lo stesso ad interrompere l’intervista e ad allontanarsi velocemente dalla zona.

LA QUESTIONE Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione è intervenuta dichiarando il ricorso, nel suo complesso, infondato e chiarendo, in merito al terzo motivo di gravame che lamentava l’erroneo riconoscimento della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 152/91, i requisiti in presenza dei quali si può ritenere configurabile l’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”. I giudici di legittimità in prima battuta chiariscono che avvalersi del metodo mafioso ovvero delle condizioni previste dall’art.416 bis c. p. significa avvalersi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva. Inoltre, rievocano che tale aggravante è stata inserita nell’ordinamento per contrastare le forme di criminalità promananti da soggetti in grado di intimare e coartare le vittime non tanto per la propria fama criminale ma, in particolar modo, per quella che proviene loro dal contesto delinquenziale in cui si muovono, perché idoneo a suscitare paura di rappresaglie ad opera di complici, affiliati e accoliti. Tanto, sul presupposto che la capacità di resistenza della vittima scema man mano che acquisisce la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un soggetto che ha alle spalle un manipolo di soggetti disposti a sostenerlo, aiutarlo e vendicarlo, sicché anche l’aiuto che può prestargli lo Stato si appalesa inadeguato rispetto agli scopi della difesa. La “ratio” della disposizione di cui all’art. 7 del d.l. 152/91 non è soltanto quella di punire con pena più grave coloro che commettono reati utilizzando “metodi mafiosi” o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa, stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si comportino “da mafiosi”, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione, propria delle organizzazioni della specie considerata. Secondo il consolidato orientamento della Corte, la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione ex art. 416-bis c.p., essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso cioè che l’associazione appaia sullo sfondo, perché evocata dall’agente, sicché la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell’aggressore per timore di più gravi conseguenze; essa è pertanto configurabile con riferimento ai reati-fine commessi nell’ambito di un’associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo. La Corte ha quindi richiamato quanto affermato dalla Corte territoriale che ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso evidenziando che, ai fini dell’applicazione della stessa, nella dimensione “oggettiva”, non occorre l’esistenza di un’associazione per delinquere di tipo mafioso, bensì l’avvalimento delle condizioni di cui all’art.416 bis c.p. e in tal senso ha individuato gli indici fattuali del metodo mafioso nella presenza, durante l’intera intervista, di un “guardaspalle”(la cui presenza assume una maggiore carica intimidatrice), nella simultanea aggressione al giornalista ed all’operatore, nella perpetrazione dell’aggressione in pieno giorno dinanzi alla palestra di proprietà dell’imputato, rivendicando la potestà di controllare il territorio e dunque di “cacciare” chi non è gradito (mediante la propalazione di minacce tali da ingenerare nelle vittime un vero e proprio terrore), nell’evocazione dell’intervento di soggetti terzi, che avrebbero danneggiato o fatto sparire l’auto dei giornalisti (non presenti ma in grado di intervenire per ulteriormente accanirsi sulle vittime o sul loro veicolo) ed infine nel contesto omertoso.

LA SOLUZIONE Sulla base di quanto sopra esposto, la Corte ha, quindi, confermato la sussistenza di tutti i presupposti necessari ai fini del riconoscimento dell’aggravante del “metodo mafioso” di cui il ricorrente si è consapevolmente avvalso per la perpetrazione dei reati a lui ascritti, essendo stato accertato che lo stesso si avvalse, nell’occasione, della forza intimidatrice promanante dall’associazione di stampo mafioso imperante sul territorio, ben presente alla mente dei giornalisti e ben nota agli abitanti del luogo, alla quale si fece ripetutamente riferimento nel corso dell’intervista come soggetto collettivo in grado di influenzare le decisioni politiche assunte nell’ambito del quartiere.

Segnalazione a cura di Ludovica Catena





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